Discussione:
essere razzisti e altruisti è un 'arma vincente per la sopravvivenza
(troppo vecchio per rispondere)
Artamano
2007-10-28 06:48:30 UTC
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http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Altruismo_sì,_ma_solo_con_i_propri_simili/1315847Sulla
rivista "Science"Altruismo sì, ma solo con i propri similiI ricercatori
hanno sviluppato un modello di teoria dei giochievoluzionistica ed
effettuato migliaia di simulazioni utilizzando unambiente che riproduce le
condizioni presenti nel tardo Pleistocene e nellaprima parte
dell'OlocenePAROLE CHIAVEEvoluzioneDue tipi di comportamento - l'altruismo e
l'ostilità verso gli appartenentiad altri gruppi - potrebbero essersi
evoluti insieme, secondo uno studio ilcui resoconto è pubblicato ora
sull'ultimo numero della rivista "Science".Secondo le definizioni
etologiche, l'individuo altruista è colui che aiutagli altri anche se ciò
costituisce, almeno in parte, un rischio. Diverso èinvece il comportamento
xenofobo di chi si dimostra ostile verso gliindividui di altre etnie.
Entrambi sono diffusi nella specie umana.Un problema, dal punto di vista
evoluzionistico, emerge per il fatto chequesti due comportamenti, presi
singolarmente, non sembrano poter dare unvantaggio in termini di
sopravvivenza, anzi al contrario. Ma una mescolanzadei due, una sorta di
"altruismo ristretto", cioè rivolto solo ai membri delproprio gruppo,
consente al gruppo di prosperare.Jung-Kyoo Choi, della National University
di Daegu, in Corea del Sud, eSamuel Bowles del Santa Fe Institute di Santa
Fe, New Mexico, hannoutilizzato un modello di teoria dei giochi
evoluzionistica ed effettuatomigliaia di simulazioni ricostruendo un
ambiente che riproduce le condizionipresenti nel tardo Pleistocene e nella
prima parte dell'Olocene.Gli individui "simulati", divisi in 20 gruppi,
potevano possedere due genicon due alleli ciascuno: xenofobi o tolleranti, e
altruisti o no. Lasimulazione ha mostrato che i gruppi che conseguivano un
maggiore successoerano proprio quelli dotati geneticamente di altruismo
ristretto, cioè delgene xenofobo e di quello altruista, suggerendo la
possibile coevoluzione diquesti due tratti comportamentali. L'altruismo
ristretto si è diffuso, indefinitiva, poiché i gruppi con molti individui
con questa tendenzavincevano le guerre e ripopolavano i siti delle
popolazioni sconfitte.
(fc)_____________________________________________________________________________________AlcolismoUna
psicoterapia adatta al geneGli alcolisti portatori del genotipo "a basso
rischio" mostrano i maggioribenefici con una particolare psicoterapia,
quella dei "12 passi", rispettoalle altre psicoterapiePAROLE
CHIAVEalcolismoIl rischio di alcolismo è correlato sia a fattori ambientali
che genetici.Questi ultimi hanno un peso tutt'altro che indifferente, tanto
che si stimache questa malattia abbia una componente fortemente ereditaria
(dal 52 al 64per cento), legata soprattutto a un polimorfismo a singolo
nucleotide cheinteressa il gene GABRA2.Ora una ricerca condotta da
ricercatori dello University of ConnecticutHealth Center sembra indicare che
il genotipo GABRA2 non solo modifichi ilcomportamento generale nel confronti
del bere, ma influisca addirittura sulsuccesso dei diversi tipi di
psicoterapia rivolti a combattere l'alcolismo.I risultati di questa ricerca
sono descritti sull'ultimo numero dellarivista "Alcoholism: Clinical &
Experimental Research"."Lo Studio collaborativo sulla genetica
dell'alcolismo (COGA) ha rilevatoper la prima volta una correlazione fra
alcolismo e GABRA2, grazie a unamappatura fine della regione e all'analisi
di linkage", osserva Henry R.Kranzler, che ha partecipato alla ricerca.
"Avevamo già mostrato che unallele GABRA2 ad alto rischio era associato a
una marcata rispostasoggettiva all'alcol in soggetti sani. Abbiamo così
ipotizzato che l'allelepotesse predire il comportamento di bevuta in
soggetti alcolisti in cura, ecosì abbiamo progettato uno studio che
predicesse il comportamento di bevutain soggetti che seguono specifiche, ben
differenziate psicoterapie."I soggetti presi in esame erano in cura con
terapia cognitivocomportamentale (CBT), di rafforzamento motivazionale (MET)
e difacilitazione a 12 passi (TSF, quella elaborata e utilizzata dagli
AlcolistiAnonimi.).In particolare, i pazienti con due alleli GABRA2 a basso
rischio hannomostrato di avere comportamenti di ricaduta nell'alcol -
espressi comenumero di giorni con comportamento di bevuta e di forte
bevuta - menomarcati delle persone che erano portatrici di uno o più alleli
GABRA2 adalto rischio."Per quanto non l'avessimo ipotizzato - ha aggiunto
Kranzler - si èevidenziato anche un differenziale di risposta alla
psicoterapia correlatoal genotipo GABRA2. Le persone con genotipo a basso
rischio mostravanomaggiori benefici da una particolare psicoterapia, la TSF,
rispetto allealtre psicoterapie."Complessivamente, quindi, questi risultati
indicano che i genotipi sonoutili non solo per predire un maggiore rischio
di incorrere in problemi dialcolismo, ma anche per suggerire le psicoterapie
che hanno migliorprobabilità di successo."Può essere presto per dire come
utilizzare queste scoperte nella praticaclinica - ha osservato Kent
Hutchinson, altro autore dello studio - ma dicerto è un primo passo nella
direzione giusta e prima o poi avràimplicazioni per far incontrare nel modo
migliore il paziente e unaspecifica terapia." (gg)
VR
2007-10-28 09:07:49 UTC
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Post by Artamano
http://lescienze.espresso.repubblica.it/articolo/Altruismo_sì,_ma_solo_con_i_propri_simili/1315847Sulla
rivista "Science"Altruismo sì, ma solo con i propri similiI ricercatori
hanno sviluppato un modello di teoria dei giochievoluzionistica ed
effettuato migliaia di simulazioni utilizzando unambiente che riproduce le
condizioni presenti nel tardo Pleistocene e nellaprima parte
dell'OlocenePAROLE CHIAVEEvoluzioneDue tipi di comportamento - l'altruismo e
l'ostilità verso gli appartenentiad altri gruppi - potrebbero essersi
evoluti insieme, secondo uno studio ilcui resoconto è pubblicato ora
sull'ultimo numero della rivista "Science".Secondo le definizioni
etologiche, l'individuo altruista è colui che aiutagli altri anche se ciò
costituisce, almeno in parte, un rischio. Diverso èinvece il comportamento
xenofobo di chi si dimostra ostile verso gliindividui di altre etnie.
Entrambi sono diffusi nella specie umana.Un problema, dal punto di vista
evoluzionistico, emerge per il fatto chequesti due comportamenti, presi
singolarmente, non sembrano poter dare unvantaggio in termini di
sopravvivenza, anzi al contrario. Ma una mescolanzadei due, una sorta di
"altruismo ristretto", cioè rivolto solo ai membri delproprio gruppo,
consente al gruppo di prosperare.Jung-Kyoo Choi, della National University
di Daegu, in Corea del Sud, eSamuel Bowles del Santa Fe Institute di Santa
Fe, New Mexico, hannoutilizzato un modello di teoria dei giochi
evoluzionistica ed effettuatomigliaia di simulazioni ricostruendo un
ambiente che riproduce le condizionipresenti nel tardo Pleistocene e nella
prima parte dell'Olocene.Gli individui "simulati", divisi in 20 gruppi,
potevano possedere due genicon due alleli ciascuno: xenofobi o tolleranti, e
altruisti o no. Lasimulazione ha mostrato che i gruppi che conseguivano un
maggiore successoerano proprio quelli dotati geneticamente di altruismo
ristretto, cioè delgene xenofobo e di quello altruista, suggerendo la
possibile coevoluzione diquesti due tratti comportamentali. L'altruismo
ristretto si è diffuso, indefinitiva, poiché i gruppi con molti individui
con questa tendenzavincevano le guerre e ripopolavano i siti delle
popolazioni sconfitte.
Dato che ogni volta che mi trovo a ribattere a "razzisti" vengo
assalito da crisi di imbecillo-fobia chiedo scusa per le
manifestazioni di scherno di cui mi rendero' autore.
Allora, pezzo di un deficente.. che ha solo il difetto di saper
leggere fonemi senza mai ragionarci su... (da bravo razzista che sei)
quel che hai letto non e' una conferma scientifica del "razzismo"
perche' il razzismo non e' quel che e' indicato nell'articolo. In esso
si parla della fobia e del senso di sfiducia che e' presente verso
persone "esterne dalla propria cerchia".. un sistema di valutazione
condiviso tra persone dello stesso gruppo/tribu'. Non il laido
comportamento razzista verso una razza (negroide) differente dalla
propria o di una specifica etnia, ad esempio l'etnia ebraica come
accaduto in europa.
Questo perche' il meccanismo che e' stato individuato non opera contro
una data razza o una specifica etnia.. ma e' collegato alle "persone
esterne alla cerchia parentale e - ma in un senso stretto.. etnica.
Ovvio che il sistema - elementare - poi lo si adatta ad ogni
"differenza manifesta".. ma questo non e' "un sostegno al razzismo" di
cui sei laido esponente che e' ben altro.. ovvero un mero
condizionamento culturale anzi.. in-culturale.


VR
Artamano
2007-10-28 21:07:00 UTC
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Post by VR
Questo perche' il meccanismo che e' stato individuato non opera contro
una data razza o una specifica etnia.. ma e' collegato alle "persone
esterne alla cerchia parentale e - ma in un senso stretto.. etnica.
Ovvio che il sistema - elementare - poi lo si adatta ad ogni
"differenza manifesta".. ma questo non e' "un sostegno al razzismo" di
cui sei laido esponente che e' ben altro.. ovvero un mero
condizionamento culturale anzi.. in-culturale.
a me sembra che sei tu a esprimere volgarità senza senso per mascherare
l'assenza di argomentazioni.
Se infatti il razzismo è un comportamento che la selezione naturale ha
selezionato come positivo e vantaggioso per i gruppi che lo
esprimono,assieme alla cooperazione interna,vuol dire che tale elemento
sottende un significato di protezione di qualcosa molto importante.Di
qualcosa cioè ereditario e che ha a che fare con l'essenza radicale della
persona umana.
VR
2007-10-29 13:47:01 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Questo perche' il meccanismo che e' stato individuato non opera contro
una data razza o una specifica etnia.. ma e' collegato alle "persone
esterne alla cerchia parentale e - ma in un senso stretto.. etnica.
Ovvio che il sistema - elementare - poi lo si adatta ad ogni
"differenza manifesta".. ma questo non e' "un sostegno al razzismo" di
cui sei laido esponente che e' ben altro.. ovvero un mero
condizionamento culturale anzi.. in-culturale.
a me sembra che sei tu a esprimere volgarità senza senso per mascherare
l'assenza di argomentazioni.
A te sembra. Punto.
Post by Artamano
Se infatti il razzismo è un comportamento che la selezione naturale ha
selezionato come positivo e vantaggioso per i gruppi che lo
esprimono,
Non e' razzismo.. e' qualcosa di diverso.. n'hai capito? Ovvio..
Post by Artamano
assieme alla cooperazione interna,vuol dire che tale elemento
sottende un significato di protezione di qualcosa molto importante.
Certo: ma non e' razzismo.
Post by Artamano
Di qualcosa cioè ereditario e che ha a che fare con l'essenza radicale della
persona umana.
Infatti. Ma "Non e' razzismo".. e' inutile che cerchi di motivare 'sta
stronzata con queste evidenze...


VR
F. Bertolazzi
2007-10-29 17:28:16 UTC
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Post by VR
Non e' razzismo.. e' qualcosa di diverso.. n'hai capito? Ovvio..
Non l'ho capito neanch'io. Potresti spiegarmi la differenza?
VR
2007-10-29 18:50:46 UTC
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On Mon, 29 Oct 2007 17:28:16 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Non e' razzismo.. e' qualcosa di diverso.. n'hai capito? Ovvio..
Non l'ho capito neanch'io. Potresti spiegarmi la differenza?
Il razzismo a cui si rifà il nostro eroe e' un sentimento di ostilità
verso una "razza" e gli appartenenti di una data cultura.
Allora.. la razza non esiste.. e questo e' un altro argomento...
Il razzismo che cerca di giustificare non e' quel di cui si parla
nell'articolo. In quell'articolo si parla dell'atteggiamento di
diffidenza per individui esterni, esterni al circolo parentale e
tribale.. "Questo" e' quanto ha selezionato l'evoluzione.
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
Invece osservi solo un generico atteggiamento di diffidenza/ostilità..
per generici individui esterni alla tua parentela ed il tuo circolo
locale.

VR
Artamano
2007-10-29 21:09:30 UTC
Permalink
Post by VR
Il razzismo a cui si rifà il nostro eroe e' un sentimento di ostilità
verso una "razza" e gli appartenenti di una data cultura.
Allora.. la razza non esiste.. e questo e' un altro argomento...
Il razzismo che cerca di giustificare non e' quel di cui si parla
nell'articolo. In quell'articolo si parla dell'atteggiamento di
diffidenza per individui esterni, esterni al circolo parentale e
tribale..
e una nazione è una tribù più grande



"Questo" e' quanto ha selezionato l'evoluzione.
Post by VR
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
e quindi un istinto ostile alla convivenza con il diverso
Post by VR
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
Invece osservi solo un generico atteggiamento di diffidenza/ostilità..
per generici individui esterni alla tua parentela ed il tuo circolo
locale.
davvero?
Mai osservato le interazioni umane in una società multirazziale?
F. Bertolazzi
2007-10-30 08:08:59 UTC
Permalink
Post by VR
Il razzismo a cui si rifà il nostro eroe e' un sentimento di ostilità
verso una "razza" e gli appartenenti di una data cultura.
Beh, mi pare una definizione abbastanza condivisibile.
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Post by VR
In quell'articolo si parla dell'atteggiamento di
diffidenza per individui esterni, esterni al circolo parentale e
tribale.. "Questo" e' quanto ha selezionato l'evoluzione.
Ok.
Post by VR
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
E' esattamente ciò che avviene. Davvero non te ne sei mai accorto?
Post by VR
Invece osservi solo un generico atteggiamento di diffidenza/ostilità..
per generici individui esterni alla tua parentela ed il tuo circolo
locale.
Viviamo in una società complessa e numerosa. E' quindi logico e fortunato
che includiamo nella cerchia "familiare" tutta la gente simile a noi.

Purtroppo le continue notizie di degrado provenienti dal Meridione stanno
causando un "riflusso", ma non hai notato che, dall'inizio
dell'immigrazione di massa di stranieri, gli Italiani si sono sentiti più
Italiani e meno polentoni e terroni?

E' vero che i figli dei meridionali emigrati al nord sono solitamente
indistinguibili dai figli degli "autoctoni", ma anche l'avversione per
quelli rimasti al sud si era affievolita, all'arrivo di negri e magrebini.
desasosiego
2007-10-30 10:51:24 UTC
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Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Stretto, cioè biologico. Esiste la specie, umana. Mi pare una totale
ovvietà, ma a quanto a pare bisogna continuare a ripeterlo.
Saluti,
Michela
F. Bertolazzi
2007-10-30 12:42:15 UTC
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Post by desasosiego
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Stretto, cioè biologico. Esiste la specie, umana. Mi pare una totale
ovvietà, ma a quanto a pare bisogna continuare a ripeterlo.
Vabbé, allora i negri a cosa appartengono? Ad una sottospecie?
Artamano
2007-10-30 21:40:54 UTC
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Post by desasosiego
Stretto, cioè biologico. Esiste la specie, umana. Mi pare una totale
ovvietà, ma a quanto a pare bisogna continuare a ripeterlo.
Saluti,
Michela
che esista una sola specie è ovvio.
Ma le differenze tra le varie razze e popolazioni sono molto forti e
sottendono modi di vita e di pensiero differenti.
Mescolare le differenze significa distruggerle.
E quindi distruggere la possibilità per l'individuo di fare gruppo con i
propri simili.
VR
2007-10-30 18:10:58 UTC
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On Tue, 30 Oct 2007 08:08:59 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Il razzismo a cui si rifà il nostro eroe e' un sentimento di ostilità
verso una "razza" e gli appartenenti di una data cultura.
Beh, mi pare una definizione abbastanza condivisibile.
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Che le razze non esistono...
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
In quell'articolo si parla dell'atteggiamento di
diffidenza per individui esterni, esterni al circolo parentale e
tribale.. "Questo" e' quanto ha selezionato l'evoluzione.
Ok.
Post by VR
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
E' esattamente ciò che avviene. Davvero non te ne sei mai accorto?
MI sono accorto della xenofobia.. ovvero se prendi un bambino che
osserva un volto sconosciuto.. ha immediatamente un sentimento di
timore.. e cerca affetto. Esiste certo una xenofobia piu' "ampia"...
in cui appartengono "tutti i diversi" ma in cui confluiscono aspetti
che sono progressivamente meno "genetici" e piu' culturali. Tutto
questo comunque non ti permette di parlare di "razzismo" e di tutti i
collegati.. ovvero dell'odio "irrazionale" verso chi ha il "difetto"
di essere inteso di una specifica "razza" (nera) o specifica "etnia"
(ebrea) etc.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Invece osservi solo un generico atteggiamento di diffidenza/ostilità..
per generici individui esterni alla tua parentela ed il tuo circolo
locale.
Viviamo in una società complessa e numerosa.
Ovvio..
Post by F. Bertolazzi
E' quindi logico e fortunato che includiamo nella cerchia "familiare" tutta la gente simile a noi.
Si'.. Ma questo non e' razzismo.
Post by F. Bertolazzi
Purtroppo le continue notizie di degrado provenienti dal Meridione stanno
causando un "riflusso", ma non hai notato che, dall'inizio
dell'immigrazione di massa di stranieri, gli Italiani si sono sentiti più
Italiani e meno polentoni e terroni?
E questo secondo te e' razzismo? Quello che viene da certa gente?
Dai..
Sono cosciente che ci siano certi atteggiamenti di paura del diverso..
ma questo non e' razzismo.. perche' il razzismo "non deriva dai geni"
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
Inoltre. Siamo cacciatori raccoglitori - psicologicamente parlando -
ovvero individui non propensi all'accumulo ma alla spartizione.. ma
nessuno di noi invoca questo per contestare la corsa
all'individualismo e proporre una società fondata di nuovo sulla
spartizione.. Ma guarda tu..
Qui invece si'.. non si vede la differenza?


VR
Artamano
2007-10-30 21:40:54 UTC
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Post by VR
Che le razze non esistono...
qui si nega l'evidenza
Post by VR
MI sono accorto della xenofobia.. ovvero se prendi un bambino che
osserva un volto sconosciuto.. ha immediatamente un sentimento di
timore.. e cerca affetto. Esiste certo una xenofobia piu' "ampia"...
in cui appartengono "tutti i diversi" ma in cui confluiscono aspetti
che sono progressivamente meno "genetici" e piu' culturali. Tutto
questo comunque non ti permette di parlare di "razzismo" e di tutti i
collegati.. ovvero dell'odio "irrazionale" verso chi ha il "difetto"
di essere inteso di una specifica "razza" (nera) o specifica "etnia"
(ebrea) etc.
secondo te perchè esiste la xenofobia se siamo tutti uguali?
A che scopo un istinto sanguinoso e potenzialmente distruttivo anche per chi
lo pratica se non servisse a niente?
Post by VR
Si'.. Ma questo non e' razzismo.
è la sua radice biologica
Post by VR
Sono cosciente che ci siano certi atteggiamenti di paura del diverso..
ma questo non e' razzismo.. perche' il razzismo "non deriva dai geni"
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
quindi da istinto elaborato.Da ideologia appunto
Post by VR
Inoltre. Siamo cacciatori raccoglitori - psicologicamente parlando -
ovvero individui non propensi all'accumulo ma alla spartizione.. ma
nessuno di noi invoca questo per contestare la corsa
all'individualismo e proporre una società fondata di nuovo sulla
spartizione.. Ma guarda tu..
Qui invece si'.. non si vede la differenza?
da secoli siamo agricoltori e militari
VR
2007-10-31 15:01:15 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Che le razze non esistono...
qui si nega l'evidenza
Ma sara'.. :-)
Post by Artamano
Post by VR
MI sono accorto della xenofobia.. ovvero se prendi un bambino che
osserva un volto sconosciuto.. ha immediatamente un sentimento di
...
Post by Artamano
Post by VR
di essere inteso di una specifica "razza" (nera) o specifica "etnia"
(ebrea) etc.
secondo te perchè esiste la xenofobia se siamo tutti uguali?
Per quel che ti e' riportato nell'articolo.
Post by Artamano
A che scopo un istinto sanguinoso e potenzialmente distruttivo anche per chi
lo pratica se non servisse a niente?
Leggi meglio.. non si parla di istinto sanguinoso.. (tra parentesi
l'istinto - come normalmente si intende "non esiste" - ma di
atteggiamento "fiducioso" o meno - poi capace di sfociare anche - ma
non per istinto geneticamente predisposto - in atteggiamenti ostili
verso tutti gli "esterni".
Post by Artamano
Post by VR
Si'.. Ma questo non e' razzismo.
è la sua radice biologica
Si' domani. "Non esiste radice biologica" per aspetti prettamente
"culturali". Si ha "predisposizione" per certi patterns - sfumati -
non per il "razzismo". La presenza di colorazioni sul viso o di
costumi differenti e' eminentemente culturale e contingente. Avere un
atteggiamento geneticamente condizionato verso "forme" differenti da
quelle a cui si e' abituati non giustifica una stronzata come il
razzismo (nell'accezione piena del termine).
Post by Artamano
Post by VR
Sono cosciente che ci siano certi atteggiamenti di paura del diverso..
ma questo non e' razzismo.. perche' il razzismo "non deriva dai geni"
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
quindi da istinto elaborato.
L'istinto - che non esiste - non si elabora. Gli aspetti cognitivi e
culturali possono usare per esaptazione di una dotazione geneticamente
condizionata. Esiste una tendenza esplicita alla socialità molto piu'
profonda nell'uomo, attenti bene.. universale, nell'identificazione
"formale" di un individuo in funzione dei suoi mezzi espressivi non
verbali e preverbali. E' da cretini star a cercare giustificazioni ad
hoc come stai facendo..
Post by Artamano
Da ideologia appunto
L'ideologia? Certo. Ma non la genetica.
Post by Artamano
Post by VR
Inoltre. Siamo cacciatori raccoglitori - psicologicamente parlando -
ovvero individui non propensi all'accumulo ma alla spartizione.. ma
nessuno di noi invoca questo per contestare la corsa
all'individualismo e proporre una società fondata di nuovo sulla
spartizione.. Ma guarda tu..
Qui invece si'.. non si vede la differenza?
da secoli siamo agricoltori e militari
E con questo?

