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Immagina di dover leggere un libro in cui non ci sono spazi tra
le parole, segni di punteggiatura, apostrofi, non si fa distinzione
tra o e ho e nemmeno tra qualunque altra coppia di omofoni, ma
in compenso le stesse parole, con identico significato, vengono
scritte in modi diversi a seconda della regione di provenienza
dell'autore. Quella sarebbe una scrittura basa sulla fonetica.
Un bel casino!
L'ideale sarebbe però una scrittura fonemica (molti parlano di una
scrittura fonetica per ignoranza, ignari cioè della differenza tra
fono e fonema).
Ora invece immagina di poter leggere un testo in francese, rumeno,
o latino, e capire tutto al volo anche senza conoscere alcuna di
queste lingue. Quella è una lingua basata sul significato.
Ad esempio la scrittura cinese, a quanto ne so.
L'italiano è una via di mezzo. Ma tu credi veramente che per un
generico testo scritto sia più auspicabile una scrittura del
primo tipo?
Di sicuro no. Sarebbe però auspicabile che l'ortografia italiana
rappresentasse più fedelmente i fonemi della lingua, indicando ad
esempio l'accento, il timbro di <e> ed <o> nonché la sonorità di <s>
e <z>, e rinunciasse ad inutili elementi etimologici, cioè all'uso
della <q> e della <i> diacritica davanti ad <e>. Le regole per andar
a capo in fin di riga le trovo invece a posto perché sono semplici
ed univoche, solo che i maestri di scuola smettano di parlare di
«sillabazione», per cortesia!
Anche l'ortografia spagnola, pur essendo più vicina all'ideale
dell'ortografia fonemica, ha certi difetti, ad esempio l'uso di due
lettere diverse per rappresentare lo stesso fonema (<b> e <v>, <ll>
e <y>, <g> e <j> davanti alle vocali anteriori).
Ma mentre gli spagnoli fanno tradizionalmente una politica
linguistica con conferenze annuali degli stati ispanofoni per
mantenere uniforme l'ortografia, la scrittura italiana si è
sviluppata autonomamente senza interventi politici. Tanto di più
merita ammirazione il risultato di una regolarità quasi perfetta (fu
anni fa un collega di lavoro sudtirolese a spiegarmi questo punto).
Ciao,
Wolfgang