Tibidabo
2016-10-10 00:18:21 UTC
Domanda retorica.
Ma sarebbe interessante discutere del perché i tentativi di interpretazione di una qualsiasi opera d'arte che non si limitino a ciò che al subalterno è permesso dal sistema culturale imposto dalle classi dominanti, provochino tanto scalpore (e proprio nei subalterni...), a volte addirittura una rabbia di cui nemmeno chi la sente riesce a dare una ragione plausibile.
Allora, secondo la persona culturalmente subalterna, io "posso interpretare" la Cappella Sistina di Michelangelo perché Michelangelo (mi hanno insegnato a scuola...) è un grande artista, perché la Cappella sta in Vaticano, perché ci vanno un sacco di turisti.
Perché ne parla Sgarbi...
Ma non posso interpretare con la stessa profondità un film di Lino Banfi o una canzone di Max Pezzali.j
Perché il subalterno pensa così?
Lungo da dire. Di base, grosso modo, è solo dominando le menti che si esercita il potere oggi, non con la violenza e si dominano le menti espropriandole della capacità di manipolare le regole del linguaggio che in altri termini significa esattamente: inibire una ermeneutica originale e autonoma dei subalterni che così cessano di essere "popolo" per diventare "massa". Proprio riducendo all'osso...
VENIAMO AL DUNQUE
Volete vedere come si interpreta una opera d'arte di quelle considerate minori?
Una decina d'anni fa su Wikipedia si trovava una "Ermeneutica contestualizzata del testo"...di che?
Di "Hanno ucciso l'uomo ragno" di Max Pezzali (cantautore sul quale anche Edmondo Berselli ha scritto cose molto interessanti di quelle che fanno tanta paura allo gnomo di IAC).
Vi copincollo questa breve analisi che io trovo fatta benissimo e scritta in un linguaggio molto semplice.
Potrebbe essere stata scritta da uno studente, difficilmente da un intellettuale di professione e forse proprio per questo è così diretta e senza orpelli.
L'ermeneutica su quel testo non finisce qui naturalmente, ci sarebbe moltissimo altro da dire ma è uno splendido esempio di come ci si approccia a "qualsiasi" opera d'arte.
La cosa fantastica, se andate a cercare sul web, sono le reazioni degli utenti dei vari forum o blog che alla lettura di questo brano rispondono in maniera assolutamente "virginale", scrivendo che "mah...forse esagera"..."chissà se è vero"..."pazzesco" il tutto accompagnato da faccine ridenti che rappresentano il terribile imbarazzo del subalterno di fronte alla sola ipotesi di muovere dei passi verso una presa di coscienza che lo metta in conflitto con il potere e che, soprattutto, lo costringa a prendere atto della sua condizione materiale, spirituale e culturale di subordinato.
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IL TESTO
Ermeneutica contestualizzata del testo di "Hanno ucciso l'uomo ragno", di Max Pezzali
Il "paroliere" ha sempre avuto una fortuna indipendente da quella della musica, ma nel caso in questione essa incise assai intensamente sul successo della canzone. Il contesto storico-politico in cui versava l'Italia, infatti, era di straniamento tale da rendere azzeccatissima l'analogia - sottesa nel testo - con le avventure fumettistiche del Supereroe e con l'improvvisa cesura della fanciullezza apportata dalla notizia della sua morte violenta, irrimediabile e senza appello.
Vi è stato chi ha individuato nell'Uomo ragno della canzone Giovanni Falcone, il magistrato ucciso dalla Mafia nella primavera del 1992 (nell'estate del grande successo, moriva anche Paolo Borsellino). Altri hanno visto immortalato in quel testo l'illusione che la classe politica che si sgretolava sotto le inchieste di Tangentopoli rispondesse - nel suo pluridecennale dominio - a valori democratici più che ad interessi affaristici in cartello tra di loro.
Forse la risposta, come in ogni ricerca, riposa nel testo: 'Hanno ucciso l'uomo ragno/chi sia stato non si sa/forse quelli della mala/forse la pubblicità /Hanno ucciso l'uomo ragno/non si sa neanche perchè/avrà fatto qualche sgarro/a qualche industria di caffè'.