Prima di tutto lo si e' stati in modo parziale.. e vuoi mettere
centinaia di migliaia di anni - se non milioni - di vita da cacciatori
raccoglitori e un po' di secoli in aspetti psico comportamentali che
intrinsecamente esulano da fondamenti genetici? Che vuoi affermare?
Che siamo stati oramai "mutati" in ben altro?
Ma dici sul serio? :-)


Occhio che te sgrugni.. :-P


Ciao!


VR
Artamano
2007-10-31 22:17:04 UTC
Permalink
Post by VR
Si' domani. "Non esiste radice biologica" per aspetti prettamente
"culturali". Si ha "predisposizione" per certi patterns - sfumati -
non per il "razzismo". La presenza di colorazioni sul viso o di
costumi differenti e' eminentemente culturale e contingente. Avere un
atteggiamento geneticamente condizionato verso "forme" differenti da
quelle a cui si e' abituati non giustifica una stronzata come il
razzismo (nell'accezione piena del termine).
ma l'origine biologica delle predisposizioni comportamentali stà
dimostrandosi sempre più probata.
Vedi "Carattere degli americani e genetica"


Espresso del 4 agosto del 2005

Quando la vita è esagerata

Perché gli americani sono obesi e incapaci di limitare le spese? E perché
sono infelici? È colpa della storia. E di un gene. Un libro al centro delle
polemiche.Colloquio con Peter Whybrow di Andrea Visconti.




L' America è un esperimento genetico che ha portato a una selezione della
specie. È un 'affermazione azzardata che avrebbe un sapore razzista se fosse
avanzata da membri del Ku Klux Klan, o da seguaci di un gruppo neonazista. A
sostenerlo invece è Peter Whybrow, un 64enne tranquillo neurobiologo
britannico trapiantato negli Stati Uniti da trent'anni, con una solida
carriera universitaria alle spalle. Secondo lo studioso esiste il "gene
dell'immigrazione" dal quale deriva un maggiore individualismo, il senso
dell'avventura, la propensione al rischio e la ricerca del nuovo. Nel suo
libro "American Mania", uscito negli Stati Uniti poco fa, e che ha suscitato
polemiche e clamore, Whybrow non si limita a osservare lo spirito migratorio
degli americani, ma spiega che la confluenza di due elementi - una
popolazione in perenne movimento e le nuove tecnologie che esasperano
l'individualismo - distruggerebbe il senso di comunità e porterebbe a un
insaziabile bisogno di consumare. Il risultato è un'ansia e
un'insoddisfazione che stanno raggiungendo, negli Usa, livelli maniacali.

"L'espresso" ha incontrato lo studioso a Los Angeles, all'Istituto di
neuroscienza e comportamento umano presso la University of California.
Whybrow è un uomo affabile e sorridente che ancora non ha perso il suo
inconfondibile accento britannico. Eppure quando parla degli Stati Uniti
dice "noi americani"

Professor Whybrow, che cos'ha di unico il carattere del popolo americano?

«Siamo il risultato di una selezione della specie. Solo il due per cento
della popolazione della Terra emigra. Il rimanente 98 per cento vive e muore
a non più di 80 chilometri da dove è nato. In America, invece la maggior
parte delle persone vivono molto lontano rispetto alla loro città di
origine. Non parlo solo dei nuovi immigrati, ma degli stessi americani che
si trasferiscono da una città all'altra. Per questo motivo la nostra energia
è differente da quella nel resto del mondo e così pure il nostro ottimismo e
la nostra creatività. Siamo un esperimento culturale ma anche genetico».

Cioè esiste iI gene della migrazione?

Stiamo cominciando a scoprirlo. Se osserviamo le migrazioni antiche
scopriamo che nei popoli che sono migrati più lontano i recettori della
dopamina erano differenti. Questi recettori (che in termini neurologici
chiamiamo alleli) hanno a che fare col senso del rischio e col desiderio di
novità. Ma la cosa straordinaria è che questo stesso gene è presente anche
in persone che soffrono del cosiddetto Add, cioè del disturbo
dell'attenzione dovuto all'iperattività.

Un disturbo che ha effetti negativi sulla capacità di concentrazione...

"Soffrire di Add quando si è in classe e si dovrebbe seguire la lezione di
storia o matematica è un problema. Ma quando si è in fase migratoria e ci si
trova davanti a una montagna senza sapere cosa ci sia dall'altra parte,
diventa un vantaggio perché entra in gioco la curiosità, il bisogno di
novità e scatta un meccanismo di sopravvivenza. Non è un caso che la Add sia
più comune negli Stati Uniti che altrove.

C'è un collegamento fra iperàttivismo, accelerazione della vita e mobilità?

Le nuove tecnologie hanno stravolto il modo in cui viviamo e non ci siamo
abituati. La nostra esistenza è diventata molto più faticosa. Stiamo
passando dalla fase in cui la tecnologia ci rende euforici perché ci
permette di muoverci con leggerezza e il tempo sembra non avere più
importanza alla fase in cui lo sgretolamento della comunità ci sta facendo
sprofondare nel maniacale.

Sembra un messaggio allarmista: anziché essere l'uomo che controlla la
tecnologia è la tecnologia che controlla l'uomo.

«lo vedo un enorme rischio quando la tecnologia si fonde con questo
carattere genetico degli americani: stiamo perdendo i freni sociali
essenziali che consentono a una comunità di funzionare. Per spiegarmi devo
tornare ad Adam Smith che nel 1776 scrisse "La ricchezza delle nazioni", un
testo fondamentale di economia, benché Smith non fosse un economista. Era
professore di filosofia a Glasgow, impegnato a spiegare i compottamenti
degli esseri umani nel '700. Aveva identificato l'esistenza di un equilibrio
spontaneo fra individuo e società, con un meccanismo di autocorrezione,
soprattutto in presenza di mercati ristretti. Secondo lui era l'esistenza di
piccole comunità, caratterizzate da legami sociali molto stretti, a creare i
freni che ponevano limiti all'iniziativa individuale».

Smith non prevedeva la globalizzazione...

«Il suo modello di equilibrio spontaneo non funziona nei mercati attuali.
Grosse catene di vendita diventano dominanti in piccole comunità che un
tempo erano compatte. È quello che sta avvenendo con WalMart, il gigante
della distribuzione che tiene lontano il sindacato, paga i dipendenti meno
del minimo salariale e in questo modo espande il suo mercato costringendo i
piccoli negozi a chiudere. I privilegi che Wal-Mart nega ai suoi dipendenti
non sarebbero utili solo agli individui, ma avrebbero anche una funzione
sociale. In America tuttavia chi reinveste nella società non viene
ricompensato. E questo dimostra che la direzione che abbiamo preso come
nazione è sbagliata. Siamo il paese più ricco al mondo eppure il numero di
persone ansiose e depresse è raddoppiato negli ultimi vent'anni. Nel 2004
abbiamo speso complessivamente 36 miliardi di dollari in prodotti o servizi
per rilassarci. Inoltre il 70 per cento della popolazione maschile è
sovrappeso».

Cosa c'entra l'obesità con Adam Smith, i freni sociali e lo spirito
migratorio degli americani?

«Anche nel mangiare abbiamo perduto i freni. Non sappiamo più determinare
quando siamo sazi: lavoriamo tantissimo, siamo concentrati su quello che
dobbiamo fare e mangiamo automaticamente e in fretta. Da McDonald's il pasto
medio è consumato in 11 minuti. E questa frenesia si manifesta in tutto. Il
gene della curiosità e dell'avventura, mescolato con l'individualismo
sfrenato della tecnologia e senza più freni sociali, scatena una dinamica di
consumo senza limiti che nel periodo iniziale dà una sensazione di euforia.
Vogliamo guadagnare sempre di più, vogliamo una casa sempre più grande e
oggetti sempre più numerosi e costosi. Ma l'eccesso porta alla sensazione
opposta: la distrofia. È un'alterazione dell'umore che si manifesta con
sensazioni di agitazione o vero e proprio malessere. L'accelerazione
disorganizzata si trasforma in "comportamento maniacale belligerante".
Superata la fase dell'euforia siamo giunti a una nuova forma di deprimente
esistenza frenetica".

C'è una via d'uscita?

Come neuroscienziato mi limiro a suonare il campanello d'allarme non solo in
America ma anche in Europa dove ci sono i presupposti perché si creino le
stesse dinamiche degli Usa».


e inoltre l'articolo"Comportamento antisociale ereditario"




http://www.lescienze.it/specialna.php3?id=10804

30.05.2005
Comportamento antisociale ereditario
I bambini ereditano dai padri alcune tendenze psicopatiche


Uno studio pubblicato sulla rivista "Journal of Child Psychology &
Psychiatry" ipotizza che il comportamento antisociale di alcuni bambini
possa essere il risultato del loro corredo genetico.
Una ricerca britannica sui gemelli suggerisce che i bambini con
tendenze psicopatiche premature, come l'assenza di rimorso, le abbiano
ereditate dai propri padri. Questi bambini hanno forti probabilità di
esibire un comportamento antisociale, ma i fattori ambientali sono
altrettanto importanti e, se favorevoli, possono agire da tampone. Inoltre,
il comportamento antisociale dei bambini privi di tendenze psicopatiche
sarebbe dovuto con ogni probabilità principalmente ai fattori ambientali.
In passato, gli stessi ricercatori avevano scoperto che i ragazzi
dotati di una particolare versione di un gene avevano molte più probabilità
di manifestare un comportamento antisociale se da piccoli avevano subito
maltrattamenti. Nel nuovo studio, Terrie Moffitt e colleghi del King's
College di Londra hanno seguito 3687 coppie di gemelli di sette anni. I
gemelli vengono spesso usati per studiare le caratteristiche ereditarie, in
quanto i gemelli identici condividono gli stessi geni e pertanto le stesse
influenze ereditate.


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17.03.2004
Psicopatia e anomalie cerebrali
Il comportamento antisociale ha radici neurobiologiche


Gli psicopatici presentano anormalità fisiche in due
fondamentali strutture del cervello, responsabili di funzioni che vanno
dalla paura all'elaborazione delle informazioni. Lo ha scoperto un
neuroscienziato dell'University of South California in due studi che
suggeriscono una base neurologica del disturbo.
Anche se le radici neurobiologiche della psicopatia vengono
tuttora esplorate, le caratteristiche principali del comportamento di uno
psicopatico sono state definite con chiarezza. Le tendenze criminali sono
tipicamente accoppiate con la mancanza di inibizioni, di emozioni e di
coscienza.
Adrian Raine ha concentrato le proprie ricerche su due regioni
del cervello: l'ippocampo, una porzione del lobo temporale che regola
l'aggressività e trasferisce informazioni nella memoria, e il corpo calloso,
un ponte di fibre nervose che congiunge gli emisferi cerebrali. "Gli
scienziati - afferma Raine - hanno associato differenti regioni del cervello
al comportamento antisociale e aggressivo, e tutte sono importanti e
rilevanti. Ma alla base di tutto ci sono i collegamenti: se queste parti del
cervello non sono collegate fra di loro in modo appropriato, non
comunicheranno efficacemente. E anche il comportamento che ne risulterà non
sarà appropriato".
Gli studi sull'ippocampo e sul corpo calloso sono stati
pubblicati rispettivamente sulla rivista "Biological Psychiatry" (gennaio
2004) e sulla rivista "Archives of General Psychiatry" (novembre 2003).


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http://www.lescienze.it/specialna.php3?id=3566

27.09.2001
E' genetica la predisposizione alla paura?
Il ruolo chiave dei neurotrasmettitori


William R. Clark, professore emerito nel
dipartimento di biologia dell'Università della California a Los Angeles,
offre la seguente risposta:
"La paura, che negli esseri umani va da un'ansia
generalizzata fino a una fobia specifica, è un importante adattamento
biologico e un comportamento comune a tutti i mammiferi. È un'emozione, un
ricordo non espresso, memorizzato in una parte speciale del nostro cervello.
Essa fa sì che gli individui reagiscano rapidamente, quasi istintivamente,
di fronte alla percezione di un pericolo. La paura può essere presente in
vari gradi in diversi individui. Quando la tendenza alla paura è presente in
eccesso, le sue conseguenze non sono sempre positive.
Circa un quarto di tutti gli americani soffrono
almeno una volta nella loro vita di disordini debilitanti di ansietà,
panico, fobia per gli animali e reazioni di stress post traumatiche. Questi
disordini non causano solo uno stress mentale, ma anche vari sintomi fisici
reali, fra cui dolori localizzati. Come con altre forme di comportamento,
sarebbe utile sapere fino a che punto la paura viene appresa da esperienze
ambientali e fino a che punto è invece influenzata dalla nostra costituzione
genetica.
Lo studio della paura in animali come i topi ha
mostrato come essa possa essere selettivamente coltivata nelle generazioni
seguenti, suggerendo una forte componente genetica. Topi scelti a caso e
chiusi in una scatola abbondantemente illuminata, aperta, senza posti per
nascondersi, hanno mostrato una serie di risposte diverse. Alcuni topi si
sono stretti vicino a una parete rimanendo immobili, urinando e defecando
ripetutamente, mentre altri si sono mossi attorno, annusando ed esplorando
l'ambiente senza preoccupazioni. La maggior parte dei topi sono invece fra
questi due estremi. Se i topi paurosi vengono fatti accoppiare per una
dozzina di generazioni, è possibile sviluppare linee di animali in cui tutti
i membri sono fortemente ansiosi e paurosi. Ma essi non imparano questo
comportamento uno dall'altro e dalle madri. Un topo della linea paurosa
appena nato, allevato poi da una madre senza paura insieme a topolini senza
paura, rimane pauroso anche da adulto.
I geni specifici associati a simili comportamenti
sono ora in via di individuazione nei topi di laboratorio. Non è una
sorpresa che molti dei geni associati alla paura, o alla sua mancanza,
codifichino dei neurotrasmettitori o i loro recettori. Queste sono le
molecole del cervello responsabili delle comunicazioni chimiche fra le
cellule nervose; in definitiva, essi governano ogni comportamento. I topi a
cui mancano recettori funzionali nervosi per il neurotrasmettitore GABA
(acido gamma amino butirico) sono molto più paurosi di quelli dotati del
recettore.
Il GABA viene usato da regioni altamente sviluppate
del cervello per controllare alcuni impulsi del cervello più "basso" e
potrebbe decrescere le risposte della paura a stimoli ambientali. Allo
stesso modo, i topi a cui manca un recettore per l'ormone glucorticoide
dello stress sono molto meno ansiosi dei topi del gruppo di controllo.
Un'inattesa categoria di geni associati con la paura nei topi comprende
anche alcuni geni coinvolti con i ritmi circadiani. Come questi geni siano
in relazione con la paura non è ancora chiaro, ma scoprire il loro ruolo
potrebbe gettare nuova luce sulle origini della paura nel cervello umano,
oltre che in quello dei topi.
Esistono numerose prove negli esseri umani, derivate
per la maggior parte da studi di bambini adottati e dei loro gemelli
cresciuti insieme o separatamente, che la tendenza verso l'ansietà e la
paura è una caratteristica ereditaria. La forma specifica che prendono le
fobie con associazioni specifiche, come la paura dei serpenti, del dolore,
dei luoghi alti o degli spazi chiusi è quasi interamente associata con le
esperienze ambientali dell'individuo. Ma la tendenza a sviluppare risposte
ansiose o di paura all'ambiente in generale ha una chiara componente
genetica.
Come con i topi, sembra che una grande parte del
contributo genetico alla paura e all'ansietà negli esseri umani coinvolga
neurotrasmettitori e il loro recettori, e GABA e i suoi recettori svolgono
ancora un ruolo chiave. Ma forse il neurotrasmettitore più importante nel
mediare l'ansietà negli esseri umani è la serotonina. La variabilità nei
recettori responsabili di rimuovere la serotonina dallo spazio sinaptico fra
due neuroni in comunicazione si correla piuttosto bene con le variazioni
della propensione all'ansietà dei diversi individui. L'ansietà ha poi,
almeno negli esseri umani, forti legami con la depressione, e le medicine
che modulano i livelli di sierotonina nelle sinapsi neuronali influenzano
sia la depressione sia l'ansietà. Anche le depressioni più serie hanno
spesso una marcata componente genetica.
La paura e l'ansietà sono influenzate da molti geni:
quelli che controllano i neurotrasmettitori e i loro recettori sono tutti
presenti in numerose forme nella popolazione generale. La particolare
combinazione di queste diverse forme ricevute dai nostri genitori ci
predispone a rispondere con un grado maggiore o minore di ansietà o paura
agli eventi del nostro ambiente. Ma il grado in cui le nostre vite vengono
influenzate dalla nostra predisposizione ereditaria alla paura dipende in
gran parte dalla nostra storia individuale - il numero, la forza e il tipo
di eventi che hanno stimolato simili reazioni la prima volta.



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15.05.2000
Droga e dipendenza: tutta colpa della «sostanza P»?
Topi transgenici mancanti del recettore NK1 resistono all'induzione
della dipendenza dagli oppiacei



Si intravede forse la strada molecolare responsabile dello
sviluppo della dipendenza dagli oppiacei, comuni droghe che includono
morfina ed eroina. Per la prima volta, una collaborazione tra un istituto
spagnolo e uno inglese ha condotto alla realizzazione di un modello di topo
transgenico che sembra resistere alla induzione della dipendenza dagli
oppiacei. I topi in questione mancano completamente di un gene che codifica
per il recettore di un neurotrasmettitore cerebrale denominato «sostanza P».
Il gene, dall'anonimo nome di NK1, è localizzato in molte zone del cervello,
in particolare quelle associate con le reazioni all'ansia e allo stress,
motivo per cui è considerato un buon bersaglio per i farmaci antidepressivi.
Ma NK1 si trova espresso anche nel cosiddetto nucleus accumbens, uno dei
centri cerebrali che controllano la spinta emotiva e il comportamento che
seguono un evento appagante, come la naturale assunzione di cibo o, invece,
l'uso di droghe come gli oppiacei. I ricercatori hanno studiato il
comportamento dei topi sottoposti a differenti dosi sottocutanee di alcune
droghe. Stephen Hunt, coordinatore dello studio, ha riportato che i topi
trangenici NK-/-, cioè mancanti del recettore per la sostanza P, non
sviluppavano dipendenza dalla droga somministrata. Questa originale
osservazione, si aggiunge ai numerosi studi che hanno l'intento finale di
chiarire i meccanismi che mediano la spinta all'assunzione di nuove dosi di
droga, nella speranza di poter sviluppare molecole capaci di controllare gli
stati di dipendenza. Sfortunatamente, i topi transgenici NK1 -/- resistono
solo agli oppiacei, mentre la somministrazione di altre droghe come la
cocaina o altri stimoli come il cibo sembrano non essere mediati dallo
stesso meccanismo. Gli oppiacei, studiati in farmacologia anche per le loro
potenzialità nella cura del dolore, sono sostanze dall'azione complessa che
esercitano vari effetti, dipendenza inclusa, stimolando differenti
recettori. Per la prima volta la soppressione di un solo recettore ha
indotto un effetto così chiaramente definito, e, anche se ristretta alla
categoria degli oppiacei, c'è da attendersi che questa scoperta possa in
futuro aiutare lo sviluppo di potenti farmaci «sostanza P- antagonisti»
capaci di bloccare la funzione del recettore utilizzabili nella terapia
delle dipendenze e nella prevenzione delle ricadute emotive.

Barbara Bernardini



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24.09.1999
Depressione: «effetti collaterali»
La depressione delle madri ha risvolti negativi nei figli


La regione frontale dell'emisfero cerebrale sinistro presenta un'attività
elettrica ridotta in bambini di madri affette da depressione.
Questo il risultato di uno studio condotto su un campione di 99 coppie
madre-bambino presso il Dipartimento di psicologia dell'Università di
Washington e apparso sull'ultimo numero di «Child Development».
In 59 delle 99 madri è stata identificata, secondo precisi criteri
diagnostici, una sindrome depressiva, eventualmente associata ad altri
problemi psicopatologici, quali ad esempio l'abuso di sostanze che possono
provocare danni sui figli.
Nei 99 bambini del campione, tutti di età compresa tra i 13 e i 15
mesi, è stata registrata l'attività elettrica cerebrale in cinque situazioni
ambientali differenti: un contesto «basale» caratterizzato da assenza di
stimolazioni particolari e quattro contesti «sociali» atti a suscitare nei
bambini una risposta emozionale (interazione di gioco con la madre,
avvicinamento di una persona estranea, interazione di gioco con un
ricercatore familiare al bambino, allontanamento e successivo ritorno della
madre). Nei quattro contesti interattivi è stata evitata la stimolazione
verbale.
Nella situazione non sociale e nelle due interazioni di gioco, i figli
delle donne depresse si sono differenziati dagli altri 40 bambini. I loro
tracciati elettroencefalografici hanno, infatti, messo in evidenza un'asimmetria
nell'attività delle aree frontali, con una riduzione a sinistra.
L'area frontale del cervello è connessa con l'esperienza
emotivo-affettiva ed è ormai ampiamente dimostrato da indagini sperimentali
e cliniche che i due lobi frontali sono specializzati per processi affettivi
differenti: il sinistro è deputato alle sensazioni positive mentre il destro
si attiva in risposta a stimoli negativi.
Il riscontro di una minore reattività del tessuto corticale
localizzata nella regione frontale sinistra potrebbe, quindi, significare
che questi bambini hanno una soglia emozionale più elevata per le esperienze
a valenza positiva.

