Post by GCPillanBoh, questo NG mi pare sempre meno serio...
E per renderlo ancor meno serio(so) e pedante, eccoti servito d'un Satta
d'annata, il quale dopo aver esposto le regole ("credere" vuole il congiuntivo,
eccetera), parla anche delle eccezioni...
Luciano Satta, Scrivendo e parlando, Usi e abusi della lingua italiana,
Firenze, Sansoni, 1988.
[...]
Ora voglio dare alcuni esempi, su frasi di tutti i giorni, di congiuntivo
obbligatorio o quasi, e di indicativo lecito se non opportuno. La linea di
divisione sarà fra caso della certezza e caso dellincertezza. Per il momento
si lascia stare il periodo ipotetico, tranne lesortazione, a chi non ha
sufficiente confidenza con il congiuntivo, a usare liberamente lindicativo,
nellipotesi riguardante il passato (si precisa fra laltro che questo libro ha
il proposito di aiutare, e non quello di scoraggiare). La famosa iperbole «Se
mia nonna aveva le ruote era un carretto» sarà una costruzione popolare anche
nella sintassi ma, come il precedente esempio, «Se lo sapevo ti telefonavo, non
ha niente da rimproverarsi, è inutile appesantire con «Se mia nonna avesse
avuto le ruote sarebbe stata un carretto», il risaputo e quindi superfluo
postulato che una anziana signora non è un veicolo e perciò non è un carretto
nemmeno se si mette i pattini. Premetto che non do come oro colato gli esempi
che seguono, fra laltro segni evidenti della difficoltà di scegliere sempre
bene. Vediamo.
Ecco subito una distinzione da niente, eppure da mettere in evidenza. Nessuna
grammatica lo dice, ma accertare che è diverso da accertarsi che: «La polizia
ha accertato che luomo era disarmato»; «La polizia si è accertata che luomo
fosse disarmato». Mentre la polizia si accertava, non era ancora certa.
Insomma, accertare è piú certo di accertarsi, se si perdona il giochino. Ma
queste sottigliezze, chi le conosce? Ed è la stessa zuppa con assicurare che e
assicurarsi che: «Assicuro che tutto funziona bene»; «Mi assicuro che tutto
funzioni bene».
Poi, i verbi che indicano evento: «È accaduto che mi hanno rubato lauto»; «Può
accadere che mi rubino lauto».
I verbi del dire: «Dicono, affermano che il paziente sta bene»; sí, indicativo,
perché io metterei con lindicativo anche la certezza soggettiva (ma i miei
oppositori sono capaci di distinguere: indicativo ossia certezza se lha detto
un primario di fama internazionale, congiuntivo ossia incertezza se lha detto
un infermiere appena diplomato). Tutto può cambiare con una negazione, che
riconduce allincertezza: «Non assicurano che il malato stia bene»; però senza
scomunicare chi usa lindicativo.
Tuttavia bisogna badare alla negazione che afferma, e allora ci risiamo con la
certezza: «Non cè dubbio che ti ama», uguale a «È certo che ti ama». Piccoli
inevitabili pasticci, ai quali si deve aggiungere la frase interrogativa, che
per sua natura rimette in gioco lincertezza, e riecco il congiuntivo: «Sei
sicura che ti ami?».
Altro caso da discutere, o da spiegare bene a chi non sa il congiuntivo, e
subito vedrete che non è facile. La sicurezza nel presente vuole
lindicativo: «Sono sicuro che Giuseppe è in casa». Ma la sicurezza nel passato
è tuttaltro discorso, se nel frattempo i fatti hanno smentito la
sicurezza: «Ero sicuro che Giuseppe fosse qui» (e invece no); qui fra laltro
lindicativo disturberebbe perché verrebbe fuori «Ero sicuro che era», con una
ripetizione un po noiosa.
Non si dimentichi, inoltre, la differenza tra il pensare uguale a essere del
parere e il pensare uguale a riflettere sul fatto. Il secondo vuole
lindicativo. Sergio Zavoli, bene: «Avevo guardato le sue mani pensando che
esse erano lespressione massima della forma viva del padre». E altrettanto
bene Claudio Marabini: «Pensò che dappertutto la vita continuava». Lo stesso
accade di credere come atto di fede: «Credo che Dio esiste».
Cerco di prevedere e di prevenire sottigliezze e cavilli giocando di
contropiede. Un cavillo è questo, già sentito: come la mettiamo con il sogno,
che accade ma non racconta una realtà. Non ho dubbi: «Ho sognato che eravamo
insieme», non «Ho sognato che fossimo insieme», per carità. La realtà, che poi
è diversa dalla certezza, sta nel fatto che il sogno è avvenuto, come si è
accennato: se uno sogna di dover baciare una megera e si sveglia urlando,
lurlo cè stato; piú realtà di cosí. Ugualmente lindicativo, e non il
congiuntivo, è congeniale alla scommessa: uno deve scommettere che la sua
squadra vince; se scommette che vinca, è troppo obiettivo e prudente per essere
un tifoso.
Mi piace dare un esempio di congiuntivo «eccedente» ossia, lindicativo
sarebbe stato perfetto citando uno dei piú eleganti prosatori di oggi, Carlo
Laurenzi: «A riprova che almeno fra noi André Gide sia piú citato che letto,
ecco un fatterello forse imbarazzante».
I pericoli del congiuntivo sono anche pericoli concreti: una fabbrica di
pentole deve garantire che le pentole sono inossidabili, se garantisce che
siano inossidabili, le conviene riconvertirsi e fabbricare biciclette;
beninteso, garantendo che le ruote girano, e non che girino, sennò siamo da
capo.
Sulla certezza e sullincertezza mi sia concesso raccontare un altro episodio.
Era una domenica sera, e il conduttore del telegiornale, uno dei piú bravi,
riassumendo la domenica sportiva annunciò: «È successo che il Napoli abbia
perso e che lAtalanta abbia vinto». Ebbi qualche perplessità, che tuttavia non
espressi pubblicamente, finché una lettrice di certe mie chiacchierate
giornalistiche ebbe le stesse perplessità e mi istigò a scrivere. Ne nacque una
disputa fra il conduttore e me. Egli sostenne che il suo congiuntivo intendeva
sottolineare, anche per le conseguenze che levento calcistico ebbe sul
concorso pronostici, un fatto che nessuno prevedeva. Io giudicai non certo
errati ma soltanto inutili quei due congiuntivi; largomento per giustificarli
mi sembra, come mi sembrò allora, piuttosto discutibile. Potrei rispondere con
uno scaltro cavillo: poiché la partita era proprio Napoli-Atalanta, se è fuori
del comune che il Napoli abbia perduto è matematico che lAtalanta ha vinto,
quindi almeno il secondo verbo stava bene con lindicativo. Ma questa è una
sottigliezza spregevole. Allora insisto sul fatto che nessuno prevedeva. E
penso: se quel conduttore di telegiornali esce di casa durante un meraviglioso
pomeriggio estivo, va alla Rai, lavora, e rincasando a piedi viene infradiciato
dalla testa ai medesimi per opera di un improvviso acquazzone, aperto luscio
di casa dirà sicuramente alla moglie: «È accaduto che un temporale mi abbia
sorpreso». E la moglie scuoterà la testa, non per il marito bagnato ma per il
congiuntivo superfluo.
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Enrico C
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