Post by dipaPost by Giovanni LagnesePost by dipaPerche' nel jazz (di un certo livello) oltre alla musica, c'e' l'Uomo, e
il suo strumento come estensione dello spirito e del corpo. Tutte le
caratteristiche musicali estetiche, culturali, umane, sono direttamente
immanenti all'oggetto sonoro e all'"hic et nunc" della dimensione spaziale
e temporale: dal mio punto di vista questo e' un grosso vantaggio che ha
la musica a carattere improvvisativo e soprattutto la musica di
derivazione afroamericana.
Il punto e` proprio questo: improvvisami la Musica per archi, percussioni e
celesta...!
Non so se ho reso l'idea...
e' per questo che tanti ti dicono che e' impossibile rispondere. Stai
confrontando due approcci totalmente diversi non solo dal punto di vista
musicale, ma dal punto di vista antropologico e culturale. La tua
domanda pero' era quale, in "valore assoluto" mi dava piu'
soddisfazione. E la mia risposta per ora, e' Jazz.
Temo che risulti alquanto ingenuo chiedere: "Il punto e` proprio questo:
improvvisami la Musica per archi, percussioni e celesta...!". Altrettanto
ingenuo immagino suonerebbe: "Scrivimi "Ascension!", tenendo conto che,
rispetto alle tradizioni scritte, le tradizioni orali considerano la
scrittura della musica un espediente determinante solo fino a un certo
punto: basti considerare le opere di Jelly Roll Morton, James P. Johnson,
Duke Ellington o Charlie Mingus.
Il punto forse non è la diversità fra l'esperienza occidentale e quella
improvvisata (tenendo colto, oltretutto, di una miriade di fattori, non
ultimo quello di una differenza anagrafica che ha un peso: il jazz è
"nato" anche con la conoscenza della tradizione occidentale, quest'ultima,
quando ha incontrato il jazz era invece consolidata da secoli e non sempre
ha pensato a misurarsi adeguatamente con la nuova personalità presentatasi
in scena); piuttosto, è quanto le due esperienze hanno in comune e l'uso
diverso che ne fanno. Il Novecento, d'altronde, ha in qualche modo
permesso o imposto alla tradizione accademica occidentale di confrontarsi
sempre di più con l'alterità costituita da tradizioni extra-europee, un
processo che la globalizzazione ha allargato ulteriormente nel XXI secolo
(difatti, il citato Ligeti, ad esempio, ben conosceva una serie di
esperienze aliene alla cultura europea): oggi il jazz può ben dire di
avere esercitato un'importante influenza anche sull'accademia europea.
Altresì, anch'esso non ha potuto sfuggire a processi epocali e,
personalmente, mi riesce difficile oggi definire la fisionomia del
"mainstream" jazzistico attuale, anche "aggrappandomi" ai rigori più
ortodossi del Canone africano-americano. Tantopiù che nel jazz il
"fagocitare" elementi disparati è consuetudine di sempre; in passato,
però, ciò non alterava l'esistenza d'una ortodossia, mentre ai giorni
d'oggi quella che pare eterodossia (forse non lo è, come ci potrebbero
dimostrare i posteri) si direbbe sicuramente più interessante e stimolante
del perpetuarsi sterile di alcuni aspetti di una tradizione.
Per questo il gioco della torre è impossibile: nella stretta e ormai
indissolubile compartecipazione esistente fra i due modelli culturali, per
quanto affermatasi in tempi non lontani, buttando uno si butta
automaticamente anche l'altro.
Gianni Morelenbaum Gualberto
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