Monica Oldani



© 1999 - 2005 Le Scienze S.p.A
Artamano
2007-11-01 08:39:22 UTC
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Post by VR
Leggi meglio.. non si parla di istinto sanguinoso.. (tra parentesi
l'istinto - come normalmente si intende "non esiste" - ma di
atteggiamento "fiducioso" o meno - poi capace di sfociare anche - ma
non per istinto geneticamente predisposto - in atteggiamenti ostili
verso tutti gli "esterni".
sappiamo che la selezione naturale non perdona comportamenti che portano
danni a chi li adotta.
Se fossimo tutti uguali e non esistessero radici biologiche al comportamento
allora sarebbe stato facile da secoli alla società totalitaria plasmare gli
esseri umani a suo piacimento.
Pensa alle prediche della chiesa,alla educazione collettiva nei kibbutz,ai
regimi socialisti.
Doveremmo da secoli essere tutti felicemente uguali in quanto programmati
dalla società mediante i comportamenti appresi.
Per non parlare poi dei matrimoni misti e delle unioni sessuali.
Saremmo tutti meticci da millenni e non esisterebbe gelosia in quanto
genitori e figli sarebbero tali per apprendimento ed educazione e non per
filiazione biologica.
Che ti importa se tuo figlio non è tuo per genetica?
Basta che lo educhi tu.
Secondo la tua logica.
Post by VR
Prima di tutto lo si e' stati in modo parziale.. e vuoi mettere
centinaia di migliaia di anni - se non milioni - di vita da cacciatori
raccoglitori e un po' di secoli in aspetti psico comportamentali che
intrinsecamente esulano da fondamenti genetici? Che vuoi affermare?
Che siamo stati oramai "mutati" in ben altro?
Ma dici sul serio? :-)
l'agricoltura ha modificato con forza l'essere umano considerando che gli
agricoltori sono di numero dieci volte superiori ai cacciatori.
VR
2007-11-01 10:53:24 UTC
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Post by Artamano
Che ti importa se tuo figlio non è tuo per genetica?
Basta che lo educhi tu.
Secondo la tua logica.
Ecco. E' la logica l'essenza di tutto. Dunque non cerchiamo alibi
genetici dove non c'e'.
Post by Artamano
Post by VR
Prima di tutto lo si e' stati in modo parziale.. e vuoi mettere
centinaia di migliaia di anni - se non milioni - di vita da cacciatori
raccoglitori e un po' di secoli in aspetti psico comportamentali che
intrinsecamente esulano da fondamenti genetici? Che vuoi affermare?
Che siamo stati oramai "mutati" in ben altro?
Ma dici sul serio? :-)
l'agricoltura ha modificato con forza l'essere umano considerando che gli
agricoltori sono di numero dieci volte superiori ai cacciatori.
Si'.. ma l'ha fatto per solo 10.000 anni.. e solo in alcune parti del
mondo.. e i cacciatori sono stati tali per 160.000 anni quanto meno..
e la nostra "psiche" si e' formata qui.. non in un ambiente agricolo.
Poi (come dicevi) e' logica.. non biologia..


VR
Artamano
2007-11-01 22:54:32 UTC
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Post by VR
Si'.. ma l'ha fatto per solo 10.000 anni.. e solo in alcune parti del
mondo.. e i cacciatori sono stati tali per 160.000 anni quanto meno..
e la nostra "psiche" si e' formata qui.. non in un ambiente agricolo.
Poi (come dicevi) e' logica.. non biologia..
ma non hai risposto sull'utilità di un comportamento dispendioso come quello
razzista.
A che serve l'ostilità al diverso,che culturalmente viene elaborata in
razzismo,se non porta vantaggi evolutivi?
VR
2007-11-02 12:56:25 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Si'.. ma l'ha fatto per solo 10.000 anni.. e solo in alcune parti del
mondo.. e i cacciatori sono stati tali per 160.000 anni quanto meno..
e la nostra "psiche" si e' formata qui.. non in un ambiente agricolo.
Poi (come dicevi) e' logica.. non biologia..
ma non hai risposto sull'utilità di un comportamento dispendioso come quello
razzista.
Ma il comportamento razzista, nel senso che si e' definito - che ho
definito - non e' dispendioso.. e' stupido ed infondato.
Post by Artamano
A che serve l'ostilità al diverso,che culturalmente viene elaborata in
razzismo,se non porta vantaggi evolutivi?
L'ostilità al diverso puo' portare vantaggi evolutivi in certi ambiti
e con certi limiti. L'errore e' quello di dire "ah.. siccome c'e' una
base biologica nella diffidenza verso gli estranei" allora e'
giustificato il razzismo attuale. E' come l'armadillo che ha per
dotazione naturale quella di arrotolarsi davanti ad un pericolo.. o le
farfalle che hanno un foto tropismo positivo e fanno la stessa cosa il
primo al sopraggiungere di un camion (finendo schiacciato) e il
secondo bruciandosi con una lampada ad incandescenza.
Chiara l'antifona?
Inoltre.. il "razzismo" e' un aspetto eminentemente culturale.
Contingente. Eso-biologica.
Non c'entra un piffero la base biologica della diffidenza xenofobica.


Ciao!



VR
Artamano
2007-11-02 22:00:04 UTC
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Post by VR
L'ostilità al diverso puo' portare vantaggi evolutivi in certi ambiti
e con certi limiti. L'errore e' quello di dire "ah.. siccome c'e' una
base biologica nella diffidenza verso gli estranei" allora e'
giustificato il razzismo attuale. E' come l'armadillo che ha per
dotazione naturale quella di arrotolarsi davanti ad un pericolo.. o le
farfalle che hanno un foto tropismo positivo e fanno la stessa cosa il
primo al sopraggiungere di un camion (finendo schiacciato) e il
secondo bruciandosi con una lampada ad incandescenza.
Chiara l'antifona?
Inoltre.. il "razzismo" e' un aspetto eminentemente culturale.
Contingente. Eso-biologica.
Non c'entra un piffero la base biologica della diffidenza xenofobica.
c'entra eccome.
Non viviamo in un epoca in cui l'uguaglianza e il mescolamento sono scontati
e necessari.
Ma dove chi non è razzista è più debole di chi lo è perchè maggiormente
esposto alle invasioni.
VR
2007-11-03 10:53:19 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
L'ostilità al diverso puo' portare vantaggi evolutivi in certi ambiti
e con certi limiti. L'errore e' quello di dire "ah.. siccome c'e' una
base biologica nella diffidenza verso gli estranei" allora e'
giustificato il razzismo attuale. E' come l'armadillo che ha per
dotazione naturale quella di arrotolarsi davanti ad un pericolo.. o le
farfalle che hanno un foto tropismo positivo e fanno la stessa cosa il
primo al sopraggiungere di un camion (finendo schiacciato) e il
secondo bruciandosi con una lampada ad incandescenza.
Chiara l'antifona?
Inoltre.. il "razzismo" e' un aspetto eminentemente culturale.
Contingente. Eso-biologica.
Non c'entra un piffero la base biologica della diffidenza xenofobica.
c'entra eccome.
Non viviamo in un epoca in cui l'uguaglianza e il mescolamento sono scontati
e necessari.
Ma dove chi non è razzista è più debole di chi lo è perchè maggiormente
esposto alle invasioni.
Ecco.. il tuo problema e' solo uno: "Paura". Te la fai sotto..
Paura delle "invasioni"? E dov'eri quando "Noi" si invadevano - senza
motivi razionali - le altre culture solo per il fatto che ci servivano
le loro risorse?
Ed allora perche' sorprendersi se quelli si difendono?
Etc.

Bah... lascia stare..


VR
Artamano
2007-11-03 14:29:35 UTC
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Post by VR
Ecco.. il tuo problema e' solo uno: "Paura". Te la fai sotto..
Paura delle "invasioni"? E dov'eri quando "Noi" si invadevano - senza
motivi razionali - le altre culture solo per il fatto che ci servivano
le loro risorse?
Ed allora perche' sorprendersi se quelli si difendono?
Etc.
il tuo è solo razzismo da traditori.Il razzismo tipico di chi fonda il
proprio patriottismo nell'utopia e disprezza la propria razza in quanto non
abbastanza in linea con il delirio utopistico.
L'Europa è stata per mille anni vittima debole di invasioni provenienti da
sud e da est.
Quando eravamo bravi eravamo schiavi e prede.
Da quando siamo diventati cattivi e potenti nessuno ci ha più molestato.
Tutti i popoli del mondo hanno occupato la terra in cui vivono con guerre e
violenze.E chi non è stato in grado di essere abbastanza razzista ha perso
terra e donne.
A vantaggio del DNA di altri.
La nostra somma disgrazia come erupei è di aver adottato il
cristianesimo,religione folle e utopistica e nemica della vita.
VR
2007-11-03 16:30:05 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Ecco.. il tuo problema e' solo uno: "Paura". Te la fai sotto..
Paura delle "invasioni"? E dov'eri quando "Noi" si invadevano - senza
motivi razionali - le altre culture solo per il fatto che ci servivano
le loro risorse?
Ed allora perche' sorprendersi se quelli si difendono?
Etc.
il tuo è solo razzismo da traditori.
Razzismo da traditori? Orpo.. e quale sarebbe? :-)
Post by Artamano
Il razzismo tipico di chi fonda il proprio patriottismo nell'utopia e
disprezza la propria razza in quanto non abbastanza in linea con
il delirio utopistico.
Eh... tu parli d'utopia.. ehehehehhh :-D
Post by Artamano
L'Europa è stata per mille anni vittima debole di invasioni provenienti da
sud e da est.
Quando eravamo bravi eravamo schiavi e prede.
Da quando siamo diventati cattivi e potenti nessuno ci ha più molestato.
Leggi armi acciaio e malattie e vedrai quale potenza..
Post by Artamano
Tutti i popoli del mondo hanno occupato la terra in cui vivono con guerre e
violenze.E chi non è stato in grado di essere abbastanza razzista ha perso
terra e donne.
Ecco.. ti mancano le donne.
Post by Artamano
A vantaggio del DNA di altri.
La nostra somma disgrazia come erupei è di aver adottato il
cristianesimo,religione folle e utopistica e nemica della vita.
Bah.. non vale la pena confrontarsi con uno che spara cazzate
simili... senza alcun rispetto per la scientificità di quel che
sostiene..
Vedi di farti visitare da uno psichiatra.. che te serve...

Chiuso qui.. (senza alcuna vena di razzismo) ma quando mi sento
rispondere 'ste stronzate ti lascio cuocere con il tuo brodo "di
vuoto"...

Bah.. di nuovo e plonk!


VR
Artamano
2007-11-03 20:00:27 UTC
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Post by VR
Chiuso qui.. (senza alcuna vena di razzismo) ma quando mi sento
rispondere 'ste stronzate ti lascio cuocere con il tuo brodo "di
vuoto"...
liberissimo di farlo ,ma di fare anche brutta figura.
Le mie idee non sono più limitate ad una minoranza come pochi anni fa.
VR
2007-11-04 08:16:55 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Chiuso qui.. (senza alcuna vena di razzismo) ma quando mi sento
rispondere 'ste stronzate ti lascio cuocere con il tuo brodo "di
vuoto"...
liberissimo di farlo ,ma di fare anche brutta figura.
Le mie idee non sono più limitate ad una minoranza come pochi anni fa.
Guarda che la validità o meno di un'affermazione non dipende da quanta
gente la condivide... Ma gia'.. che fiato sprecato a dirtelo..


VR
Artamano
2007-11-06 22:49:41 UTC
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Post by VR
Guarda che la validità o meno di un'affermazione non dipende da quanta
gente la condivide... Ma gia'.. che fiato sprecato a dirtelo..
e la democrazia?
Non era un vostro valore fondamentale?
La verità è progressista?
La scienza della natura non lo dice affatto.
VR
2007-11-07 12:13:39 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Guarda che la validità o meno di un'affermazione non dipende da quanta
gente la condivide... Ma gia'.. che fiato sprecato a dirtelo..
e la democrazia?
Ma la democrazia non e' un'affermazione scientifica... e' un tipo di
sistema sociale.
Post by Artamano
Non era un vostro valore fondamentale?
Lo e'... ma che c'entra?
Post by Artamano
La verità è progressista?
No. E' tale.. e' verità. E nessuna consultazione elettorale te la puo'
far trovare ed affermare. Ai tempi di galilei il geocentrismo che..
era vero perche' tutti credevano in quello? Ma che te sei fumato?
Bah...
Post by Artamano
La scienza della natura non lo dice affatto.
Cosa? Che e' progressista? Certo che non lo dice... non lo e'!


VR
Artamano
2007-11-08 05:55:06 UTC
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Post by VR
Lo e'... ma che c'entra?
che le verità scientifiche non sono decise ai voti.
Post by VR
Post by Artamano
La verità è progressista?
No. E' tale.. e' verità. E nessuna consultazione elettorale te la puo'
far trovare ed affermare. Ai tempi di galilei il geocentrismo che..
era vero perche' tutti credevano in quello? Ma che te sei fumato?
Bah...
oggi i tempi non sono cambiati.Basta vedere il caso Watson e la censura che
ha subito.
VR
2007-11-08 13:06:55 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Lo e'... ma che c'entra?
che le verità scientifiche non sono decise ai voti.
Infatti.. Ti contraddici da solo..
Post by Artamano
Post by VR
Post by Artamano
La verità è progressista?
No. E' tale.. e' verità. E nessuna consultazione elettorale te la puo'
far trovare ed affermare. Ai tempi di galilei il geocentrismo che..
era vero perche' tutti credevano in quello? Ma che te sei fumato?
Bah...
oggi i tempi non sono cambiati.Basta vedere il caso Watson e la censura che
ha subito.
Non ha subito censura: ha avuto contestazioni "in merito" a quanto
avrebbe sostenuto. Se uno ti contesta l'infondatezza scientifica di
un'affermazione non e' un censore. Ma solo uno che dimostra come
infondata la tua affermazione.
T'e' cosi' difficile capire 'ste cose? Allora e' tutto chiaro..


VR
Artamano
2007-11-08 23:10:10 UTC
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Post by VR
Non ha subito censura: ha avuto contestazioni "in merito" a quanto
avrebbe sostenuto. Se uno ti contesta l'infondatezza scientifica di
un'affermazione non e' un censore. Ma solo uno che dimostra come
infondata la tua affermazione.
T'e' cosi' difficile capire 'ste cose? Allora e' tutto chiaro..
nessuno ha contestato l'infondatezza scientifica delle sue parole.
E' stato solo insultato e ha subito persecuzioni quali la cancellazione
della sua collaborazione a istituti scientifici.
Mi dirai che Watson è ricco ed è in pensione.
Ma che sarebbe successo se fosse stato invece un giovane?
Che esempio viene dato a chi lavora in ambiente scientifico e sa che se dice
la verità sarà perseguitato come persona?
Ci si può fidare della scienza solo se si vive in una società aperta.
E non siamo in una società aperta.
Nessuna discussione interessante è stata iniziata a partire dal caso
Watson.E ce ne potevano essere tante.
Per esempio i rapporti tra ereditarietà e cultura,intelligenza e ambiente.
L'ideologia ha prevalso e la libera discussione ha chiuso.
VR
2007-11-09 12:27:56 UTC
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Post by Artamano
Post by VR
Non ha subito censura: ha avuto contestazioni "in merito" a quanto
avrebbe sostenuto. Se uno ti contesta l'infondatezza scientifica di
un'affermazione non e' un censore. Ma solo uno che dimostra come
infondata la tua affermazione.
T'e' cosi' difficile capire 'ste cose? Allora e' tutto chiaro..
nessuno ha contestato l'infondatezza scientifica delle sue parole.
Beh.. non mi sembra... Non ho seguito la questione.. ma se ha ritirato
le sue affermazioni.. non e' che l'ha fatto perche' intimidito.. ma
perche' consapevole che non le poteva sostenere scientificamente.
Sai.. e' Watson.. mica il primo che passa..
Post by Artamano
E' stato solo insultato e ha subito persecuzioni quali la cancellazione
della sua collaborazione a istituti scientifici.
Mi dirai che Watson è ricco ed è in pensione.
Ma che sarebbe successo se fosse stato invece un giovane?
Che esempio viene dato a chi lavora in ambiente scientifico e sa che se dice
la verità sarà perseguitato come persona?
Mica vero. Ma chi te le racconta?
Post by Artamano
Ci si può fidare della scienza solo se si vive in una società aperta.
E questo e' il contrario del razzismo... Visto?
Post by Artamano
E non siamo in una società aperta.
Perche' in troppi sono razzisti...
Post by Artamano
Nessuna discussione interessante è stata iniziata a partire dal caso
Watson.E ce ne potevano essere tante.
Falle.. e vedrai che ti si risponde..
Post by Artamano
Per esempio i rapporti tra ereditarietà e cultura,intelligenza e ambiente.
Eh.. prova.. dai..
Post by Artamano
L'ideologia ha prevalso e la libera discussione ha chiuso.
Io parlo per me.. non chiudo un bel niente..


VR
Artamano
2007-11-09 21:53:46 UTC
Permalink
Post by VR
Beh.. non mi sembra... Non ho seguito la questione.. ma se ha ritirato
le sue affermazioni.. non e' che l'ha fatto perche' intimidito.. ma
perche' consapevole che non le poteva sostenere scientificamente.
Sai.. e' Watson.. mica il primo che passa..
allora non avrebbe detto niente,appunto perchè essendo Watson avrebbe potuto
ben prevedere le conseguenze fatali di enunciare in pubblico delle falsità.
Post by VR
Mica vero. Ma chi te le racconta?
sui giornali di regime è scritto tutto
Post by VR
Perche' in troppi sono razzisti...
o troppi fascisti democratici,che credono di essere superiori perchè
buonisti e amici dell'invasione straniera,e quindi legittimati alla censura.
Post by VR
Falle.. e vedrai che ti si risponde..
parlo di scienziati e non di politici.Alludevo a un dibattito scientifico
Artamano
2007-11-09 21:53:46 UTC
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http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=2368&parametro=cultura


Sulla «inferiorità mentale» del negro e di altri...
Maurizio Blondet
01/11/2007

E così il professor James Watson ha dovuto scusarsi di aver detto che i
negri sono meno intelligenti dei bianchi: meno per convinzione, credo, che
per panico.
Il suo fitto calendario di conferenze (pagate benissimo) s'era di colpo
ridotto: le università cancellavano gli inviti a catena.
Scopritore della struttura del DNA, Nobel 1962, Watson è la dimostrazione
vivente, esemplare, della direzione a cui porta il brutale scientismo
riduzionista anglosassone: al razzismo biologico.
Ma le riflessioni non possono finire qui.
Sfidiamo il tabù che ha rovinato l'esimio scienziato.
Magari ha ragione lui.
Un mio giovane amico ingegnere, di nessuna propensione al razzismo - anzi ha
lavorato due anni nell'Africa occidentale, sia per fare esperienza di lavoro
duro, sia per «dare una mano» allo sviluppo laggiù - mi ha raccontato
sgomento il seguente episodio.
Un giorno, in ufficio, il suo impiegato negro, giovane computerista gli dice
di aver spedito una email d'affari.
«Ah peccato!», esclama l'ingegnere, «volevo rivederla, non era completa».
«Nulla di male, l'ho appena mandata!», grida il negro, e si precipita
a ..strizzare con le mani il cavo del computer, quasi potesse con ciò
rallentare la mail.
Persino i missionari, in privato, raccontano episodi del genere.
Come minimo, bisogna ammettere che i negri (anche quelli americani) rivelano
immense stupefacenti lacune nel «sapere moderno», effetto di migliaia d'anni
di un processo di civilizzazione cui non hanno partecipato.
Attenzione però.
Sarebbe interessante indagare quanti bianchi italiani hanno dell'elettricità
la stessa idea del negro di cui sopra, come di una sorta di fluido o liquido
che scorre nei «tubi».
Magari, al più, sanno che la corrente elettrica è molto più rapida del pigro
fiume Limpopo, a cui il negro pensa quando gli si parla di «corrente».
Vagamente, ha sentito parlare di «velocità della luce».
Inoltre: forse che i camorristi napoletani, che impediscono lo sviluppo di
Pompei da cui ricavano i loro micragnosi introiti, rivelano un'intelligenza
superiore al negro?
E le tifoserie che si scontrano in piazza per una partita, sono più
intelligenti?
E' più intelligente di un negro, Conchita?



Parlo di Conchita de Gregorio, giornalista di Repubblica, e non delle
ultime.
Questa settimana è lei che conduce la rassegna-stampa mattutina a RAI3.
E la cosa più divertente e rivelatrice sta nelle risposte che dà alle
domande dei lettori: un repertorio dei luoghi comuni autorizzati e vigenti.
E' come se Conchita traesse prontamente le sue risposte, le sue «idee», le
sue «opinioni», da un ricettario di «idées reçues» che tiene sulla
scrivania.
Sentita la domanda, l'ascoltatore avvertito può già immaginare la risposta
di Conchita, sfogliando idealmente quel vocabolario anche prima di lei.
Non è difficile.
Il ricettario è quello del «politicamente corretto»,
permissivo-trasgressivo, radical-chic, dei cosiddetti «valori laici» di
Repubblica.
Il repertorio completo.
A cui la brava Conchita aderisce di tutto cuore, senza nemmeno immaginare
che tali «idee» possano essere discusse e contraddette.
E chi le contraddice - come la Chiesa che ha chiesto per i farmacisti il
diritto all'obiezione di coscienza per non vendere una pillola abortiva -
suscita la sua indignazione e la sua rivolta: si è trasgredito al ricettario
delle «idees reçues».
Come ci si permette di pensare altrimenti?
«Idee ricevute», chiamano infatti i francesi i luoghi comuni: ossia idee che
la gente non pensa in proprio, ma riceve dal suo ambiente di riferimento già
confezionate.
Attualmente, il permissivismo trasgressivo ha l'assenso di Conchita perché è
il «senso comune» vigente, ciò che pensano tutti, che è autorizzato.
Fosse vissuta mezzo secolo fa, quando il senso comune vigente era ancora
grosso modo cattolico, la stessa persona vi avrebbe aderito con la stessa
a-criticità.
Cento anni prima, Conchita sarebbe stata la Maestrina della Penna Rossa, e
avrebbe custodito la vigenza dell'epoca, il patriottismo
risorgimentale-massonico alla De Amicis.
Infinite maestrine della penna rossa hanno difeso il senso comune vigente al
tempo loro: fascismo in Italia, comunismo in Russia, si sono fondati
fortemente sull'entusiasmo volonteroso di queste custodi ed educatrici.