Nel 1992 a Mosca si ebbero i primi casi di criminalità collegata con l'introduzione del capitalismo oligopolistico che poi, in epoca elziniana, diede luogo a delitti motivati dalla difesa degli interessi di cartelli pubblicitari. Sembró un'aberrazione del già degradato sistema di sfruttamento capitalistico, che fino ad allora aveva registrato solo casi di altro genere, definibile pre-moderno, quelli collegati alle mafie monopolistiche di prodotti dellla filiera agricola (il caffè colombiano come metafora del cartello di Medellin, che in quell'anno registró il suo picco di omicidi con la sfida diretta al governo colombiano).
Non si deve peró credere che si tratti di una canzone di denuncia sociale, quanto piuttosto di una ammissione di sconfitta dei vecchi canoni di interpretazione del mondo: sia le ideologie classiche di sinistra che quelle di destra sono inadatte a spiegare la complessità e la violenza della realtà di questi anni, per cui l'effetto di straniamento denunciato nel testo è riconducibile proprio a questo. Un tempo sarebbe stato facile spiegare secondo i criteri dell'egemonia culturale - studiati ed enunciati da Antonio Gramsci - i fatti della realtà : ora invece lo sforzo di comprensione, più che difficile, sembra vano. C'è sempre un fatto che non si iscrive nella logica con cui le ideologie ottocentesche cercano di interpretare i fatti della storia: la paura vince su tutto (Ma nelle strade/c'e' panico ormai/nessuno esce di casa/ nessuno vuole guai) e la vittima non è soltanto la verità ufficiale (ma dagli appelli/alla calma in TV/adesso chi ci crede più?!?), ma la stessa possibilità di trovare una risposta e di darsi una spiegazione.
La frase chiave, quindi, è "non si sa neanche perchè", oltre al finto distacco disincantato con cui si adduce la possibilità per cui "avrà fatto qualche sgarro" (riduzionismo personalistico della pretesa missione salvifica del difensore dell'interesse pubblico). Un distacco che non regge alla chiusa del testo: "Le facce di Vogue/sono miti per noi/attori troppo belli/sono gli unici eroi/invece lui sì, lui era una star/ma tanto non ritornerà ". Non la spiegazione razionale, quindi, ci rivaluta il ruolo del difensore pubblico, di chi agisce degli altri: è proprio la competizione con i falsi miti della modernità che lo vede vincitore, probabilmente proprio per il modo inarrivabilmente drammatico della sua caduta.
FINE
Ma sarebbe interessante discutere del perché i tentativi di interpretazione di una qualsiasi opera d'arte che non si limitino a ciò che al subalterno è permesso dal sistema culturale imposto dalle classi dominanti, provochino tanto scalpore (e proprio nei subalterni...), a volte addirittura una rabbia di cui nemmeno chi la sente riesce a dare una ragione plausibile.
Allora, secondo la persona culturalmente subalterna, io "posso interpretare" la Cappella Sistina di Michelangelo perché Michelangelo (mi hanno insegnato a scuola...) è un grande artista, perché la Cappella sta in Vaticano, perché ci vanno un sacco di turisti.
Perché ne parla Sgarbi...
Ma non posso interpretare con la stessa profondità un film di Lino Banfi o una canzone di Max Pezzali.j
Perché il subalterno pensa così?
Lungo da dire. Di base, grosso modo, è solo dominando le menti che si esercita il potere oggi, non con la violenza e si dominano le menti espropriandole della capacità di manipolare le regole del linguaggio che in altri termini significa esattamente: inibire una ermeneutica originale e autonoma dei subalterni che così cessano di essere "popolo" per diventare "massa". Proprio riducendo all'osso...
VENIAMO AL DUNQUE
Volete vedere come si interpreta una opera d'arte di quelle considerate minori?
Una decina d'anni fa su Wikipedia si trovava una "Ermeneutica contestualizzata del testo"...di che?
Di "Hanno ucciso l'uomo ragno" di Max Pezzali (cantautore sul quale anche Edmondo Berselli ha scritto cose molto interessanti di quelle che fanno tanta paura allo gnomo di IAC).
Vi copincollo questa breve analisi che io trovo fatta benissimo e scritta in un linguaggio molto semplice.
Potrebbe essere stata scritta da uno studente, difficilmente da un intellettuale di professione e forse proprio per questo è così diretta e senza orpelli.
L'ermeneutica su quel testo non finisce qui naturalmente, ci sarebbe moltissimo altro da dire ma è uno splendido esempio di come ci si approccia a "qualsiasi" opera d'arte.
