L
2010-03-08 09:15:44 UTC
http://www.repubblica.it/esteri/2010/03/07/news/islanda_al_referendum_trionfa_il_no_ma_il_voto_riapre_il_negoziato-2541725/
Esteri
Il 93% dei votanti ha bocciato la restituzione di 3.9 miliardi a Gb e
Olanda
Ma sul tavolo dei tre Paesi c'è già un'altra ipotesi di accordo
Islanda, al referendum trionfa il no
Ma il voto riapre il negoziato
Nella complessa partita c'è anche l'ingresso del Paese nell'Unione
Europea
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - L'Islanda ha detto di no nel modo più risoluto alla legge che
prevedeva il rimborso di quasi 4 miliardi di euro di debiti a Gran
Bretagna e Olanda. Ma sul tavolo delle trattative fra i tre paesi,
mentre gli islandesi ieri andavano alle urne nel referendum sul debito,
c'era già un'altra proposta di ripagamento del debito, con termini più
vantaggiosi per il governo di Reykjavik. Il voto dunque non chiude bensì
riapre il negoziato, limitandosi a esprimere una sonora protesta a
livello politico: la rabbia della gente per il modo in cui banchieri,
speculatori e un capitalismo senza regole hanno messo in pericolo e poi
messo in ginocchio un intero paese.
Il referendum chiedeva di pronunciarsi su un piano, approvato dal
governo dell'Islanda, per restituire ai governi di Regno Unito e Olanda
una somma complessiva di 3,9 miliardi di euro. Era l'equivalente dei
risparmi di centinaia di migliaia di cittadini britannici e olandesi che
avevano tenuto i loro soldi nelle maggiori banche islandesi, fallite nel
giro di pochi giorni, nel 2008, all'apice della crisi finanziaria
globale. Il governo britannico, così come quello olandese, avevano
immediatamente garantito i propri risparmiatori, indennizzandoli per le
somme perdute nel fallimento delle banche islandesi; ma poi sia Londra
che l'Aia hanno chiesto indietro quei soldi all'Islanda.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Grande un terzo dell'Italia, ma
semidisabitata, per l'Islanda quel debito di 4 miliardi di euro
corrisponde al 40 per cento del prodotto interno lordo ovvero a 15 mila
euro di debito a testa per ciascuno dei suoi 317 mila abitanti.
Ripagarlo, subito e in concomitanza con una crisi economica che ha
portato la disoccupazione all'8 per cento, il debito esterno al 300 per
cento e la corona islandese, la moneta nazionale, a perdere in due anni
la metà del suo valore, sarebbe a giudizio di molti una spesa
insostenibile.
*******************************************************************
Per questo il presidente della repubblica islandese, Olaf Ragnar
Grimsson, è stato il primo a dire di no alla proposta di legge sul
rimborso,
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
rifiutandosi di firmarla.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Diventando così il portavoce di un diffuso malcontento popolare: durante
le operazione di voto, sabato, molti hanno esposto cartelli con slogan
come "salviamo il paese, non le banche" e "no al capitalismo strozzino".
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I risultati preliminari indicano che il 93 per cento dei partecipanti
hanno votato no alla proposta di restituire il debito, solo l'1,7 per
cento ha votato sì e il resto delle schede sono state annullate o erano
bianche. "Non è una sorpresa", ha commentato il primo ministro Johanna
Sigurdartottir, osservando che il referendum è comunque servito a
spingere Gran Bretagna e Olanda a fare offerte migliori all'Islanda e
che i negoziati dunque continueranno. Dello stesso parere il ministro
del Tesoro britannico, Alistair Darling: "Il punto fondamentale per noi
è riavere indietro quei soldi, ma i termini e le condizioni per riaverli
sono negoziabili, su quello siamo flessibili. Non è nel nostro interesse
mettere in ulteriore difficoltà l'Islanda, vogliamo che sia parte del
processo di integrazione europeo. Non puoi andare da una piccola nazione
che ha la popolazione di Wolverhampton (una città inglese di medie
dimensioni, ndr.) e pretendere che ripaghi immediatamente tutti i suoi
debiti, stiamo cercando di essere ragionevoli".
In gioco, a questo punto, non c'è solo il rimborso a Gran Bretagna e
Olanda, ma anche il possibile ingresso dell'Islanda nell'Unione Europea:
in passato orgogliosamente contraria a entrare nella Ue, all'indomani
del crack finanziario mondiale del 2008 l'isola al limitare del mar
glaciale artico aveva guardato con improvviso entusiasmo alla
prospettiva di un'adesione all'Europa dei 27. Bruxelles l'ha messa in
una sorta di corsia preferenziale che prevede la possibilità di accesso,
insieme alla Croazia, forse già nel 2012. Ma i negoziati sul debito con
Londra e l'Aia, l'impressione di essere ancora una volta sfruttati da
banche e banchieri, ha fatto cambiare umore a molti islandesi e ora i
sondaggi dicono che circa metà della popolazione è di nuovo contraria
all'adesione. Nel frattempo è in dubbio anche la sopravvivenza del
governo di centro-sinistra di Reykiavich, che potrebbe diventare la
prima vittima del referendum. Questo sarebbe il male minore: per
decenni, in Islanda, destra e sinistra hanno governato armoniosamente
insieme in accordi di coalizione. Non a caso appena tre anni or sono
l'Islanda era indicata nella graduatorie internazionale come "il paese
più felice della terra", tra boom economico, omogeneità sociale,
eguaglianza uomo-donna e giustizia sociale. Oggi, come dimostra il
risultato del referendum, vincerebbe probabilmente il titolo di "paese
più arrabbiato della terra".