Ahimè, questa funzione a-critica di sorveglianza del conformismo corrente è
spessissimo femminile.
Per questo motivo un grande medico del primo '900, Moebius, scrisse un
trattatello dal titolo «L'inferiorità mentale della donna».
Odiatissimo dalle femministe, oggi libro-tabù.
Moebius aveva le stesse ragioni e gli stessi torti di Watson: etichettare
come «naturale» un fenomeno «culturale».
Una cosa infatti accomuna (salvo eccezioni) negri, donne, camorristi e
tifoserie: tutti sono bipedi fortemente «socializzati».
Il che non significa che siano socievoli.
Significa che traggono tutto il loro sistema di convinzioni, di credenze, e
di «valori» non dalla propria testa, ma dal gruppo a cui aderiscono.
Come esseri pensanti, non vivono in proprio, ma sono vissuti dal gruppo
sociale.
In Africa o in America, se il negro pare meno intelligente, è essenzialmente
perché la società negra non valorizza l'intelligenza.
Valorizza altre cose: i complessi rapporti di parentele, di amicizia e di
solidarietà tribale; il machismo, la potenza sessuale, il «manas» dei capi,
i poteri magici degli stregoni.
Nella società camorrista, i «valori» che vengono «promossi» e approvati sono
ben noti: e il disprezzo collettivo schiaccia chi mostri, poniamo, un
qualche interesse allo studio.
Fra le donne, non è l'intelligenza che conta davvero.
Contano altre cose, dalla socialità vigente alla chiacchiera salottiera,
fino alla maternità (anche le giornaliste progressiste in carriera, verso i
40, sentono l'urgenza biologica di avere un figlio: e allora, dopo anni di
pillole e preservativi, si trascinano da un laboratorio all'altro di
fecondazione in vitro, artificiale, teleguidata).
Il fenomeno è molto più vasto e generale, non riguarda solo negri, donne e
camorristi.
Nella sua forma più acuta, questo conformismo è enormemente visibile negli
adolescenti.
Essi aderiscono spasmodicamente al giudizio del gruppo o del branco dei
coetanei, alle sue mode, ai suoi «modi», linguaggi e segni di status: fino
al punto da soffrire acutamente, dolorosissimamente, se non possono avere
«quel» capo di vestiario o «quel» telefonino o quella griffe che sono, al
momento, approvati dal gruppo.
Essi «dipendono» totalmente dal gruppo chiuso degli altri adolescenti.
Come mai?



Perché gli adolescenti non possiedono ancora un «io» proprio, che è il
risultato faticoso di maturità, esperienze e solitudine.
Il loro «io» è quello collettivo, che trovano presente nel branco.
I loro desideri non sono «loro», sono quelli dello sciame coetaneo.
A questi aderiscono compulsivamente, per non essere giudicati «male» dal
collettivo: e lo fanno senza a-criticità, credendo per di più di essere,
solo se si vestono come gli altri, «originali» e «autentici».
Commovente e ridicolo spettacolo della pubertà, in qualche modo fisiologico.
Tollerabile, purchè sia passeggero.
Ma passeggero non è, specie in certe epoche.
Oggi vediamo un pullulare di conformismi adulti: potrei raccontarvi come la
micro-società dei giornalisti abbia i suoi totem e i suoi tabù.
C'è un conformismo degli scienziati - chi esprime dubbi sull'evoluzionismo
in quell'ambiente è «fuori».
C'è un conformismo degli economisti: il liberismo globale vigente è la sola
teoria autorizzata. Persino una teoria che si sa sbagliata viene mantenuta
vigente dal «sistema» di promozioni e di punizioni sociali, e applicata
rovinosamente, almeno fino a quando non se ne impone un'altra al «senso
comune».
Il Fondo Monetario ha imposto la teoria autorizzata a Paesi deboli, fino a
rovinarli: constatata la rovina, ha continuato ad applicarla.
Così il sistema tolemaico resistette a lungo al sistema copernicano, fino a
quando quella visione del mondo cosmico non divenne «autorizzata», essa
stessa luogo comune, «idea ricevuta» che non occorreva ripensare in proprio
fino in fondo.
Ma la post-modernità ha anch'essa la sua Scolastica conformista, il
ricettario delle idee pronte, surgelate e pre-cotte.
Colpa del grande Aristotile: che, troppo generoso, definì l'uomo «animale
razionale».
Se davvero fossimo razionali, i fenomeni sociali più atroci sarebbero
incomprensibili.



Pensiamo alla società azteca, che dal fatto più ricorrente ed evidente del
cosmo - il sorgere e tramontare del sole - ricavò la razionalissima
conclusione che, se non si facevano migliaia di sacrifici umani, il sole si
sarebbe spento per mancanza di nutrimento.
Ma non c'è bisogno di andare così indietro nel tempo.
Pensate a Pol Pot e al regime massacratore «scientifico» che instaurò; e
pensate a Veltroni, che riscuote applausi per aver ammesso - con un certo
ritardo - che i campi della morte comunisti sono simili ai lager nazisti.
Razionali?
Per favore.
«Sociali» sì, ossia conformisti.
Veltroni ha detto la cosa «autorizzata» oggi, ma che trent'anni fa non si
poteva dire senza rischio personale di carriera.
Sicuramente l'uomo è un animale «culturale», ma ciò non è lo stesso che
affermare che l'uomo è un essere «pensante» per natura.
La natura ha dato all'uomo la facoltà, la potenzialità di pensare.
Ma l'uomo - negro africano, bianco banchiere di Wall Street, giornalista di
Repubblica - evita più che può di usare questa facoltà così faticosa, così
«innaturale».
Generalmente, si limita ad aderire alla costellazione di convinzioni, tabù e
credenze generali che ha ricevuto dalla società cui appartiene.
Vive nella «cultura» vigente, preconfezionata, come fosse il mondo: reale,
tangibile, oggettivo.
Le società umane, in questo «mondo» conformista e pre-cotto, ci vivono
benissimo.
Possono viverci per secoli, per millenni, credendo come gli aztechi che il
sole debba essere alimentato da sangue umano: senza esprimere il minimo
dubbio su questa teoria.
Conchita vive nel «mondo di Repubblica» con l'agiata convinzione a-critica
con cui il watusso vive nel «mondo» dei suoi valori tribali: dove la cosa
che dà prestigio e potere non è l'intelligenza e il pensiero, ma la quantità
di vacche nell'armento, l'aver ucciso un leone con la zagaglia, essere
ornati di scarificazioni di moda.
Società tradizionali hanno vissuto così, immobili, per millenni.
Ciò non è sempre un male.
In ogni caso, consente agli individui di risparmiare molta energia psichica,
lasciandone a sufficienza per le «normali»occupazioni quotidiane.
Solo che nelle società tradizionali (asiatiche per esempio) lo scopo sociale
autorizzato e approvato era almeno altissimo: la liberazione da questo
mondo, la saggezza, il contatto col divino.
Ciò che non si può dire di Repubblica né di Wall Street.
No.



L'uomo, normalmente, non pensa.
Si mette a pensare solo quando è «obbligato» a farlo.
Ossia quando il suo «mondo» - il sistema di credenze vigenti nella sua
società - viene messo in crisi.
Può accadere per fattori esterni, l'arrivo dell'uomo bianco nelle isole del
Pacifico, tra i negri, o tra i pellerossa.
Anche allora, tuttavia, la società può reagire escludendo il pensiero:
preferendo l'estinzione al pensare.
Abbiamo esempi contrari: in Giappone, l'arrivo dell'uomo bianco (le navi
dell'ammiraglio Perry) suscitò un ripensamento epocale della costellazione
di valori e credenze nazionali, e la decisione di adeguarsi alla modernità
studiandola a fondo per impadronirsi dei suoi segreti tecnici.
Ma si noti: fu una decisione presa dall'alto, e approvata socialmente.
L'imperatore ordinò ai suoi giapponesi «Pensate, studiate».
Ai samurai, impose di diventare imprenditori.
E fu lui a mandare i migliori in Europa e in America a studiare scienze,
filosofie, sistemi giuridici, persino la pittura.
Solo perché il pensiero divenne sinonimo di patriottismo, fedeltà e
prestigio, ci si mise a pensare da capo.
Perché «pensare» è un processo difficile e doloroso, che si fa solo quando
ci si sente in pericolo nel mondo, spersi nel mondo delle credenze
socialmente approvate, che si sentono ormai tragicamente inadeguate alla
propria stessa sopravvivenza.
Per pensare, l'uomo deve fare una cosa «innaturale»: entrare in sé stesso.
Abbandonare provvisoriamente la società, le sue approvazioni e i suoi
divieti, e rimettersi a
ri-pensare in proprio ciò che aveva dato per scontato.
Ma è proprio vero che la Terra è piatta, o non sarà una palla?
Come si può fare una macchina capace di volare?
Esistono davvero i microbi?
Entrare in se stesso è terribile, e la maggior parte degli uomini evitano in
tutti i modi di farlo.
Perché ciò significa trovarsi a tu per tu con se stessi.
Nella propria solitudine radicale.



La società («loro», «gli altri») mi suggerisce cosa devo volere: discoteca,
Coca Cola, successo soldi, o anche solo coca(ina).
Ma «io», personalmente »io», che cosa voglio?
Sono quelli i miei desideri, le «mie» aspirazioni?
«Loro» mi dicono che mestiere devo fare.
Ma «io», che mestiere voglio fare?
«Loro» vietano di pensare all'evoluzionismo in modo critico.
Ma «io» sono in grado di pensare altrimenti?
E di sfidare le punizioni e le emarginazioni che loro sono in grado di
applicare contro chi «pensa altrimenti»?
Non solo questo è difficile e poco produttivo per il proprio successo
sociale, per il quale conviene fare quel che si è sempre fatto da tutti gli
altri.
L'incontro con il proprio «io» può essere penoso: si può scoprire di non
avere un «io», ma al suo posto un repertorio, un ricettario di «idee» e
«opinioni» che abbiamo ricevuto dal collettivo.
Ed a cui non corrisponde alcuna esperienza veramente, autenticamente
«nostra».
Solo in casi disperati si può adattarsi ad un simile esercizio.
Quando il nostro mondo crolla.
In Occidente, il pensiero cominciò perché il cinismo dei sofisti aveva messo
in crisi la costellazione della cultura greca.
Era entrato un dubbio fondamentale e dirompente sugli dèi, sul valore dei
«misteri» di Eleusi e dell'iniziazione.
E ciò devastava l'ordine sociale, dava valore alla ricchezza comunque
conseguita; si insegnava a far prevalere nei tribunali «il discorso
ingiusto» sulla giustizia.
Bisognò ripensare: che cosa è il giusto?
Cosa è il vero?
Cos'è il bello?
Ciò che per secoli era stato trasmesso «a bocca chiusa» (questo significa la
parola «mistero»), l'indicibile saggezza - che Sparta conservava nel suo
alto silenzio - dovette essere ripensato da capo, esplicitato, argomentato,
dibattuto polemicamente.
Cominciò Socrate - e subì la pena capitale.
Continuò Platone.
E' cominciato così, l'Occidente.



La società dovette riconoscere a chi pensava (pochissimi) il prestigio.
E' questo che ha dato alla civiltà nostra una certa elasticità, e una
qualche capacità di superare le crisi epocali, superiore a quella degli
africani.
Ma questo riconoscimento è del tutto teorico anche in Occidente.
Chiunque abbia pensato da capo - persino nella scienza, entità che gode del
massimo prestigio - ha incontrato opposizioni, disprezzo e incredulità,
difficoltà, spesso punizioni ed emarginazioni.
Il caso ritorna con speciale gravità oggi.
La costellazione di valori dell'Ottocento - la modernità positivista, che
ha dato all'uomo bianco i suoi successi imperiali e tecnici - è palesemente
in crisi.
Riconosciamo che non è più adeguata.
E ci angoscia il pullulare di «costellazioni di valori» che nascono ogni
giorno da micro-società, siano i camorristi o i giornalisti, gli economisti
o i discotecari, che si affermano con arroganza e che viviamo come una
rottura della unità fondamentale della nostra cultura.
Ammettiamo di essere entrati in un tempo nuovo: ma non sappiamo nemmeno
definirlo, tanto che lo chiamiamo «post-modernità».
Pensate la differenza: già i primi umanisti chiamarono la loro epoca
«Rinascimento».
Noi, siamo quelli che «vengono dopo» i moderni.
E infatti, continuiamo ad applicare più o meno gli stessi parametri, da
mezzo secolo, ripetendo e riproponendo gli stessi errori: c'è persino chi
indica, come rimedio a questa frattura dell'unità, una «rifondazione
comunista».
Oppure uno scientismo biologico sostanzialmente hitleriano, o un
riduzionismo smentito ogni giorno dalle scoperte; o un relativismo etico
dissolutore e suicida.
Sarebbe urgente mettersi a ripensare da capo tutto: sistema scolastico,
sistema giuridico, basi della scienza, filosofia, le recenti esperienze
storiche.
Sarebbe urgentissimo rigettare le idee ricevute e sottoporle a critica a
tutto spettro, senza tabù.
Ma mai come oggi, ciò è vietato.
Mai come oggi, i grandi media ripropongono i conformismi di cinquanta e di
trent'anni fa, censurando, deridendo, demonizzando e silenziando chi prova a
«pensare».
Infinite maestrine della penna rossa (da Odifreddi a Conchita, da Veronesi a
Visco, ai cattedratici universitari) sono lì a custodire il ricettario dei
luoghi comuni, a mantenerlo vigente con le punizioni sociali relative.
Mai come oggi la cappa è stata più densa e priva di fessure, totalitaria.



Oh, se avesse ragione il professor Watson!
Vorrebbe dire che noi bianchi abbiamo nel DNA bianco, «per natura», la forza
di lacerare questa cappa.
Ma temo molto che non sia così.
E se non è così, vuol dire che a forza di conformismo e divieti di pensare,
stiamo diventando negri (1).

Maurizio Blondet




--------------------------------------------------------------------------------
Note
1) A conferma di quanto detto, vedrete che diversi lettori mi scriveranno
rimproverandomi per aver usato la parola «negro», da loro ritenuta
politicamente scorretta e magari poco cristiana, in quanto offensiva. Questo
occhiuto conformismo che impone divieti sulle parole, e che i privati
lettori si sentono in dovere di applicare poliziescamente, dice tutto sulla
nostra triste condizione sociale a-pensante.




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F. Bertolazzi
2007-11-05 01:54:13 UTC
Permalink
Post by VR
Bah.. di nuovo e plonk!
Stavo per scriverti "e chissene", ma vedo sotto che il primo sei tu.
F. Bertolazzi
2007-10-30 22:58:06 UTC
Permalink
Post by VR
On Tue, 30 Oct 2007 08:08:59 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Che le razze non esistono...
LOL.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
E' esattamente ciò che avviene. Davvero non te ne sei mai accorto?
MI sono accorto della xenofobia..
Ed invece non ti sei accorto del fatto che gli Ebrei tendono a coalizzarsi
fra loro (e fanno bene, essendo più onesti ed intelligenti delle
popolazioni che li ospitano), che i colleghi "afroamericani", quando sono
fra loro, non ti salutano, che gli Albanesi sfottono i Romeni e li prendono
a cacciavitate (cronaca settimana scorsa), che gli "afroafricani" venerano
l'uomo bianco (è questo il vero "mal d'Africa"), che i musulmani si sentono
in dovere di diffondere le immagini in cui sgozzano ostaggi Europei,
eccetera. Insomma, non direi tu abbia una visione obiettiva e complessiva
del problema.
Post by VR
collegati.. ovvero dell'odio "irrazionale" verso chi ha il "difetto"
di essere inteso di una specifica "razza" (nera) o specifica "etnia"
(ebrea) etc.
Difetto? Guarda che gli Ebrei si proclamano da sempre "popolo eletto".
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
E' quindi logico e fortunato che includiamo nella cerchia "familiare" tutta la gente simile a noi.
Si'.. Ma questo non e' razzismo.
Chiamalo come ti pare, se il termine disturba le tue convinzioni
ideologiche.
Post by VR
E questo secondo te e' razzismo? Quello che viene da certa gente?
"certa gente"? Intendi dire che ci sono persone la cui opinione non ha
valore? Alla faccia del razzismo!
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
LOL. Per poter sperare di arrampicarsi sugli specchi è buona norma non
inciampare nei propri piedi. Cambia argomento, và.
Post by VR
Inoltre. Siamo cacciatori raccoglitori - psicologicamente parlando -
ovvero individui non propensi all'accumulo ma alla spartizione..
"Ovvero". Splendido. Un'affermazione campata in aria per legittimarne una
ancor meno dimostrabile. Mi sembri prigioniero delle tue stesse parole,
rimbalzi da un paralogismo ad un altro senza soluzione di continuità.
Post by VR
ma nessuno di noi invoca questo per contestare la corsa
all'individualismo e proporre una società fondata di nuovo sulla
spartizione..
Fortunato tu, che non hai visto l'intervento in Parlamento di un qualche
esponente della sinistra cialtrona protestare contro un minidocumentario
andato in onda sulla RAI riguardo la rivoluzione di Ottobre e le tragedie
che ne conseguirono. Lo sai che in Italia, oltre a persone di razze
diverse, ci sono ben due partiti (tra quelli rappresentati in Parlamento)
che si fregiano dell'appellativo "Comunista"?
Post by VR
Ma guarda tu..
Qui invece si'.. non si vede la differenza?
Cosa vuoi dire?
VR
2007-10-31 15:01:15 UTC
Permalink
On Tue, 30 Oct 2007 22:58:06 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
On Tue, 30 Oct 2007 08:08:59 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Allora.. la razza non esiste..
In che senso?
Che le razze non esistono...
LOL.
Qualcosa da obiettare - di scientificamente valido?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Ovvero.. diffidenza "per tutti quelli esterni alla cerchia parentale".
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
E' esattamente ciò che avviene. Davvero non te ne sei mai accorto?
MI sono accorto della xenofobia..
Ed invece non ti sei accorto del fatto che gli Ebrei tendono a coalizzarsi
fra loro (e fanno bene, essendo più onesti ed intelligenti delle
popolazioni che li ospitano),
più onesti ed intelligenti delle popolazioni che li ospitano

Orpo!? E su quali basi dici questo di grazia?
Post by F. Bertolazzi
che i colleghi "afroamericani", quando sono
fra loro, non ti salutano,
E con questo?
Post by F. Bertolazzi
che gli Albanesi sfottono i Romeni e li prendono a cacciavitate (cronaca settimana scorsa),
che gli "afroafricani" venerano l'uomo bianco (è questo il vero "mal d'Africa"),
Venerano?
Post by F. Bertolazzi
che i musulmani si sentono in dovere di diffondere le immagini in cui sgozzano ostaggi Europei,
eccetera. Insomma, non direi tu abbia una visione obiettiva e complessiva
del problema.
E tutto questo orrore secondo te ha una base genetica? Quale di
grazia?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
collegati.. ovvero dell'odio "irrazionale" verso chi ha il "difetto"
di essere inteso di una specifica "razza" (nera) o specifica "etnia"
(ebrea) etc.
Difetto? Guarda che gli Ebrei si proclamano da sempre "popolo eletto".
Secondo te il razzismo nazista - e non solo.. prova a pensare alla
"cattolicissima Polonia" - chi aveva come oggetto?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
E' quindi logico e fortunato che includiamo nella cerchia "familiare" tutta la gente simile a noi.
Si'.. Ma questo non e' razzismo.
Chiamalo come ti pare,
No. Lo chiamo come e'. Non e' razzismo.
Post by F. Bertolazzi
se il termine disturba le tue convinzioni ideologiche.
Ma a me non disturba mica il termine, ma dissento dal contenuto..
perche' non e' fondato su quella base genetica come si vuol far
passare..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
E questo secondo te e' razzismo? Quello che viene da certa gente?
"certa gente"?
Artamano nella fattispecie.
Post by F. Bertolazzi
Intendi dire che ci sono persone la cui opinione non ha
valore?
Bisogna che ti rileggi e rivaluti le tue convinzioni. "Nessuna
opinione" ha valore di per se'. Le mie opinioni non hanno valore.. se
sono soggettive. Ovviamente ognuno ha la liceità di esprimere in
libertà le proprie opinioni.. ne volessi. Ma in quanto tali.. a me,
che mi interesso solo di aspetti epistemologicamente validi, di queste
rispettabili opinioni non e' che ce ne sia una che abbia piu' valore
di altre se non supportate da riscontri oggettivi.
E vediamo di non confondere il rispetto per la persona per il rispetto
di una mera opinione.
Post by F. Bertolazzi
Alla faccia del razzismo!
Il razzismo non e' questo mio caro.. bisogna che verifichi le tue
opinioni.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
LOL.
Cosi' e' (viste le evidenze) .. anche se non ti pare.. QED!
Post by F. Bertolazzi
Per poter sperare di arrampicarsi sugli specchi è buona norma non
inciampare nei propri piedi. Cambia argomento, và.
Ma sara'.. Informati tu piuttosto e smetti di idolatrare le tue
opinioni..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Inoltre. Siamo cacciatori raccoglitori - psicologicamente parlando -
ovvero individui non propensi all'accumulo ma alla spartizione..
"Ovvero". Splendido. Un'affermazione campata in aria per legittimarne una
ancor meno dimostrabile.
Campata per aria? O bella questa.. ma chi te le suggerisce..