La cosa fantastica, se andate a cercare sul web, sono le reazioni degli utenti dei vari forum o blog che alla lettura di questo brano rispondono in maniera assolutamente "virginale", scrivendo che "mah...forse esagera"..."chissà se è vero"..."pazzesco" il tutto accompagnato da faccine ridenti che rappresentano il terribile imbarazzo del subalterno di fronte alla sola ipotesi di muovere dei passi verso una presa di coscienza che lo metta in conflitto con il potere e che, soprattutto, lo costringa a prendere atto della sua condizione materiale, spirituale e culturale di subordinato.
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IL TESTO
Ermeneutica contestualizzata del testo di "Hanno ucciso l'uomo ragno", di Max Pezzali
Il "paroliere" ha sempre avuto una fortuna indipendente da quella della musica, ma nel caso in questione essa incise assai intensamente sul successo della canzone. Il contesto storico-politico in cui versava l'Italia, infatti, era di straniamento tale da rendere azzeccatissima l'analogia - sottesa nel testo - con le avventure fumettistiche del Supereroe e con l'improvvisa cesura della fanciullezza apportata dalla notizia della sua morte violenta, irrimediabile e senza appello.
Vi è stato chi ha individuato nell'Uomo ragno della canzone Giovanni Falcone, il magistrato ucciso dalla Mafia nella primavera del 1992 (nell'estate del grande successo, moriva anche Paolo Borsellino). Altri hanno visto immortalato in quel testo l'illusione che la classe politica che si sgretolava sotto le inchieste di Tangentopoli rispondesse - nel suo pluridecennale dominio - a valori democratici più che ad interessi affaristici in cartello tra di loro.
Forse la risposta, come in ogni ricerca, riposa nel testo: 'Hanno ucciso l'uomo ragno/chi sia stato non si sa/forse quelli della mala/forse la pubblicità /Hanno ucciso l'uomo ragno/non si sa neanche perchè/avrà fatto qualche sgarro/a qualche industria di caffè'.
Nel 1992 a Mosca si ebbero i primi casi di criminalità collegata con l'introduzione del capitalismo oligopolistico che poi, in epoca elziniana, diede luogo a delitti motivati dalla difesa degli interessi di cartelli pubblicitari. Sembró un'aberrazione del già degradato sistema di sfruttamento capitalistico, che fino ad allora aveva registrato solo casi di altro genere, definibile pre-moderno, quelli collegati alle mafie monopolistiche di prodotti dellla filiera agricola (il caffè colombiano come metafora del cartello di Medellin, che in quell'anno registró il suo picco di omicidi con la sfida diretta al governo colombiano).
Non si deve peró credere che si tratti di una canzone di denuncia sociale, quanto piuttosto di una ammissione di sconfitta dei vecchi canoni di interpretazione del mondo: sia le ideologie classiche di sinistra che quelle di destra sono inadatte a spiegare la complessità e la violenza della realtà di questi anni, per cui l'effetto di straniamento denunciato nel testo è riconducibile proprio a questo. Un tempo sarebbe stato facile spiegare secondo i criteri dell'egemonia culturale - studiati ed enunciati da Antonio Gramsci - i fatti della realtà : ora invece lo sforzo di comprensione, più che difficile, sembra vano. C'è sempre un fatto che non si iscrive nella logica con cui le ideologie ottocentesche cercano di interpretare i fatti della storia: la paura vince su tutto (Ma nelle strade/c'e' panico ormai/nessuno esce di casa/ nessuno vuole guai) e la vittima non è soltanto la verità ufficiale (ma dagli appelli/alla calma in TV/adesso chi ci crede più?!?), ma la stessa possibilità di trovare una risposta e di darsi una spiegazione.
La frase chiave, quindi, è "non si sa neanche perchè", oltre al finto distacco disincantato con cui si adduce la possibilità per cui "avrà fatto qualche sgarro" (riduzionismo personalistico della pretesa missione salvifica del difensore dell'interesse pubblico). Un distacco che non regge alla chiusa del testo: "Le facce di Vogue/sono miti per noi/attori troppo belli/sono gli unici eroi/invece lui sì, lui era una star/ma tanto non ritornerà ". Non la spiegazione razionale, quindi, ci rivaluta il ruolo del difensore pubblico, di chi agisce degli altri: è proprio la competizione con i falsi miti della modernità che lo vede vincitore, probabilmente proprio per il modo inarrivabilmente drammatico della sua caduta.
FINE