(07 marzo 2010)
Esteri
Il 93% dei votanti ha bocciato la restituzione di 3.9 miliardi a Gb e
Olanda
Ma sul tavolo dei tre Paesi c'è già un'altra ipotesi di accordo
Islanda, al referendum trionfa il no
Ma il voto riapre il negoziato
Nella complessa partita c'è anche l'ingresso del Paese nell'Unione
Europea
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
LONDRA - L'Islanda ha detto di no nel modo più risoluto alla legge che
prevedeva il rimborso di quasi 4 miliardi di euro di debiti a Gran
Bretagna e Olanda. Ma sul tavolo delle trattative fra i tre paesi,
mentre gli islandesi ieri andavano alle urne nel referendum sul debito,
c'era già un'altra proposta di ripagamento del debito, con termini più
vantaggiosi per il governo di Reykjavik. Il voto dunque non chiude bensì
riapre il negoziato, limitandosi a esprimere una sonora protesta a
livello politico: la rabbia della gente per il modo in cui banchieri,
speculatori e un capitalismo senza regole hanno messo in pericolo e poi
messo in ginocchio un intero paese.
Il referendum chiedeva di pronunciarsi su un piano, approvato dal
governo dell'Islanda, per restituire ai governi di Regno Unito e Olanda
una somma complessiva di 3,9 miliardi di euro. Era l'equivalente dei
risparmi di centinaia di migliaia di cittadini britannici e olandesi che
avevano tenuto i loro soldi nelle maggiori banche islandesi, fallite nel
giro di pochi giorni, nel 2008, all'apice della crisi finanziaria
globale. Il governo britannico, così come quello olandese, avevano
immediatamente garantito i propri risparmiatori, indennizzandoli per le
somme perdute nel fallimento delle banche islandesi; ma poi sia Londra
che l'Aia hanno chiesto indietro quei soldi all'Islanda.
Facile a dirsi, più difficile a farsi. Grande un terzo dell'Italia, ma
semidisabitata, per l'Islanda quel debito di 4 miliardi di euro
corrisponde al 40 per cento del prodotto interno lordo ovvero a 15 mila
euro di debito a testa per ciascuno dei suoi 317 mila abitanti.
Ripagarlo, subito e in concomitanza con una crisi economica che ha
portato la disoccupazione all'8 per cento, il debito esterno al 300 per
cento e la corona islandese, la moneta nazionale, a perdere in due anni
la metà del suo valore, sarebbe a giudizio di molti una spesa
insostenibile.
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Per questo il presidente della repubblica islandese, Olaf Ragnar
Grimsson, è stato il primo a dire di no alla proposta di legge sul
rimborso,
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rifiutandosi di firmarla.
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Diventando così il portavoce di un diffuso malcontento popolare: durante
le operazione di voto, sabato, molti hanno esposto cartelli con slogan
come "salviamo il paese, non le banche" e "no al capitalismo strozzino".
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I risultati preliminari indicano che il 93 per cento dei partecipanti
hanno votato no alla proposta di restituire il debito, solo l'1,7 per
cento ha votato sì e il resto delle schede sono state annullate o erano
bianche. "Non è una sorpresa", ha commentato il primo ministro Johanna
Sigurdartottir, osservando che il referendum è comunque servito a
spingere Gran Bretagna e Olanda a fare offerte migliori all'Islanda e
che i negoziati dunque continueranno. Dello stesso parere il ministro
del Tesoro britannico, Alistair Darling: "Il punto fondamentale per noi
è riavere indietro quei soldi, ma i termini e le condizioni per riaverli
sono negoziabili, su quello siamo flessibili. Non è nel nostro interesse
mettere in ulteriore difficoltà l'Islanda, vogliamo che sia parte del
processo di integrazione europeo. Non puoi andare da una piccola nazione
che ha la popolazione di Wolverhampton (una città inglese di medie
dimensioni, ndr.) e pretendere che ripaghi immediatamente tutti i suoi
debiti, stiamo cercando di essere ragionevoli".
In gioco, a questo punto, non c'è solo il rimborso a Gran Bretagna e
Olanda, ma anche il possibile ingresso dell'Islanda nell'Unione Europea:
in passato orgogliosamente contraria a entrare nella Ue, all'indomani
del crack finanziario mondiale del 2008 l'isola al limitare del mar
glaciale artico aveva guardato con improvviso entusiasmo alla
prospettiva di un'adesione all'Europa dei 27. Bruxelles l'ha messa in
una sorta di corsia preferenziale che prevede la possibilità di accesso,
insieme alla Croazia, forse già nel 2012. Ma i negoziati sul debito con
Londra e l'Aia, l'impressione di essere ancora una volta sfruttati da
banche e banchieri, ha fatto cambiare umore a molti islandesi e ora i
sondaggi dicono che circa metà della popolazione è di nuovo contraria
all'adesione. Nel frattempo è in dubbio anche la sopravvivenza del
governo di centro-sinistra di Reykiavich, che potrebbe diventare la
prima vittima del referendum. Questo sarebbe il male minore: per
decenni, in Islanda, destra e sinistra hanno governato armoniosamente
insieme in accordi di coalizione. Non a caso appena tre anni or sono
l'Islanda era indicata nella graduatorie internazionale come "il paese
più felice della terra", tra boom economico, omogeneità sociale,
eguaglianza uomo-donna e giustizia sociale. Oggi, come dimostra il
risultato del referendum, vincerebbe probabilmente il titolo di "paese
più arrabbiato della terra".
(07 marzo 2010)