Lei e' un ignorante.. si informi.. (Antonio de Curtis) :-)
Post by F. Bertolazzi
Mi sembri prigioniero delle tue stesse parole,
rimbalzi da un paralogismo ad un altro senza soluzione di continuità.
Ti sembra. A posto. Ma chi se ne frega? E' una tua opinione certo.. ed
un tuo problema. Una volta rispettatoti nella sua formulazione.. la
cosa finisce.. Ovvero.. resta tale. "Mera opinione". Punto
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
ma nessuno di noi invoca questo per contestare la corsa
all'individualismo e proporre una società fondata di nuovo sulla
spartizione..
Fortunato tu, che non hai visto l'intervento in Parlamento di un qualche
esponente della sinistra cialtrona protestare contro un minidocumentario
andato in onda sulla RAI riguardo la rivoluzione di Ottobre e le tragedie
che ne conseguirono.
L'ho visto. Mi spieghi che c'azzecca?
Post by F. Bertolazzi
Lo sai che in Italia, oltre a persone di razze
diverse, ci sono ben due partiti (tra quelli rappresentati in Parlamento)
che si fregiano dell'appellativo "Comunista"?
Mai stato comunista. Se ti serve per iniziare a capire..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Ma guarda tu..
Qui invece si'.. non si vede la differenza?
Cosa vuoi dire?
Che non la vedi. (Tu).
E non e' una mia opinione.. ma un fatto.. che tu hai indicato

Stammi bene ed informati meglio.. e non su qualche NG di politica del
menga..



VR
F. Bertolazzi
2007-10-31 16:31:15 UTC
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Post by VR
On Tue, 30 Oct 2007 22:58:06 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
LOL.
Qualcosa da obiettare - di scientificamente valido?
Sì. Che i negri sono scuri e ricciuti ed i gialli hanno gli occhi a
mandorla ed i capelli neri stesi. Più scientificamente evidente di così
cosa vuoi?

Se poi mi vieni a dire che abbiamo il 99,9% dei geni in comune, ti dirò che
ne abbiamo, mi pare, l'80% in comune coi lieviti, ed è logico che sia così,
dato che i mattoni sono sempre più o meno gli stessi.

Ma la parte decodificata del genoma umano è un'inezia, se raffrontata alla
ben più grande parte che codifica RNA, ovvero quello che decide come
montare i mattoni.
Post by VR
più onesti ed intelligenti delle popolazioni che li ospitano
Orpo!? E su quali basi dici questo di grazia?
Sul fatto che sono abbastanza onesti (o cinici) da aiutare i più in gamba
dei loro e guardare in faccia la realtà quando gli nasce un figlio scemo.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
che i colleghi "afroamericani", quando sono
fra loro, non ti salutano,
E con questo?
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
Io volevo solo dimostrarti che ciò è vero.
E che quindi Artamano ha ragione e tu torto.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
che gli Albanesi sfottono i Romeni e li prendono a cacciavitate (cronaca settimana scorsa),
che gli "afroafricani" venerano l'uomo bianco (è questo il vero "mal d'Africa"),
Venerano?
Venerano. Il figlio maggiore della mia migliore amica (che ha sacrificato
una laurea alla Bocconi per i negri) è nato e cresciuto in Africa. Quando
lo abbiamo portato ai giardinetti qui in Italia era evidentemente stupito
che tutti gli altri bambini non gli corressero incontro felici.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Difetto? Guarda che gli Ebrei si proclamano da sempre "popolo eletto".
Secondo te il razzismo nazista - e non solo.. prova a pensare alla
"cattolicissima Polonia" - chi aveva come oggetto?
Ma non era un odio irrazionale, quello nazista. Era calcolato per benino.
I Polacchi sono bestie, e come tutte le bestie sono facili da sfruttare.
E come tutte le bestie danno la colpa delle loro carenze agli altri (nella
fattispecie personalizzate negli Ebrei) e si comportano da bestie.
Post by VR
Ma a me non disturba mica il termine, ma dissento dal contenuto..
perche' non e' fondato su quella base genetica come si vuol far
passare..
Ma tu che ne sai della base genetica? O hai già decodificato il proteoma e
la produzione di RNA?
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Intendi dire che ci sono persone la cui opinione non ha
valore?
Bisogna che ti rileggi e rivaluti le tue convinzioni. "Nessuna
opinione" ha valore di per se'. Le mie opinioni non hanno valore.. se
sono soggettive. Ovviamente ognuno ha la liceità di esprimere in
libertà le proprie opinioni.. ne volessi. Ma in quanto tali.. a me,
che mi interesso solo di aspetti epistemologicamente validi, di queste
rispettabili opinioni non e' che ce ne sia una che abbia piu' valore
di altre se non supportate da riscontri oggettivi.
E vediamo di non confondere il rispetto per la persona per il rispetto
di una mera opinione.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
Una supercazzola ben prematurata, non c'è che dire.
Post by VR
Ma sara'.. Informati tu piuttosto e smetti di idolatrare le tue
opinioni..
C'è una frase molto colorita che indica chi addossa agli altri le proprie
convinzioni.
Post by VR
Lei e' un ignorante.. si informi.. (Antonio de Curtis) :-)
Lei si aggorni, duttò. Non può tirare in ballo "dimostrazioni scientifiche"
che, al momento, *nessuno al mondo* può fornire. Siamo ignoranti.

La differenza è che io, almeno, so di non sapere.
VR
2007-11-01 10:53:24 UTC
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On Wed, 31 Oct 2007 16:31:15 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
On Tue, 30 Oct 2007 22:58:06 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
LOL.
Qualcosa da obiettare - di scientificamente valido?
Sì. Che i negri sono scuri e ricciuti ed i gialli hanno gli occhi a
mandorla ed i capelli neri stesi. Più scientificamente evidente di così
cosa vuoi?
Ovvero questo fa' "razza"? Accidenti.. :-)
Post by F. Bertolazzi
Se poi mi vieni a dire che abbiamo il 99,9% dei geni in comune, ti dirò che
ne abbiamo, mi pare, l'80% in comune coi lieviti,
Sbagliato.. circa 40%.
Post by F. Bertolazzi
ed è logico che sia così,
dato che i mattoni sono sempre più o meno gli stessi.
Ed allora lasciamo stare il termine razza. Specialmente se ci
riferiamo a certe storture "culturali".
Post by F. Bertolazzi
Ma la parte decodificata del genoma umano è un'inezia,
La parte decodificata (ovvero sequenziata) inezia? Non direi
proprio...
Post by F. Bertolazzi
se raffrontata alla ben più grande parte che codifica RNA, ovvero quello che decide come
montare i mattoni.
Che rappresenta una piccola parte del genoma? Mmmm....
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
più onesti ed intelligenti delle popolazioni che li ospitano
Orpo!? E su quali basi dici questo di grazia?
Sul fatto che sono abbastanza onesti (o cinici) da aiutare i più in gamba
dei loro e guardare in faccia la realtà quando gli nasce un figlio scemo.
Ovvero? Non sei stato chiaro.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
che i colleghi "afroamericani", quando sono
fra loro, non ti salutano,
E con questo?
Dunque se fosse vero quel che dice Artamano.. si dovrebbe osservare
atteggiamento "razzista" di ispanici, asiatici, aborigeni australiani
e neri nei confronti di "bianchi".. di "ebrei" nei confronti di
"ariani" e quant'altro.
E secondo te non salutare un estraneo e' razzismo? Accidenti.. allora
so' razzista con gli italiani.. e gli italiani son razzisti con me. Se
vado in giro pe' Roma al centro non mi saluta nessuno.. (a prescindere
da colore del viso etc.)
Post by F. Bertolazzi
Io volevo solo dimostrarti che ciò è vero.
E che quindi Artamano ha ragione e tu torto.
Si' bonanotte.. se lo motivi cosi'.. !!!
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
che gli Albanesi sfottono i Romeni e li prendono a cacciavitate (cronaca settimana scorsa),
che gli "afroafricani" venerano l'uomo bianco (è questo il vero "mal d'Africa"),
Venerano?
Venerano. Il figlio maggiore della mia migliore amica (che ha sacrificato
una laurea alla Bocconi per i negri) è nato e cresciuto in Africa.
Quando lo abbiamo portato ai giardinetti qui in Italia era evidentemente stupito
che tutti gli altri bambini non gli corressero incontro felici.
Scusa e che vuol dire? Il bambino della tua amica era "bianco"?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Difetto? Guarda che gli Ebrei si proclamano da sempre "popolo eletto".
Secondo te il razzismo nazista - e non solo.. prova a pensare alla
"cattolicissima Polonia" - chi aveva come oggetto?
Ma non era un odio irrazionale, quello nazista. Era calcolato per benino.
Ovvero era razionale? O istigato razionalmente per motivi
"eso-biologici"? Eh.. sai c'e' da capire quel che indichi...
Post by F. Bertolazzi
I Polacchi sono bestie, e come tutte le bestie sono facili da sfruttare.
E per i Polacchi gli ebrei erano altrettanto..
Post by F. Bertolazzi
E come tutte le bestie danno la colpa delle loro carenze agli altri (nella
fattispecie personalizzate negli Ebrei) e si comportano da bestie.
E questo sarebbe quanto emerso dallo studio riportato all'inizio? Ma
scherziamo?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Ma a me non disturba mica il termine, ma dissento dal contenuto..
perche' non e' fondato su quella base genetica come si vuol far
passare..
Ma tu che ne sai della base genetica?
Vediamo.. che hai da dire?
Post by F. Bertolazzi
O hai già decodificato il proteoma e la produzione di RNA?
Ho solo studiato (ovviamente studiato.. ) come si e' capito come si
formano dei tessuti inerenti - alla fin fine - con il comportamento.
E che queste evidenze escludono l'influsso della base genetica a cui
si vuol far riferimento..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Intendi dire che ci sono persone la cui opinione non ha
valore?
Bisogna che ti rileggi e rivaluti le tue convinzioni. "Nessuna
opinione" ha valore di per se'. Le mie opinioni non hanno valore.. se
sono soggettive. Ovviamente ognuno ha la liceità di esprimere in
libertà le proprie opinioni.. ne volessi. Ma in quanto tali.. a me,
che mi interesso solo di aspetti epistemologicamente validi, di queste
rispettabili opinioni non e' che ce ne sia una che abbia piu' valore
di altre se non supportate da riscontri oggettivi.
E vediamo di non confondere il rispetto per la persona per il rispetto
di una mera opinione.
Nulla da eccepire eh? OK
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
Una supercazzola ben prematurata, non c'è che dire.
Beh.. siam qui.. dicci pure no? Dai.. non temere.. :-)
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Ma sara'.. Informati tu piuttosto e smetti di idolatrare le tue
opinioni..
C'è una frase molto colorita che indica chi addossa agli altri le proprie
convinzioni.
E ce n'e' un'altra - altrettanto colorita - che indica chi parla a
vanvera..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Lei e' un ignorante.. si informi.. (Antonio de Curtis) :-)
Lei si aggorni, duttò. Non può tirare in ballo "dimostrazioni scientifiche"
che, al momento, *nessuno al mondo* può fornire.
Questo e' quel che pensi.. poi basta..
Post by F. Bertolazzi
Siamo ignoranti.
Eh.. lo stai dimostrando..
Post by F. Bertolazzi
La differenza è che io, almeno, so di non sapere.
Ma non sai di stare a parlare di quel che non sai.

Mentre io non mi permetto di parlare di quel che non so'..
E perche'? Perche' so' di non sapere...
Sai... non ti rispondo da un NG di politica del menga.. (e di bassa
Lega - in tutti i sensi - come si puo' vedere) ma da altri NG dove si
parla di ben altro: scienza ovvero, MQ, biologia, etologia,
evoluzionismo etc.
Hai sbattuto veramente male...

Ciao!


VR
F. Bertolazzi
2007-11-01 14:20:32 UTC
Permalink
Post by VR
On Wed, 31 Oct 2007 16:31:15 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Sì. Che i negri sono scuri e ricciuti ed i gialli hanno gli occhi a
mandorla ed i capelli neri stesi. Più scientificamente evidente di così
cosa vuoi?
Ovvero questo fa' "razza"? Accidenti.. :-)
No. C'è anche altro, solo che tu lo vuoi negare.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Se poi mi vieni a dire che abbiamo il 99,9% dei geni in comune, ti dirò che
ne abbiamo, mi pare, l'80% in comune coi lieviti,
Sbagliato.. circa 40%.
Sai che differenza...
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
ed è logico che sia così,
dato che i mattoni sono sempre più o meno gli stessi.
Ed allora lasciamo stare il termine razza. Specialmente se ci
riferiamo a certe storture "culturali".
Con quale scimmia abbiamo il 98% di geni in comune?
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Ma la parte decodificata del genoma umano è un'inezia,
La parte decodificata (ovvero sequenziata) inezia? Non direi
proprio...
Aggiornati.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
se raffrontata alla ben più grande parte che codifica RNA, ovvero quello che decide come
montare i mattoni.
Che rappresenta una piccola parte del genoma? Mmmm....
Esattamente. Hai mai sentito parlare delle "silent sequences", quelle che
non codificano nessuna proteina e si pensava fossero il rimasuglio di virus
conglobati nel nostro DNA, e che sono la maggior parte delle basi contenute
nei due metri e mezzo di doppia elica?

Ecco. Non sono silenti ed inutili per nulla, come era logico supporre, dato
che il poter costruire mattoni non serve a nulla, se non sai come
assemblarli.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Sul fatto che sono abbastanza onesti (o cinici) da aiutare i più in gamba
dei loro e guardare in faccia la realtà quando gli nasce un figlio scemo.
Ovvero? Non sei stato chiaro.
Sono meno nepotisti di noi: se uno vale viene aiutato, se è stupido viene
messo in condizioni di non nuocere.
Post by VR
E secondo te non salutare un estraneo e' razzismo?
Non un estraneo. Un *collega* (come avevo scritto) col quale ti offri il
caffé e chiaccheri spesso e volentieri, che ti mostra con orgoglio i sui
lavori con autocad (pazzesco: una mano sul mouse e l'altra sulla tastiera a
battere comandi abreviati più velocemente di quanto io riesca a scrivere
adesso), una volta siamo anche usciti a prenderci una birra ed è stato due
volte (con altri colleghi) a pranzo a casa mia.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Io volevo solo dimostrarti che ciò è vero.
E che quindi Artamano ha ragione e tu torto.
Si' bonanotte.. se lo motivi cosi'.. !!!
Come dovrei dimostrare una cosa così palese? Sì, gli Ebrei sono molto
razzisti, sì, i negri pure (soprattutto contro gli Italiani, anche per
motivi di criminalità organizzata)
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Quando lo abbiamo portato ai giardinetti qui in Italia era evidentemente stupito
che tutti gli altri bambini non gli corressero incontro felici.
Scusa e che vuol dire? Il bambino della tua amica era "bianco"?
Certo che sì. Per "carissima amica" intendo una conosciuta prima della fine
del liceo, che ho fatto in Italia, quando non c'erano immigrati ed io,
infatti, ero molto antirazzista. Poi ho conosciuto gli "altri" ed ho
cambiato idea. Non sono rimasto stolidamente su posizioni che pretendono di
ignorare la realtà dei fatti.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Ma non era un odio irrazionale, quello nazista. Era calcolato per benino.
Ovvero era razionale? O istigato razionalmente per motivi
"eso-biologici"? Eh.. sai c'e' da capire quel che indichi...
Ma che stai a dire? Perché non parli in Italiano?
Post by VR
E questo sarebbe quanto emerso dallo studio riportato all'inizio? Ma
scherziamo?
Bel modo di procedere: ampli il discorso e poi, quando la tattica ti si
ritorce contro, pretendi di restringerlo di nuovo.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
O hai già decodificato il proteoma e la produzione di RNA?
Ho solo studiato (ovviamente studiato.. ) come si e' capito come si
formano dei tessuti inerenti - alla fin fine - con il comportamento.
E che queste evidenze escludono l'influsso della base genetica a cui
si vuol far riferimento..
Parole in libertà per confondere l'interlocutore o sintomo della tua stessa
confusione mentale?
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Bisogna che ti rileggi e rivaluti le tue convinzioni. "Nessuna
opinione" ha valore di per se'. Le mie opinioni non hanno valore.. se
sono soggettive. Ovviamente ognuno ha la liceità di esprimere in
libertà le proprie opinioni.. ne volessi. Ma in quanto tali.. a me,
che mi interesso solo di aspetti epistemologicamente validi, di queste
rispettabili opinioni non e' che ce ne sia una che abbia piu' valore
di altre se non supportate da riscontri oggettivi.
E vediamo di non confondere il rispetto per la persona per il rispetto
di una mera opinione.
Nulla da eccepire eh? OK
No, nulla da eccepire, nel senso che la supercazzola qui sopra l'ho già
letta una volta e mi è avanzata. 9 righe di aria fritta.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
Una supercazzola ben prematurata, non c'è che dire.
Beh.. siam qui.. dicci pure no? Dai.. non temere.. :-)
Non ho l'hobby delle seghe verbali. Trovati un altro pippaiolo al quale
sciorinare il tuo lessico ipertrofico.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Lei e' un ignorante.. si informi.. (Antonio de Curtis) :-)
Lei si aggorni, duttò. Non può tirare in ballo "dimostrazioni scientifiche"
che, al momento, *nessuno al mondo* può fornire.
Questo e' quel che pensi.. poi basta..
Ti ripeto: solo una piccola parte del genoma umano è stata decodificata, ma
tu sei così ignorante e fiero di esserlo da non esserti neppure documentato
sull'argomento che ti avevo suggerito.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Siamo ignoranti.
Eh.. lo stai dimostrando..
In quali punti? Elencali.
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
La differenza è che io, almeno, so di non sapere.
Ma non sai di stare a parlare di quel che non sai.
Mentre io non mi permetto di parlare di quel che non so'..
E perche'? Perche' so' di non sapere...
Sai... non ti rispondo da un NG di politica del menga..
Non ho mai scritto su nessun NG di politica. E tu sei evidentemente uno
sbruffone che se la tira da scienziato per cercare di dare un valore alle
proprie vuote parole.
Post by VR
Hai sbattuto veramente male...
Dici? Io, almeno, non ho sbandierato credenziali (essendo it.scienza
neppure moderato, sai che credenziali) toppando clamorosamente.

Ti ho sempre risposto su it.scienza, negli altri NG non troverai mai la
minima traccia del sottoscritto, baluba.
VR
2007-11-01 19:06:09 UTC
Permalink
On Thu, 01 Nov 2007 14:20:32 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
On Wed, 31 Oct 2007 16:31:15 GMT, "F. Bertolazzi"
Post by F. Bertolazzi
Sì. Che i negri sono scuri e ricciuti ed i gialli hanno gli occhi a
mandorla ed i capelli neri stesi. Più scientificamente evidente di così
cosa vuoi?
Ovvero questo fa' "razza"? Accidenti.. :-)
No. C'è anche altro, solo che tu lo vuoi negare.
Cosa?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Se poi mi vieni a dire che abbiamo il 99,9% dei geni in comune, ti dirò che
ne abbiamo, mi pare, l'80% in comune coi lieviti,
Sbagliato.. circa 40%.
Sai che differenza...
Beh.. e' differente.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
ed è logico che sia così,
dato che i mattoni sono sempre più o meno gli stessi.
Ed allora lasciamo stare il termine razza. Specialmente se ci
riferiamo a certe storture "culturali".
Con quale scimmia abbiamo il 98% di geni in comune?
Scimpanze' bonombo. Perche'?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Ma la parte decodificata del genoma umano è un'inezia,
La parte decodificata (ovvero sequenziata) inezia? Non direi
proprio...
Aggiornati.
Beh.. se lo dici tu.. ;-)
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
se raffrontata alla ben più grande parte che codifica RNA, ovvero quello che decide come
montare i mattoni.
Che rappresenta una piccola parte del genoma? Mmmm....
Esattamente. Hai mai sentito parlare delle "silent sequences", quelle che
non codificano nessuna proteina e si pensava fossero il rimasuglio di virus
conglobati nel nostro DNA, e che sono la maggior parte delle basi contenute
nei due metri e mezzo di doppia elica?
Certo e con questo?
Post by F. Bertolazzi
Ecco. Non sono silenti ed inutili per nulla, come era logico supporre, dato
che il poter costruire mattoni non serve a nulla, se non sai come
assemblarli.
Bene. E cosa cambierebbe rispetto a quanto detto?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Sul fatto che sono abbastanza onesti (o cinici) da aiutare i più in gamba
dei loro e guardare in faccia la realtà quando gli nasce un figlio scemo.
Ovvero? Non sei stato chiaro.
Sono meno nepotisti di noi: se uno vale viene aiutato, se è stupido viene
messo in condizioni di non nuocere.
Ovvero che sostieni che attuano.. che so'.. l'infanticidio? Scusa ma
non capisco dove tu voglia parare. Puoi essere piu' esplicito?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
E secondo te non salutare un estraneo e' razzismo?
Non un estraneo. Un *collega* (come avevo scritto) col quale ti offri il
caffé e chiaccheri spesso e volentieri, che ti mostra con orgoglio i sui
lavori con autocad (pazzesco: una mano sul mouse e l'altra sulla tastiera a
battere comandi abreviati più velocemente di quanto io riesca a scrivere
adesso), una volta siamo anche usciti a prenderci una birra ed è stato due
volte (con altri colleghi) a pranzo a casa mia.
Eh.. embe'?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Io volevo solo dimostrarti che ciò è vero.
E che quindi Artamano ha ragione e tu torto.
Si' bonanotte.. se lo motivi cosi'.. !!!
Come dovrei dimostrare una cosa così palese?
Per bene.. caro mio non e' che tu sia molto chiaro eh!
Post by F. Bertolazzi
Sì, gli Ebrei sono molto razzisti, sì, i negri pure (soprattutto contro gli Italiani,
anche per motivi di criminalità organizzata)
Allora siamo tutti razzisti contro tutti? E questo sarebbe il frutto
di un condizionamento genetico? E' questo che sostieni?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Quando lo abbiamo portato ai giardinetti qui in Italia era evidentemente stupito
che tutti gli altri bambini non gli corressero incontro felici.
Scusa e che vuol dire? Il bambino della tua amica era "bianco"?
Certo che sì. Per "carissima amica" intendo una conosciuta prima della fine
del liceo, che ho fatto in Italia, quando non c'erano immigrati ed io,
infatti, ero molto antirazzista.
Scusa ma come facevi ad essere antirazzista se la tua indole genetica
ti avrebbe dovuto far essere razzista? Oibo'?
Post by F. Bertolazzi
Poi ho conosciuto gli "altri" ed ho cambiato idea.
E sei diventato razzista. Anzi.. sei tornato ad esser naturalmente
razzista..
Post by F. Bertolazzi
Non sono rimasto stolidamente su posizioni che pretendono di
ignorare la realtà dei fatti.
Infatti.. sei tornato al tuo istinto vero?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Ma non era un odio irrazionale, quello nazista. Era calcolato per benino.
Ovvero era razionale? O istigato razionalmente per motivi
"eso-biologici"? Eh.. sai c'e' da capire quel che indichi...
Ma che stai a dire? Perché non parli in Italiano?
Eh? Cosa avrei detto non in italiano?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
E questo sarebbe quanto emerso dallo studio riportato all'inizio? Ma
scherziamo?
Bel modo di procedere: ampli il discorso e poi, quando la tattica ti si
ritorce contro, pretendi di restringerlo di nuovo.
Dove sarebbe successo?
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
O hai già decodificato il proteoma e la produzione di RNA?
Ho solo studiato (ovviamente studiato.. ) come si e' capito come si
formano dei tessuti inerenti - alla fin fine - con il comportamento.
E che queste evidenze escludono l'influsso della base genetica a cui
si vuol far riferimento..
Parole in libertà per confondere l'interlocutore o sintomo della tua stessa
confusione mentale?
No. Resoconti dell'aspetto esogenetico dell'anatomia fine del sistema
nervoso.
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Bisogna che ti rileggi e rivaluti le tue convinzioni. "Nessuna
opinione" ha valore di per se'. Le mie opinioni non hanno valore.. se
sono soggettive. Ovviamente ognuno ha la liceità di esprimere in
libertà le proprie opinioni.. ne volessi. Ma in quanto tali.. a me,
che mi interesso solo di aspetti epistemologicamente validi, di queste
rispettabili opinioni non e' che ce ne sia una che abbia piu' valore
di altre se non supportate da riscontri oggettivi.
E vediamo di non confondere il rispetto per la persona per il rispetto
di una mera opinione.
Nulla da eccepire eh? OK
No, nulla da eccepire, nel senso che la supercazzola qui sopra l'ho già
letta una volta e mi è avanzata. 9 righe di aria fritta.
Visto.. visto.. :-)
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by VR
ma da aspetti irrazional culturali, cognitivi.
Una supercazzola ben prematurata, non c'è che dire.
Beh.. siam qui.. dicci pure no? Dai.. non temere.. :-)
Non ho l'hobby delle seghe verbali.
Beh.. Quel che scrivi confuta questa tua uscita
Post by F. Bertolazzi
Trovati un altro pippaiolo
Ma chi me lo sostituisce uno come te.. Ma scherzi? :-)
Post by F. Bertolazzi
al quale sciorinare il tuo lessico ipertrofico.
Occhio.. sei tu che hai difetti di comprendonio a quanto pare..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Lei e' un ignorante.. si informi.. (Antonio de Curtis) :-)
Lei si aggorni, duttò. Non può tirare in ballo "dimostrazioni scientifiche"
che, al momento, *nessuno al mondo* può fornire.
Questo e' quel che pensi.. poi basta..
Ti ripeto: solo una piccola parte del genoma umano è stata decodificata,
Si? Quale?
Post by F. Bertolazzi
ma tu sei così ignorante e fiero di esserlo da non esserti neppure documentato
sull'argomento che ti avevo suggerito.
Dici? Vedremo.. vedremo.. :-)
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
Siamo ignoranti.
Eh.. lo stai dimostrando..
In quali punti? Elencali.
Tutti..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Post by F. Bertolazzi
La differenza è che io, almeno, so di non sapere.
Ma non sai di stare a parlare di quel che non sai.
Mentre io non mi permetto di parlare di quel che non so'..
E perche'? Perche' so' di non sapere...
Sai... non ti rispondo da un NG di politica del menga..
Non ho mai scritto su nessun NG di politica.
Non ho detto questo. Come vedi neanche leggi quel che ti si replica.
Post by F. Bertolazzi
E tu sei evidentemente uno sbruffone che se la tira da scienziato
per cercare di dare un valore alle proprie vuote parole.
Dici? Forse che si forse che no..
Post by F. Bertolazzi
Post by VR
Hai sbattuto veramente male...
Dici? Io, almeno, non ho sbandierato credenziali (essendo it.scienza
neppure moderato, sai che credenziali) toppando clamorosamente.
Eh... Bonanotte..
Post by F. Bertolazzi
Ti ho sempre risposto su it.scienza, negli altri NG non troverai mai la
minima traccia del sottoscritto, baluba.
Ehi.. piffero... guarda che c'e' il crosspost.


VR
Artamano
2007-10-29 21:09:29 UTC
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Post by VR
Infatti. Ma "Non e' razzismo".. e' inutile che cerchi di motivare 'sta
stronzata con queste evidenze...
questione di semantica.
Quello che è utile per un picolo gruppo lo è anche per uno più grande purchè
omogeneo.Nessuna epoca storica, nessuna società è mai esistita in cui sia
stato perseguito, coltivato e difeso quel disprezzo della realtà che
contrassegna i tempi modemi. Parte significante, precondizione di tale modo
d'essere e d'agire è la mistificazione semantica - voluta spesso,
stoltamente fatta propria sempre - la distorsione del significato vero,
etimologico delle parole. E' del resto eloquente il fatto che di "neolingua"
si inizi a parlare solo dal secondo dopoguerra, per indicare uno degli assi
portanti del Mondo Nuovo.

Ad onta di ogni vantata precisione scientifica, che dovrebbe consentire
all'uomo un'analisi dei fatti ed un'espressione di giudizi attraverso l'uso
di vocaboli inequivoci, assistiamo quotidianamente a una doppiezza semantica
che investe lo psichismo di ogni uomo e che da ogni uomo viene rielaborata
ed amplificata sia nella costruzione delle proprie modalità di conoscenza
che nelle relazioni interpersonali. Il risultato di questo sfasamento
paradigmatico nei processi di comunicazione - occhiutamente esercitato dai
mass-media secondo una logica preordinata - conduce l'essere umano non solo
al disordine psicologico, alla perdita di saldi punti di riferimento
concettuale e delle possibilità di accendere un retto discorso comune, ma
financo allo stravolgimento del processo cognitivo, alla perdita della
ragione critica e, letteralmente, della propria mente.


Al proposito, è sintomatico soffermarsi sull'abuso incessante, quasi
ossessivo, di parole quali "fascismo" e "democrazia", da un cinquantennio
caricate di ogni possibile valenza rispettivamente negativa e positiva, al
punto che qualunque esercizio critico nei loro riguardi viene precluso a
colui che non abbia preventivamente ottenuto l'agibilità discorsiva
attraverso l'accettazione di quei diktat semantici socialmente fissati, al
di lá dei quali sarebbe stoltezza, provocazione o follia spingersi. Si pensi
a "democrazia", termine che, se pur non abbandonato come infamante secondo
l'auspicio nietzscheano, andrebbe tuttavia espunto dal linguaggio anche solo
per qualche millennio, onde depurarlo dei motivi passionali e dell'estrema
ambiguità che ne caratterizzano l'odierna accezione. Si pensi agli indebiti
significati assunti dall'aggettivo "democratico", inteso come passaporto
liberatorio al posto di "gentile", "educato", "aperto di mente", e persino
"onesto", "leale", "libero", "umano" mentre, lungi dall'identificare neppure
lontanamente positive connotazioni morali, appartiene invece soltanto ad una
precisa tecnica di governo, o meglio, di manipolazione delle coscienze e,
quindi, del consenso.


L'astrazione esasperata con la quale viene intesa, adoperata e nuovamente
intesa la fraseologia della neolingua non svela comunque una peculiarità
cognitiva maturata spontaneamente nell'estenuato uomo moderno, bensì
riflette la forma mentis di chi ha avuto la forza di radicarla
nell'immaginario linguistico del corpo sociale - dell'oligarchia che da
decenni vive su quel Sistema che estende il suo abbraccio mortale a tutti i
popoli della terra.


Tale astrazione/distorsione, divenuta il succedaneo del mondo reale, non può
però della realtà occupare in modo compiuto, e mantenere, il posto. Non lo
può soprattutto perché l'artifizio dà luogo a scompensi, a scontri, a
lacerazioni, a ripensamenti, in ispecie quando abbia avuto un tempo
sufficiente per palesare nel divenire quotidiano le sue ineluttabili
contraddizioni. Ogni "sembrare" - e questa è l'antica lezione del realismo
indoeuropeo dispiegato nella sapientia romana e machiavellica - non regge,
nel tempo, l'incalzare della storia se non riesce a sostanziarsi in un
"essere". Nello scontro mondano con gli interessi reali, crollano allora,
brutalmente, tutte le costruzioni intellettuali o sentimentali prive di
radici autentiche; crollano, purtroppo però solo dopo avere snaturato il
retaggio dei padri, il tessuto antropologico di quel consorzio umano che ha
preteso di giocare, attraverso vuote parole, con le leggi, dure e cogenti,
del mondo reale. L'accorgersi, il dire, il gridare che "il re è nudo",
diviene a questo punto esercizio retorico, giacché compromesso, a volte per
sempre, è ormai tale retaggio, compromesso è tale tessuto. Retaggio e
tessuto che potranno essere forse ricostruiti nel corso dei decenni
attraverso una attenta, martellante, implacabile opera di informazione e
verifica (troppo abbiamo sofferto per permetterci più una qualche debolezza,
troppa devastazione e rovina abbiamo visto crescerci intorno), attraverso la
selezione dei corpi e l'educazione delle anime - e comunque mai più come
prima.




Riprendendo il discorso sulla valenza strutturale della neolingua nei
confronti del Mondo Nuovo, oltre al significato volutamente distorto
attribuito ai termini-concetto "democrazia" e "fascismo", un terzo vocabolo
detiene, nell'iconografia linguistica del Sistema, la palma della
"tabuizzazione", avendo inglobato e riassunto in sé la totalità delle
valenze negative percepibili dalla mente umana. Se risponde al vero che ogni
epoca possiede un proprio codice semantico, una delle voci distintive - nei
nostri anni la più distintiva - che caratterizzano l'attuale è la parola
"razzismo". Più ancora di "democrazia" e certo ancora più di "fascismo",
entità linguistiche tutto sommato "concrete" e "verificabili" nel
riferimento ad esperienze storiche e a pratiche politiche, l'ideologia
moderna pone a guardia del Sistema, proprio tale terza parola. Incarnando
nell'accezione ordinaria i concetti di "crudeltà", "superbia", "arroganza" e
"disumanità", il "razzismo", vero e proprio Schimpfwort, insulto dalle
risonanze unicamente negative, si disincarna da alcunché di reale, assumendo
le caratteristiche di un a priori esistenziale e morale, di discriminante di
qualsivoglia discorso filosofico, sociologico, storico, politico o religioso
che sia.


La stessa riprovazione provocata nell'opinione generale dalle teorie e dai
comportamenti razzisti contribuisce a rendere più oscuro il problema.
Addirittura, il razzismo cade in Francia come in Italia sotto la scure di
una legge penale che non stabilisce neppure una differenza di qualche
rilievo tra la divulgazione di una teoria razziale (spacciata come
"incitamento all'odio razziale") e i comportamenti, più o meno coerenti con
l'assunto teorico, che eventualmente ne conseguano sul piano concreto. Il
razzismo, in queste condizioni, riguardarebbe più la sistematica penale che
non la storia delle idee. E in ogni caso, secondo i suoi avversari più
"sensibili", quand'anche la malvagità razzista non fosse riconducibile ad
una fattispecie criminale suscitatrice di sdegno profondo (lo "sporco"
razzista, il "rigurgito" razzista), sarebbe assimilabile a una "lebbra", a
una "malattia dello spirito", a un "disturbo della personalità", se non a
pura e semplice "follia" o "imbecillità". Ma "delitto" e "delirio" sono
categorie, secondo la giurisprudenza demo-behaviorista, inconciliabili: se i
razzisti sono pazzi o imbecilli (dobbiamo tale ultimo aggettivo a Giulio
Giorello, docente universitario di filosofia, adepto del "pensiero debole"),
non sono di competenza dei tribunali, ma dei manicomi - si abbia allora il
coraggio di proporre, ed imporre, una Rieducazione a base di psicofarmaci
alla sovietica o di cure analitiche all'americana.


All'opposto, poiché l'azione antirazzista - esistendo dei malfattori
perversi e ignoranti - pretende di realizzare i suoi compiti muovendo
contemporaneamente polizia, giustizia, educazione scolastica e mass-media,
essere antirazzisti significa dichiararsi onesti, normali e colti
(l'intelligenza è scontata). L'antirazzista, ben scrive il sociologo ebreo
Taguieff, "si qualifica quindi sia per le sue virtù che per le sue
competenze e capacità; tende a presentarsi come un problematico di suprema
onestà, un educatore enciclopedico dell'umanità smarrita, un cacciatore di
ignoranze e di malvagità. L'utopia antirazzista consiste nel supporre
possibile la realizzazione di un mondo di buoni e di colti. Basterebbe far
capire ai mistificati, i "razzisti", che sono tratti in inganno da malvagi e
profittatori perché la mistificazione cessasse all'istante di funzionare. A
questa unica e sufficiente condizione, il razzismo scomparirebbe. Non ci
vuol molto a capire che, allora, esso ha ancora una lunga vita davanti a
sé".


L'antirazzista è un Rieducatore, un po' insegnante, un po' poliziotto, un
po' maestro di cerimonie, un po' "benpensante" - un benpensante scioccato
dal comportamento del razzista, il quale finisce col diventare un
minoritario oppresso, un marginale inventivo, un martire della contestazione
degli ultimi tabù della società postmoderna. Per il fatto di essere dotato
del potere di attribuire giudizi morali, l'antirazzista che individui un
razzista e lo definisca tale, si pone fuori e sopra di lui in modo radicale,
postulatorio, in modo, tutto sommato, "razzista". Il razzista viene respinto
a priori dal mondo dei valori "umani", escluso dal dialogo, assimilato a un
delinquente, demonizzato ed oppresso, con tipico capovolgimento retorico,
nella stessa maniera con cui il razzista è accusato opprimere le sue
"vittime". In sostanza, il razzista assume pubbliche stimmate di "razza
inferiore", se non "preumana" o "antiumana".


Per autodefinizione, scrive Taguieff, l'antirazzista è invece una persona
nobile, un pacifista, ma un pacifista particolare, un pacifondaio che
dichiara come già Woodrow Wilson e il pensiero giudaico-disceso - guerra
alla guerra affinché sia l'Ultima Guerra, prima dell'apertura del Regno: "Il
pacifismo antirazzista disvela in tal modo il suo sogno normativo di un
universo umano unificato, omogeneizzato, o di un'umanità assolutamente
riconciliata con se stessa. Ma occorre un'operazione chirurgica preventiva:
amputare il corpo dell'Umanità delle membra sospette di provocare o
alimentare la cancrena in conflitto. Mondare, ripulire, risanare attraverso
la distruzione dei germi di contrapposizione: l'ideale pacifista rivela il
suo motore tanatologico nascosto, la sua fondamentale diffidenza nei
confronti del mondo della vita, popolato di impure contraddizioni,
costituito da inquietanti contrapposizioni. Così l'antirazzismo sprofonda
nell'incoerenza di ingaggiare una guerra totale contro il nemico [... ]
proprio mentre legittima la propria azione con una condanna assoluta di
qualunque guerra. Il pacifismo integrale appare di conseguenza lo strumento
di autolegittimazione più efficace di un'azione bellicosa, in quanto
delegittima assolutamente il proprio nemico".


E' l'ebreo Laurent Fabius, il padre della Repressione francese, già
Presidente socialista del Consiglio con François Mitterrand, ad affermare,
in occasione di una cena antifascista, che: "Va ad onore di una generazione,
largamente presente in questa sede, l'aver debellato i flagelli del razzismo
e dell'antisemitismo. Deve andare ad onore della nuova generazione, nei
tempi di crisi, che sono anche tempi di odio e di demagogia, il non lasciare
che questi flagelli si sviluppino di nuovo". Ecco quindi i rimedi: diuturne
lezioni di storia alternate ad un'educazione appropriata, realizzazione di
una federazione universale di Stati, New World Order, transizione dall'età
militare a quella del commercio, instaurazione di una società "senza classi"
(leggi proletarizzazione dei ceti medi) destinata ad inaugurare l'era della
fraternità universale.


Certamente condividiamo anche noi tale impostazione metodologica, anche noi
riconosciamo l'importanza centrale della difesa dei significati conferiti al
termine "razzismo" dal Sistema o meglio, per quanto ci riguarda, del loro
disvelamento e della loro distruzione. Ogni aspetto della speculazione
intellettuale, dell'azione politica, dell'esegesi storica, della possibilità
di incidere nel mondo reale è legato al mantenimento o alla rovina di quei
significati. Infatti, solo dopo una loro caduta, solo dopo la dimostrazione
della miseria morale dei loro ideatori e sostenitori, solo dopo la
demolizione delle olo-menzogne erette a loro puntello in questi decenni -
solo allora, diverrà possibile l'introduzione di un nuovo paradigma
culturale, più consono alle leggi della vita, compiutamente etico in quanto
veridico e vero. Dell'urgenza tragica di un'azione così concepita,
testimonia il fatto che mai come in altri momenti storici è in gioco
l'esistenza del nostro Sistema di Valori, del Sistema di Valori europeo. E
questo non solo nella sua strutturazione ideologica, estetica o
sentimentale, ma proprio nella sua esistenza concreta, biologica. In palio
c'è la continuità genetica del retaggio dei padri, che è nostro dovere
trasmettere ai figli, e per loro, alle generazioni a venire, che pure mai
vedremo.


"Ciò che abbiamo nel sangue dai nostri padri, idee senza parole" - sentenzia
Oswald Spengler - "è l'unica cosa che garantisce la solidità dell'avvenire".
Custodire nel fluire del tempo le disposizioni ereditarie del corpo e
dell'anima, la stirpe e la virtù ereditata, incama il presupposto per non
smarrirci nel mondo, per indagare chi fummo, sapere chi siamo, affermare chi
saremo. Contro la decadenza della storia affidiamo la protezione più salda e
la conferma più sicura della nostra continuità vitale a germi originari
trasmessici dai nostri antenati, che già essi un tempo custodirono e che noi
custodiamo oggi nel sangue. L'emergenza del momento richiede una lucida
adesione ai princìpi essenziali, esclude tatticismi e cedimenti di sorta,
impone di serrare i ranghi intorno all'ultima certezza che abbiamo: fino a
quando i popoli del Vecchio Continente, segmenti temporali e ricetto
biologico dell'ethos indoeuropeo, potranno vantare la sostanziale
compattezza delle loro stirpi, sarà sempre possibile che essi rinascano per
riannodare le fila di un destino attualmente perduto.


In questa breve porzione del Tempo, in questo limitato settore dello spazio
mondiale, riallacciandoci agli Dei del Sangue e del Suolo noi ripetiamo le
gesta dei nostri antenati, attuiamo l'idea dell'ordine, affermiamo il
sentimento del bello e del buono. Affrontando il discorso sulla razza - sul
diverso spirito che sottende ogni diverso raggruppamento umano - ribadiamo
quanto esso sia ineludibile e pregiudiziale a ogni altro, cartina di
tornasole per ogni serio impegno speculativo, per ogni coerente volontà
operativa.




Dopo che il discorso sul razzismo ha assunto la centralità di cui sopra
discorrevamo, richiamandoci non solo alla più attenta indagine scientifica,
ma ad applicazioni politiche e sociali che, con i vari fascismi, hanno avuto
grande incidenza sulla vita delle nazioni europee nella prima metà del
secolo XX, non parrà fuori luogo qualche considerazione sull'etimologia del
vocabolo "razza", naturale radice del sostantivo "razzismo". L'ipotesi più
accettabile è che essa sia di ascendenza latina derivando da ratio, che ha
il significato di "modo, qualità, natura" e che in tal senso viene
utilizzato da Varrone, Cesare e Cicerone. Da ratio si avrebbe quindi
"razza" - dall'accusativo rationem deriverebbe "ragione" - termine
utilizzato pure da Giovanni Boccaccio e Niccolò Machiavelli per intendere
"specie, sorta, natura".


In tal modo la parola perde però il proprio antico valore, assumendo
l'identico significato - e, in progresso di tempo, sostituendo - il termine
di origine germanica "schiatta" (Stamm, Geschlecht), già adoperato col
valore di "stirpe" (il latino genius, genio, i greci génos ed éthnos). La
parola "razza" si irradia dall'Italia nelle lingue contermini: alla fine del
Quattrocento e ai primi del secolo successivo entra nella lingua francese e
diviene race. Passa contemporaneamente nello spagnolo, raza, nel portoghese,
raça. Con la mediazione del francese perviene più tardi all'inglese, race, e
al tedesco, Rasse, così diventando, in sostanza, termine di valore europeo e
mondiale.


Il termine "razzismo", nell'edizione 1970 del vocabolario Zingarelli, viene
definito con una certa oggettività quale "teoria che esalta le qualità di
una razza e afferma la necessità di conservarla pura da ogni commissione con
altre razze, respingendo queste o tenendole in uno stato di inferiorità ".
Contenuta in nuce già nel pangermanesimo ottocentesco, tale teoria - con
tutti i concetti correlati in termini di antropologia fisica, eugenetica e
antropometria - vede la sua consacrazione politica nel decennio 1930-40,
divenendo una delle colonne portanti della visione del mondo del fascismo
italiano e, ancor più, del nazionalsocialismo (non è qui il caso di
accennare al pratico, quotidiano, volgare razzismo dei vari "popoli scelti",
quali l'ebraico e l'inglese).


Se negli anni Trenta la carica "negativa" del termine la possiamo vedere -
se la vogliamo vedere - nella parte di definizione da noi riportata in
corsivo, è invece nel dopoguerra che il vocabolo assurge a indiscusso a
priori del Male. In tale distorta accezione esso è stato e viene tuttora
terroristicamente usato dal bicefalo schieramento uscito vincitore dal
conflitto mondiale. Ciò al fine preordinato di:

1) celare le innumeri atrocità e gli abusi giuridici compiuti contro gli
avversari fascisti sia prima che dopo la sconfitta, cose per la cui
analitica illustrazione non basterebbero decine di volumi;

2) colpevolizzare, paralizzare per l'etemità le nazioni uscite perdenti,
intese in primo luogo come entità statali, in secondo come portatrici -
nella loro memoria genetica e storica - di un Sistema di Valori irriducibile
all'ideologia vincitrice;

3) annientare, sotto una terminologia che dovrebbe suscitare istintivo
ribrezzo ed orrore, ogni anelito di ripensamento sulle "verità storiche"
imposte con gli assassinii sentenziati nei processi-farsa delle mille
Norimberga.


Termine mediatore, fra i padri putativi della distorta accezione di
"razzismo", è il vocabolo "genocidio", definito, sempre nel dizionario
Zingarelli, come "reato consistente in un complesso organico e preordinato
di attività commesse con l'intento di distruggere in tutto o in parte un
gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso". Tale termine - genocide in
lingua inglese - peculiare del nostro secolo, viene appositamente coniato
dall'ebreo Raphael Lemkin, un funzionario del governo polacco in esilio
rifugiato negli USA dal 1940, attraverso la composizione ibrida del greco
génos, "stirpe", con il suffisso latino -cidium di homi-cidium, "omicidio"
(compare per la prima volta nel volume Axis Rule In Occupied Europe, edito
nel novembre 1944).


Il primo oggetto "concreto" della sua applicazione è, ovviamente, il
"genocidio ebraico", imputato, nella pratica o nel tentativo, alla
Nazi-Germany: "A lungo il termine "genocidio" ha svolto il suo ruolo dando
un sostegno verbale aggiuntivo ed un aggiuntivo dinamismo alle misure che
hanno condotto al processo e all'uccisione dei capi del nemico vinto alla
fine del secondo conflitto mondiale", scrive James Martin. Come già abbiamo
detto, altri esempi di genocidio - per quanto non dell'identica dignità
epocale - sono costituiti dalle stragi compiute a cavallo del secolo e nel
corso del primo conflitto mondiale dai turchi a danno delle genti armene e
dalla millantata "scomparsa" degli zingari sempre ad opera dei "nazi". Si
qualificano invece - con buona dose di eufemismo misto al disprezzo di ogni
oggettività storiografica - come "azioni di difesa" e non come genocidi gli
stermini di decine e decine di etnie indiane nel secolo scorso ad opera dei
nordamericani civilizzatori, e tanto più quelli compiuti e rivendicati (a
buon diritto, Deo duce) dalle genti ebraiche nel Libro. L'annientamento
biologico di etei, amorrei, cananei, girgasei, evei, ferezei, gebusei,
moabiti, ammoniti, amaleciti, etc. - popoli ossessivamente "votati
all'anatema" dall'Altissimo attraverso le azioni del Popolo Consacrato - non
è, né mai sarà tacciabile di "genocidio", come non lo saranno di "razzismo"
la fobia per l'"impuro", l'orrore per la mescolanza, la pia osservanza
giudaica del dettato divino.


Con riferimento specifico allo "sterminio mediante gasazione" degli ebrei
europei, il termine-concetto di "genocidio" assume, negli anni Settanta,
valenze più ampie - religiose e teologiche - divenendo shoah (la biblica
"distruzione totale", "l'uragano distruttore") ed Olocausto, dando forma ad
una Teologia della Soluzione Finale, Endlósung-Theologie, o Teologia del
Sacrificio Totale, Ganzopfer-Theologie.

Se la continuità demografica di un gruppo trova una drastica soluzione di
continuo con lo sterminio fisico di larga parte di esso, altrettanto
pericoloso è lo sterminio culturale rappresentato dall'"etnocidio",
peculiare portato sia del missionarismo religioso (soprattutto cristiano, ma
anche islamico ed anticogiudaico) che della Modernità Occidentale. Ciò che
sparisce, in questo caso, non è tanto l'esistenza fisica di una popolazione
(ma nella memoria ci restano i quattromilacinquecento sassoni di Verden),
bensì la sua cultura, il suo distintivo stile di vita, il suo Sistema di
Valori. In una parola, i suoi Dei.


Pur radicato nella biologia, il termine éthnos ha infatti, rispetto a génos,
un'estensione più ampia e significati meno evidentemente collegati alla base
di parentela. Al proposito afferma Anthony Smith: "Anche se genocidio
significa distruggere "in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso", esso paradossalmente è meno dannoso per la
sopravvivenza dell'etnia vuoi delle politiche governative di etnocidio
progettate per estirpare la cultura di un gruppo e la sua trasmissione
(vedi, per restare al moderno, gli lk dell'Uganda, gli eschimesi, i tuareg,
gli indios amazzonici o gli aborigeni della Nuova Guinea, per non parlare
degli indiani nordamericani), vuoi delle conseguenze impreviste della
conquista e/o dell'immigrazione (considera i nabatei e gli ebrei egiziani
assorbiti dagli arabi, i cazari giudaici scomparsi con la conquista cumana o
i tasmaniani estinti dopo l'arrivo degli inglesi, n.d.A.)".


Una etnia non è comunque solo un gruppo storico strutturato su memorie
comuni, una categoria di popolazione che condivide nome, discendenza, miti,
storia, cultura e territorio, ma è anche una comunità che possiede un senso
definito di identità biologica e di solidarietà generazionale. Proprio
perché le etnie sono così "centrate-sulla-famiglia" e'incorporano il senso
di essere un'unica grande famiglia, i membri si sentono uniti gli uni agli
altri. Dal momento che in ogni famiglia dell'etnia lo stile di vita e la
cultura etnica sono quelle dei suoi antenati, ogni generazione ha una forte
disposizione a conservare e riconoscere quella cultura e quello stile di
vita. Specularmente, è attraverso gli elementi condivisi di stile di vita,
che i membri si rendono consapevoli delle loro eredità familiari.


L'etnicità, conclude l'ebreo Joshua Fishman, "è sempre stata esperita come
un fenomeno di parentela, una continuità all'interno del Sé e di coloro che
condividono un legame intergenerazionale con antenati comuni. E' cruciale
che si riconosca l'etnicità come una realtà tangibile, viva, che di ogni
essere umano fa un anello di una catena eterna che va da una generazione
all'altra dagli antenati del passato a quelli del futuro. L'etnicità è
esperita come garanzia di eternità".


Prescindendo da un'eccessiva acribìa filologica, l'uso dei termini, nella
pratica intercambiabili, di etnia, nazione e razza è soltanto questione di
sfumature, di livelli di espressione diversi (sociologico, storico,
biologico) a significare un'unica realtà, uno stesso concetto.




Le ripercussioni sul termine "razzismo" le possiamo scorgere in un altro
vocabolario della neolingua, il Devoto-Oli, che ci istruisce con la seguente
definizione: "Ogni tendenza psicologica o politica, suscettibile di
assurgere a teoria o di essere legittimata dalla legge che,fondandosi sulla
presunta superiorità di una razza sulle altre o su di un'altra, favorisca o
determini discriminazioni sociali o addirittura genocidio . E' questa certo
una definizione ben più estensiva di quella del buon Zingarelli, e
un'estensione ancora maggiore le viene conferita dalle varie articolazioni
dell'antirazzismo contemporaneo. Anche se "non sia" suscettibile di
"assurgere", ogni comportamento o pensiero o tendenza conforme viene
comunque colpevolizzata come "razzista": dalla speculazione
scientifico-biologica, alle considerazioni di ordine filosofico o
sociologico. Basta, nella pratica, anche solo il fatto di riconoscere
l'esistenza delle razze, di accettare l'idea che tali raggruppamenti
possiedono caratteristiche specifiche, tra loro diverse e spesso
incomparabili, per essere tacciati di "razzismo" dagli adepti
dell'antirazzismo cosmopolita (o razzismo assimilazionista). Per Christian
Delacampagne, ad esempio, è razzista chi crede che esistano razze, "anche se
si rifiuta di esprimere dei giudizi di valore su di esse o di stabilire, fra
esse, una qualsiasi gerarchia".


La Dichiarazione sulla Razza adottata nel 1978 dall'Unesco definisce dal
canto suo il razzismo come "ogni teoria che menzioni la superiorità o
l'inferiorità intrinseca di gruppi razziali o etnici, che conferisca agli
uni il diritto di dominare o di eliminare gli altri, presunti inferiori, o
che fondi dei giudizi di valore su una differenza razziale [corsivo nostro,
n.d.A.]". Secondo l'antropologa Ruth Benedict: "Il razzismo è un dogma
secondo il quale un gruppo etnico è condannato dalla natura ad una
superiorità congenita". Più articolato e con qualche sentore di studi di
palcoantropologia è l'ebreo Arthur Kriegel: "Il razzismo è un sistema
ideologico scientifico che divide la specie umana contemporanea in
sottospecie nate da uno sviluppo separato, dotate di attitudini medie
ineguali e la cui riproduzione incrociata non può produrre che meticci
inferiori alla razza favorita".


Quand'anche si ammettesse soltanto il razzismo "minimo" dell'esistenza di
razze ineguali rigettando il razzismo "massimo" della legittimazione di un
dominio basato su una qualsivoglia gerarchia permessa da tale ineguaglianza
strutturale - quand'anche cioè esista un razzista "in buona fede" ed
"umano" - si porrebbe comunque il problema della strumentalizzazione di
quella teoria razzista, per cui ha buon gioco l'ebreo Albert Memmi a
definire il razzismo come "la valorizzazione, generalizzata e definitiva, di
differenze biologiche reali o immaginarie, a profitto dell'accusatore o a
detrimento della sua vittima, allo scopo di legittimare un'aggressione".


Di poco più equilibrata - e tuttavia insufficiente come la posizione
"umanitaria" che nega il reale inseguendo il sogno di un mondo "redento"
nell'uniformità - è la tesi dell'antirazzismo differenzialista (che pone
anch'esso le basi per più gravi conflitti). Uno dei suoi sostenitori, Alain
de Benoist, ben scrive in Le idee a posto: "Pretendere che le razze "non
esistano" col pretesto che fra di esse esistono una gran quantità di tipi
intermedi, significa non solo negare l'evidenza, ma anche voler raccordare
lo statuto di esistenza soltanto ad entità metafisiche assolute. Ci troviamo
infatti di fronte ad un tipico esempio di malattia della nostra epoca: la
semantofobia. Sopprimendo la parola, si crede di poter sopprimere la cosa.
Ma le parole non sono le cose, e le realtà restano".

Qualche pagina più avanti, cade anch'egli però - lezione perenne che
l'intelligenza, così come la cultura, è solo la premessa all'intesa del
mondo reale, e che le vere qualità dell'essere umano sono sostenute dalla
forza del carattere o, meglio ancora, dall'impalpabile equilibrio di
ellenica ascendenza che conferisce all'essere, in un complesso gioco di
azioni e retroazioni, la preminenza sul capire e sul sapere - vittima del
medesimo pregiudizio: "Esistono molte forme di razzismo, che vanno dalla
stupidità degli xenofobi al genocidio e all'etnocidio. Si può cercar di
sopprimere l'altro tentando di sterminarlo: fucilazioni di massa e campi di
concentramento. Oppure si può farlo scomparire sottraendogli la sua
specificità".


Il Nostro distingue quindi il razzismo "di esclusione" dal razzismo "di
dominio". La distinzione, egli dice, "sembra giustificata. Le opinioni
divergono, in compenso, quando si tratta di considerare in maniera normativa
la "pericolosità" di ciascuna delle due categorie. L'ambiguità deriva dal
fatto che l'esclusione può essere, a seconda dei casi, molto più benigna del
dominio, quando si limita a rifiutare il contatto senza pesare sul modo di
vita di coloro che vengono tenuti in disparte, oppure al contrario molto più
grave, dal momento che può condurre sino allo sterminio". Certo la storia,
con la sua complessità, le sue discrasie, le sue incongruenze, con la "lotta
per la vita", col quotidiano "venire a patti" con la realtà, non tollera
spesso distinzioni sottili e nonostante la bellezza di certe teorie il
restare loro fedeli nella pratica - il loro inveramento - può comportare
contraddizioni brucianti con i buoni propositi di partenza (ma abbiamo
bisogno di ripetercelo proprio noi, che abbiamo visto dal nostro nemico
lastricare di buone intenzioni le strade, che abbiamo provato sulla pelle,
nostra e di ogni uomo, il peso feroce dell'utopismo liberal-comunista, di
ogni utopismo giudaico-disceso?).

A questo punto è d'obbligo chiederci cosa sia quell'entità, talora
sfuggente, talora ardua da definirsi in concreto, chiamata "razza". Se ci
rivolgiamo ancora allo Zingarelli leggiamo che la razza, ripartizione
gerarchica di una sottospecie, è "l'insieme degli individui di una specie
animale o vegetale che si differenziano per uno o più caratteri costanti e
trasmissibili ai discendenti da altri gruppi della stessa specie", o
"suddivisione degli abitanti della terra secondo determinati caratteri
fisici, tipici di ogni gruppo". La razza nella sua accezione propriamente
biologica si definisce anche, secondo l'ebreo André Lwoff, come "un gruppo
di individui, apparentati per endogamia, che si distingue dagli altri gruppi
per la frequenza di taluni geni".


Tra le molte altre definizioni proponibili, interessante è quella
dell'antropologo francese Pierre-André Gloor, che introduce nella questione
il fattore importantissimo e centrale della diacronia, del tempo storico:
"La razza è una varietà della specie Homo sapiens, rappresentata da un
insieme di esseri umani che si distingue da altri insiemi per un complesso
di caratteri anatomici, fisiologici (e probabilmente anche psichici)
ereditari e riconosciuti su più generazioni, ad esclusione di ogni carattere
acquisito attraverso l'educazione, la tradizione o l'influenza
dell'ambiente". I quali caratteri sarebbero da comprendere più propriamente
nel termine "etnia", che tuttavia, per quanto più concreto, dinamico e
storico, trova sempre il suo fondamento nel patrimonio ereditario di una
specifica famiglia razziale.


Egualmente, in un volume pubblicato nel 1960 dall'Unesco contro il razzismo,
il genetista americano L.C. Dunn sottolinea che, per quanto sfuggenti, le
"razze" sono nondimeno reali: "lo ritengo, per quanto mi riguarda, che
abbiamo bisogno di questo termine "razza" per designare una categoria
biologica che, per difficile che sia da delimitare, costituisce nondimeno un
elemento reale della struttura delle popolazioni umane sulla faccia della
terra. Sembra preferibile definire questo termine, spiegame l'impegno e
liberarlo dalle accezioni nefaste ed erronee, piuttosto che scartarlo
puramente e semplicemente, rinunciando in tal modo a risolvere il problema".


Cosa, questa, che ha fatto invece Albert Jacquard, il quale, tutto compreso
nella sua scienza che non gli rivela differenze tra gli atomi delle basi
puriniche del DNA di un "negro" piuttosto che di un "bianco", non si
trattiene dal dichiarare: "Di fatto, grazie alla biologia, come genetista
credevo di aiutare la gente a vedere più chiaro dentro di sé, chiedendo:
"Cosa intende quando parla di razza?". E mostravo come fosse impossibile
definirla senza ricorrere ad arbitri o ambiguità [... ] In altre parole, il
concetto di razza non si fonda su nulla, e di conseguenza il razzismo deve
scomparire. Qualche anno fa avrei pensato che, con questa affermazione,
avevo compiuto il mio lavoro di scienziato e di cittadino. Eppure, anche se
non esistono razze, il razzismo continua ad esistere".


A sì cocente frustrazione il nostro Jacquard non sarebbe però andato
incontro se avesse gettato nel cestino dei rifiuti il riduzionismo che gli
ha fuorviato la mente, se avesse dato ascolto al suo collega Dobzhansky: "Le
razze e le classi non sono né dal punto di vista biologico né da quello
sociologico unità distinte o chiaramente definite: questo può essere
fastidioso per il ricercatore che preferirebbe poterle ordinare in ben
precisi reparti del suo casellario, ma non le rende dei fenomeni biologici
meno veri e reali". Ed inoltre, "non è preferibile spiegare alla gente la
natura delle differenze razziali, piuttosto sostenere che non ne esistono?
[... ] Sostenere che le razze non esistono perché non costituiscono degli
insiemi determinati in modo rigido è un ritorno al peggiore degli errori
tipologici. E' quasi altrettanto logico quanto sostenere che le città non
esistono, perché la campagna che le separa non è totalmente disabitata".


Egualmente l'antropologo Andor Toma denuncia come scorretto ogni tentativo,
a suo avviso puramente ideologico (ah, benedetto settorialismo culturale
degli scienziati, che non fa scorgere la callida operazione
storico-politico-economica sottesa ad ogni antirazzismo che non voglia
configurarsi come insufficienza mentale!), di "rendere invisibile la razza":
"Dopo gli abusi hitleriani questo scopo era umanamente comprensibile. Ma non
era scientifico. Oggigiomo, il fallimento della tassonomia sierologica è
riconosciuto da tutti gli specialisti. La contraddizione tra antropologia
morfologica ed ematologia è artificiosa. Le Alpi e gli Appennini sono
collegati da monti di bassa altitudine, ma le Alpi esistono, e gli Appennini
anche".


Significativamente, tra i più accaniti sostenitori dell'inesistenza
sostanziale delle razze - le differenze essendo unicamente formali ed
accidentali - e della tesi che il concetto di razza non corrisponde, nella
specie umana, ad alcuna realtà che si possa definire in maniera oggettiva,
sono (oltre a numerosi loro correligionari sociologi, antropologi e
pubblicisti) quattro ebrei "di rango" come Ashley Montagu, Steven Rose, Leon
Kamin e Richard Lewontin. Quanto poi all'incomprensione, spesso artificiosa,
fra certi genetisti delle popolazioni ed i sostenitori della
bio-antropologia, essa deriva dal fatto che le due discipline, pur indagando
aspetti complementari della medesima realtà, partono da presupposti teorici
e metodologici fortemente diversi.


A maggior ragione, più ampio e sostanziale ancora è il fossato che divide da
un lato i micro-scienziati del DNA e dall'altro i morfologi della storia
come Spengler, i linguisti come l'ebreo Benjamin Whorf e gli scienziati come
Dobzhansky e Darlington (dove è certo che quelli con i piedi saldi alla
terra sono tutti i secondi). I genetisti delle popolazioni tendono inoltre
sempre a sottovalutare i recenti progressi della biotipologia e,
soprattutto, quelli della paleoantropologia, così come vogliono ignorare sia
che nessuno degli scienziati sostenitori dell'esistenza delle razze le
definisce più come ideal-tipi, sia che spesso contro le loro tesi viene
innalzato un muro di biasimo, ostracismo che ha talora condotto (vedi il
caso di Carleton Coon) all'abbandono di ulteriori ricerche ed alla mancata
diffusione, e quindi al mancato approfondimento, dei risultati dei loro
studi.


Su un piano più pratico ci si può chiedere se la teoria della non-esistenza
delle razze, nella misura in cui la sua affermazione corrisponda ad un
antirazzismo militante, non sia anche il riflesso di una certa ingenuità:
l'antirazzista pensa davvero di far scomparire il razzismo facendo passare
per finte le razze? Le probabilità che un razzista cambi atteggiamento
venendo a sapere che "le razze non esistono" e che sarebbe stato fino ad
allora vittima di un miraggio, è certo debole. E' viceversa grande il
rischio, scrive Dobzhansky, che una negazione di questo genere da parte
degli scienziati abbia "l'unico effetto di ridurre il credito degli uomini
di scienza che la sostengono". La scienza è inoltre, per definizione - ce
l'ha insegnato proprio il santone filosofico ebreo Karl Popper - una
disciplina rivedibile e contingente, mai conclusa e sempre in fase di
creazione. Fondare, da questo punto di vista, un'argomentazione antirazzista
sulla scienza, significa lasciarla inevitabilmente in sospeso ed ammettere
che: o il razzismo è condannabile solo perché non è fondato
scientificamente, o che, "condannato" oggi dalla scienza, potrebbe non
esserlo più domani. In effetti, una volta che l'essere umano non si
definisce più in termini di storia, di libertà e di trascendenza, ma in
termini di scienza, la definizione di uomo svanisce, e con essa anche quella
dell'umanesimo.


In tutte le definizioni di "razza" su riportate notiamo comunque come
l'accento venga posto prevalentemente sui caratteri fisici, quasi che le
caratteristiche intellettuali, psichiche e spirituali in senso lato, si
debbano intendere svincolate dal dato differenziativo "esteriore",
biologico, essendo esse da considerarsi comuni a tutti gli individui della
specie, quasi fossero mere espressioni fenotipiche, puri accidenti
"culturali" o ambientali, senza impianto nel genotipo dell'individuo o nel
più ampio palinsesto genetico del gruppo razziale. Poiché però non è questo
il luogo, la sede adatta per discernere tale problema, rimandiamo alla
nostra monografia Origine delle razze umane Speciazione quantica e
paleontologia delle sottospecie umane, pubblicata sul numero 16 di questa
stessa rivista. L'origine della specie umana è in ogni caso ancor oggi ben
lungi dall'essere delucidata; a prescindere dalle diatribe sulla metafisica
dell'evoluzione e se di una evoluzione dei viventi si possa parlare e, in
caso affermativo, di che tipo di evoluzione debba trattarsi, sia la
"preferenza" monogenista degli antirazzisti sia la brutalità selezionista
dei neodarwinisti trovano cittadinanza ideale nel paradigma del monoteismo
universalistico giudaico-disceso.




Impostata in modo corretto, lungimirante, dai fascismi europei,
fraudolentemente ripresa nel dopoguerra, la questione della razza - il
"discorso razzista" - ha oggi assunto un aspetto inedito, storicamente mai
visto in tale estensione e virulenza. Se talora il concetto è servito a
giustificare il predominio di "razze" da se stesse presunte "superiori" nei
confronti di gruppi "inferiori", assumendo quindi una funzione oppressiva,
oggi di razzismo sono imputate pressoché unicamente le reazioni difensive -
atteggiamenti ecologicamente motivati oppure elaborazioni
ideologico-programmatiche - di uomini o sodalizi di "razza bianca", che
vedono frantumarsi i parametri civili ed i Valori delle nazioni europee
sotto la spinta inarrestabile di milioni di sradicati del Terzo-Quarto
Mondo.


Tralasciamo, per rispetto dell'intelligenza del lettore, di accennare a
puerili espressioni quali "razzismo anti-giovani" o "anti-operaio" o
"anti-femminile" o "anti-gay" e via dicendo, le quali, dilatando al ridicolo
l'utilizzo del termine-categoria "razzismo" (inteso come fobia di ogni
altrui collettivo,posizione teorica o pratica anti-chi-sia-diverso),
ricadono in quell'atteggiamento di furbesca irrealtà che ottunde ad arte la
mente dell'uomo moderno.

Il "razzismo", da intendersi, soprattutto oggi, come una etica della
sopravvivenza ispirata dalla coscienza razziale - ossia dall'istinto di
appartenenza ad una comunità biologicamente e spiritualmente circoscritta -
implica in ogni caso una delimitazione, la posizione di un confine,
l'accettazione di una separazione, il riconoscimento di una differenza, la
rivendicazione di una specificità. Al fondo di ogni razzismo si trova
teoreticamente, prima del rifiuto, la consapevolezza del diverso, il senso
innato della "distanza" fra i propri ed i membri delle altrui compagini. Il
rifiuto di tipo razzista non rientra fra le "patologie" dello spirito, ma è
una legittima, naturale reazione in presenza di una minaccia al territorio e
all'identità, al proprio essere se stessi come etnia, comunità nazionale e
razziale.


Il rigetto dell' "altro" non è stato mai determinato, infatti, dal singolo
individuo allogeno, bensì dall'essere quell'individuo la testimonianza,
l'avanguardia concreta - in carne e ossa - di un'aggressione, dichiarata o
strisciante, posta in atto dalla massa del suo raggruppamento razziale.
Storicamente, tutti i popoli, le nazioni, le razze, hanno accolto con
tolleranza al loro interno singoli, isolati appartenenti ad altri popoli,
nazioni, razze, giacché questi singoli, isolati apporti, venendo assorbiti e
diluiti nella vastità del sistema genetico/sociale/culturale ricevente, non
hanno mai costituito un pericolo per l'identità del gruppo. Ben ha scritto
all'inizio del secolo Gustave Le Bon che "fra popoli di mentalità troppo
diversa, gli incroci sono disastrosi. L'unione di bianchi con neri, indù o
pellirossa non dà altro risultato che la disgregazione, nei prodotti di tali
unioni, di tutti gli elementi di stabilità dell'anima ancestrale senza
creame di nuovi . Perché una nazione possa formarsi e durare, occorre che
essa venga costituita lentamente, attraverso la graduale mescolanza di razze
poco diverse, incrociantesi costantemente, viventi sullo stesso suolo,
soggette all'azione degli stessi ambienti, aventi le stesse istituzioni e le
stesse credenze".


Ribadisce Abel Bonnard, già membro dell'Académie française: "Rifiutare la
mescolanza non è solo il segno che si sa quel che si vale, non è solo un
segno di fierezza, è pure un segno di rispetto delle altre razze. Come
potrebbe una nazione continuarsi, se inondata all'improvviso da individui
estranei? Che cos'è una nazione se non una lunga serie di uomini generati
gli uni dagli altri? Lo spirito nazionale poggia nella sua interezza su un
determinato sangue e se questo sangue si mescola troppo lo spirito nazionale
si snatura".

Ecco l'eterna verità, oscuramente avvertita da tutti. Verità della quale
occorre tenere conto nel ricostruire una semantica della razza aderente non
solo alla realtà fattuale ma ad un principio di onestà intellettuale e
giustizia. A tal fine, e prima di ogni altra annotazione in merito, è
d'obbligo rimarcare la funzione precipua assunta oggi dall'aggettivo
"allogeno". Tale vocabolo, derivato dalla composizione delle voci greche
állos (altro) e génos (stirpe), consente di definire i veri termini
concementi la "questione razziale" posta dalle turbe del Terzo-Quarto Mondo
che assediano il continente europeo. Ossia permette di puntualizzare che il
cosiddetto "immigrato extracomunitario" oltre a provenire da nazioni non
facenti parte della CEE, appartiene ad altro ceppo etnico-razziale,
irriducibile a quello indoeuropeo, dal quale discendono, tranne sporadici
gruppi, le etnie del Vecchio Continente.


Del resto, sia detto con estrema franchezza, l'abbattimento del Mondo Nuovo
non può avere luogo se in precedenza non si sia recuperata la purezza della
lingua, la coerenza dell'analisi, l'amore per la logica e la forma.


Se la "cultura" è la proiezione del "genio" di un gruppo (razza, etnia,
nazione, stirpe, Volk, comunque lo si voglia chiamare) è del tutto spontaneo
che le coordinate simboliche/normative che la identificano e strutturano,
espresse da quel gruppo e che quel gruppo sorreggono nel turbinare delle
vicende storiche, tendano intrinsecamente a prevenire ogni minaccia di
dissolvimento biologico. Tutta la storia è del resto lì a dimostrare come il
decadere di un Sistema di Valori, di una cultura, di una civiltà, si trovi
in stretta correlazione con la decadenza del substrato genico-razziale nel
quale quella civiltà, quella cultura, quel Sistema di Valori affondava le
sue intime certezze.

Come afferma von Bertalanffy: "La storia non è un processo che si sviluppa
entro una umanità amorfa, nell'àmbito di un Homo sapiens inteso come specie
zoologica". Anche Whorf annota come le modalità di pensiero/percezione di
gruppi utilizzanti sistemi linguistici differenti - categorie modellate
biologicamente, prima che culturalmente - sfociano in visioni del mondo
fondamentalmente diverse. Ancora più deciso nel sottolineare la relatività
biologica delle categorie di pensiero, vale a dire la differenza qualitativa
tra le visioni del mondo e gli approcci alla realtà elaborati dai vari
consorzi umani, è Darlington: "I caratteri innati ci fanno vivere in mondi
diversi, anche se siamo fianco a fianco; vediamo il mondo con occhi diversi,
anche la parte che ne guardiamo insieme.......I materiali ereditari dei
cromosomi costituiscono la sostanza solida che, in ultima analisi, determina
il corso della storia".


Certo l'essere umano è l' "animale indeterminato" di Nietzsche, di Carrel,
di Heidegger e di Gehlen, l' "essere manchevole", il "ricercatore di
senso" - è l'animale per cui la conformazione biologica costituisce
unicamente un "potenziale di sviluppo" foriero di percorrere svariate vie
nell'interazione sistemica con l'ambiente ecologico e storico-sociale
circostante. Ma altrettanto certamente è assurdo - ed irrazionale nel senso
peggiore del termine - pretendere di sminuire il ruolo svolto dall'eredità
biologica, variamente attualizzata nel corso dei secoli, di quelle "comunità
di destino" che sono state finora la razza, la stirpe, l'etnia, il Volk, la
nazione - gruppi intermedi spregiati o negati, da un lato, per celebrare
l'umanità come specie zoologica autoincrociantesi in maniera (più o meno)
feconda fra i suoi componenti; dall'altro, per santificare la monade
dell'individuo assoluto, immerso in una generica, indistinta, inesistente
"umanità", direttamente in rapporto con Dio o con la Ragione.


"Il rifiuto di un orizzonte di universalità o di una norma universale"
scrive esattamente Taguieff - "porta in particolare a denunciare i "diritti
dell'uomo" come finzioni inutili o addirittura nocive. Ogni dichiarazione
dei diritti dell'uomo, infatti, è universale. Ma la ricusazione
dell'umanitarismo come impostura indica una correlazione ideologica
essenziale fra l'universalismo e l'individualismo: se sia l'uno che l'altro
sono condannati allo stesso titolo e con lo stesso gesto, è perché
rappresentano le due facce dottrinarie dello spirito di astrazione. La
posizione antiuniversalistica implica dunque una lotta su due fronti. Su un
primo fronte, essa deve sostenere la tesi che non esiste universalità
antropologica [... ] su un secondo fronte, la posizione antiuniversalista
deve affrontare una delle coppie più potenti del mondo modemo, che abbiamo
proposto di chiamare l'individuo-universalismo. Gli autori "razzisti"
tendono a definire la posizione teorica dell'avversario come "la credenza
nel dogma dell'unità della specie umana". L'antiuniversalismo si presenta
volentieri come un anti-dogmatismo, si riveste dei segni della tolleranza,
dell'apertura intellettuale e a volte si richiama persino al cammino del
progresso delle conoscenze".


Entità di ordine superiore a quello degli individui per il fatto di avere
una durata di vita potenziale infinitamente più lunga di quella degli uomini
che la costituiscono, la razza è ciò che dà valore all'uomo, è il tramite
per il quale si esprimono i suoi Dei. Reciprocamente, ha scritto Vacher de
Lapouge riprendendo la critica all'individualismo pronunciata da
Tocqueville, "ciascuno rivive nei suoi discendenti, e la solidarietà più
effettiva collega fra loro i membri della famiglia, a tal punto che in una
stirpe è in un certo senso la discendenza a costituire la realtà e i singoli
discendenti sono invece le manifestazioni temporanee e fenomeniche
dell'eredità".


Gli uomini non possono sentirsi soddisfatti vivendo nella condizione di
individui amnesici, intercambiabili, incapaci di prolungare la propria
esistenza oltre la morte (tale concetto è stato splendidamente illustrato
duemilacinquecento anni or sono da Pericle nell'orazione funebre per i
caduti ateniesi). Ovunque si siano impiantate, le civiltà indoeuropee hanno
posto come dato fondamentale della vita sociale l'esistenza e il culto della
famiglia - magari in senso lato, cioè ben oltre la stretta cerchia dei
consanguinei. La stirpe, il rispetto dei congiunti, l'autorità incontestata
del capofamiglia, magari confusa col clan, scrive Régis Boyer, non vengono
mai messi in dubbio, ovunque si eserciti l'influenza indoeuropea. Non si
tratta soltanto di realtà biologiche, ma soprattutto di entità di ordine
spirituale. Anche Tacito fa della famiglia gerrnanica la cellula base di
ogni attività umana, cosa che non sorprende il latino ed è verità
assiomatica per lo slavo: "Ne risulta che lo stadio più profondo, forse il
più antico, comunque il più sicuro, della religione indoeuropea, riguarda il
culto degli antenati. I quali non sono mai veramente morti, da un lato
perché una sorta di osmosi stabilitasi per natura fra quaggiù e l'aldilà fa
sì che la nostra attuale soluzione di continuità fra vita e morte sembri
affatto estranea a questa mentalità........da un altro lato perché varie
pratiche hanno lo scopo di perpetuare la memoria dei nobili scomparsi".


L'attuale disaffezione alla famiglia, conseguenza non solo dei due fenomeni
concomitanti dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione, ma della
coerente applicazione dell'individualismo giudaico-disceso, rappresenta
perciò la prima vera rottura dell'odierno uomo europeo con il Sistema di
Valori dei suoi padri. Tutte le civiltà indoeuropee disprezzano e/o
condannano il celibato, l'aborto e l'omosessualità, pratiche che comportano
la sterilità della stirpe e, quindi, il crollo del loro Sistema di Valori,
il disfarsi della loro visione del mondo, la morte dei loro Dei. Fondare una
famiglia, difendere la propria gente, radicarsi nel proprio suolo, iscrivere
se stessi in una catena che lega infinite generazioni, è, per gli
indoeuropei, il gesto essenziale della vita. Solo una comunità solidale di
Sangue e Suolo può esprimere quel patto, religioso prima che sociale, che
lega gli uomini agli Dei, salvaguarda l'equilibrio del cosmo, riafferma
l'adesione al principio di realtà, incama il valore supremo del dovere di
verità.

Come scrive André Béjin: "Ancorando la propria identità alle razze e alle
etnie, investendo in esse il loro bisogno di solidarietà, tutti quegli
uomini che non si rassegnano ad essere soltanto degli individui sentono
attraverso i geni, attraverso la cultura, che un po' di loro stessi potrà
essere trasmesso alle generazioni future. Nei nostri paesi, la nazione
adempie ancora a questa funzione per molte persone. Ma, per definizione, la
assolve meno bene (è più facile cambiare nazionalità che razza o etnia) e,
soprattutto, sembra assolverla sempre meno bene. Si noti, en passant quanto
la disinvoltura e il lassismo in materia di naturalizzazioni contribuiscano
a rafforzare ciò che i sostenitori della non-selezione in questo campo si
sforzano di combattere: il bisogno di radicamento etnico o razziale".


Insieme ai propri padri e ai propri figli, il razzista venera ed onora gli
Dei che hanno permesso non tanto la sua vita, ma quella dei suoi antenati e
che permetteranno quella dei discendenti. Attraverso la razza l'uomo porta
un tributo di amore a tutto ciò che i suoi avi hanno saputo creare di bello
e di buono nel turbinio della vita fenomenica, amando e onorando quel
Sistema di Valori attraverso il quale risuona la voce degli Dei. Come
folgora icastico Taguieff: "Il razzismo è un'ontologia delle sostanze
intermedie fra i semi-esseri individuali e i non-esseri universali".


Non esiste storicamente, fattualmente, concretamente l' "uomo". Ci sono
degli uomini. Per l'ethos indoeuropeo ci sono greci, romani, barbari,
fenici, assiri, giudei. "Non esiste alcun uomo nel mondo. Ho visto, nella
mia vita, francesi, italiani, russi, grazie a Montesquieu so perfino che
esistono i persiani" - ribadisce Joseph De Maistre contro ogni razionalismo
illuministico "ma quanto all'uomo, dichiaro di non averlo mai incontrato".
La psicologia di ogni individuo è condizionata, formata dalle psicologie
superiori della sua razza, della sua famiglia, del suo gruppo. Raramente un
uomo può sottrarsi a questa sommatoria di forze.


Altrettanto radicale è l'assunto di Voltaire nel Traité de métaphisique.
Ironizzando sul monogenismo biblico e schierandosi a favore di una
poligenesi delle razze contro l' "universalità" della ragione umana propria
al razionalismo cartesian-leibniziano, il filosofo non si trattiene dallo
scrivere: "M' informo se un negro e una negra, dalla chioma nera e lanosa e
dal naso camuso, facciano talvolta dei figli bianchi, dai capelli biondi,
dal naso aquilino e dagli occhi azzurri; se dei popoli dalla faccia glabra
siano mai usciti da popoli barbuti e se i bianchi e le bianche abbiano mai
generato popoli gialli. Mi vien risposto di no: che i negri trapiantati, per
esempio, in Germania generano soltanto negri, salvo che i tedeschi non si
piglino cura di modificare la razza, e così via. E aggiungono che nessun
uomo un po' istruito ha mai sostenuto che le razze miste non degenerino, e
che soltanto l'abate Dubos sosteneva una corbelleria simil.........Mi sembra
pertanto di poter credere con un certo fondamento che per gli uomini valga
lo stesso principio che per le piante: ossia che i peri, i pini, le querce,
gli albicocchi non derivino dalla stessa pianta e che i bianchi barbuti, i
negri lanosi, i gialli criniti e gli uomini dalla faccia glabra non
discendano dal medesimo uomo [meglio: dal medesimo Homo sapiens, n.d.A.]".


Non esiste l' "umanità", ed ugualmente non esiste un atteggiamento
"umanitario" geneticamente fondato, nel senso di una fratellanza
onnicomprensiva, valida ovunque e per tutti. L' "umanità" intesa come ente
che annulla, trascendendola in sé, ogni diversità umana, è un'aberrazione
dello spirito priva di fondamento razionale e biologico. Postulare
l'esistenza dell'"umanità" come soggetto unico, è un artificio concepito
dalla paranoia universalista al fine di ridisegnare le difformi verità umane
secondo i propri canoni. Nella realtà, esistono soltanto comunità di uomini
organizzate in razze, esistono culture specifiche che confliggono l'una con
l'altra, che si delimitano reciprocamente in una quotidiana, incessante
lotta per la vita.


Nulla di più naturale, allora, della sensazione di appartenere a un preciso,
circoscritto gruppo umano, irriducibile ad ogni altro, gruppo che da se
stesso tende a perpetuarsi e, in un certo modo, a "chiudersi", non tanto -
ribadiamo nei riguardi di un singolo individuo allogeno, ma di fronte alla
ben più ampia entità incarnata da un gruppo razziale. Questo riflesso di
esclusione dell'Altro corrisponde verosimilmente, visto il suo carattere
generale, ad una disposizione innata, acquisita filogeneticamente, vale a
dire nel corso dell'evoluzione della specie. Sono numerosi d'altro canto gli
autori che rifiutano di interpretare questo riflesso di esclusione - così
come, d'altronde, il desiderio di associazione preferenziale - come un
frutto dell' "ignoranza", e preferiscono scorgervi una disposizione che ha
le sue radici nella struttura biologica.


Se lo svolgimento pratico di ciò che viene comunemente inteso come
"razzismo" (il razzismo "classico") ha comportato anche sangue e sofferenze
(in ogni caso infinitamente minori di quanto la propaganda antirazzista
voglia far credere, e soprattutto infinitamente minori del sangue e degli
orrori praticati da ogni utopismo giudaico-disceso), per cui il razzismo
gerarchico si è storicamente mostrato sempre più duro del razzismo
morfologico (l'aggettivo "morfologico" si rifà non solo alle tesi degli
psicologi della Gestalt e agli autori della teoria dei Sistemi, ma anche
alla Weltanschauung elleno-romana, riattualizzata dalla filosofia della
storia spengleriana e dalla scienza tedesca della razza), è tuttavia
quest'ultimo, coerentemente con la sua ascendenza pagana, ad essere quello
veramente inconciliabile con ogni universalismo. Esso è peggiore per certi
versi ("morali"?) del razzismo inegualitario, lamenta De Benoist, il più
noto degli esponenti dell'antirazzismo differenzialista, poiché tratta le
razze come grandezze incommensurabili e comporta come logico sbocco la
sostanziale incomunicabilità delle culture e la generalizzazione dello
"sviluppo separato", su territori separati.


L'antirazzismo cosmopolita, se pure si situa - dal punto di vista astratto -
agli antipodi del razzismo morfologico, riveste tuttavia, per noi, una
importanza pratica soltanto dal lato della critica filosofica.
Apparentandosi al melting pot (la "pentola ribollente", il "crogiolo",
concetto ideato all'inizio del secolo dal commediografo ebreo Israel
Zangwill a magnificare l'opera con-fondente dell'americanismo), esso si
viene a scontrare (nei tempi brevi, quelli che oggi, nell'urgenza
dell'invasione terzo-quartomondiale dei paesi europei, più contano) con le
resistenze opposte da ogni etnia, sia l'accettante che l'accettata, al suo
snaturamento.


Definito da Béjin "utopia panmixista", tale antirazzismo dovrebbe comunque
essere meglio chiamato col suo vero nome di razzismo assimilazionista,
poiché in esso, per fondersi nel calderone dell'utopismo universalista
giudaico, ogni razza deve abbandonare la propria specificità, fisica e
spirituale, al fine di adeguarsi e far proprio un altro Sistema di Valori,
giudicato superiore. Tale "antirazzismo" non è in realtà che l'espressione
più pura del razzismo giudaico, vale a dire dell'imposizione ad ogni nazione
di un Sistema di Valori ad esse estraneo, scaturito dal "genio" di un altro
gruppo etnico-razziale. Ed inoltre, mentre a tutti i popoli viene suggerito
(imposto) di fondersi e scomparire nel calderone comune, a questo destino
non deve andare incontro il Popolo Santo (se lo facesse, verrebbe a perdere
ogni sua santità distintiva, cesserebbe la sua privilegiata esistenza di
Popolo Eletto).


Come comunque sentenzia, prudente, l'Institute of Jewish Affairs
nell'ottobre 1984 in Patterns of Prejudice (Modelli di pregiudizio): "Il
fatto di riconoscere che le razze esistono, o anche di professare
un'opinione sull'opportunità o l'inopportunità della loro fusione, non fa di
nessuno un razzista" (prego prendere nota e citare la fonte, per tutti
coloro che saranno trascinati dal Sistema, con l'accusa di "razzismo", nelle
aule dei tribunali).


Scrive inoltre il periodico francese Information juive nell'aprile 1985: "Ci
sembra davvero fuori luogo inserire la questione dei matrimoni misti nel
contesto del razzismo: il fatto di opporsi ad un matrimonio misto non ha
necessariamente il razzismo come motivazione e, spesso, non ha assolutamente
nulla a che vedere con esso. I matrimoni misti, noi ebrei ne sappiamo
qualcosa, sono abbastanza gravidi di conseguenze, che si tratti
dell'equilibrio della coppia, dell'unità e del futuro della famiglia,
dell'educazione dei figli, della perennità delle nostre tradizioni, della
nostra religione, della sopravvivenza del nostro popolo. Chi negherà che
questo genere di matrimoni ha per conseguenza, oltre a conflitti di cultura,
l'indebolimento o addirittura la scomparsa di certe minoranze?".

Anche Régine Lehmann pretende per la sua razza ciò che deve invece essere
negato per tutte le altre: "Razzista è non chi riconosce differenze tra gli
individui, ma chi si pretende superiore in nome di tali differenze. Il
rifiuto dei matrimoni misti è una manifestazione non di razzismo, ma del
desiderio di mantenere l'identità ebraica".


Lievemente più razzisticamente scoperto è Elia Samuele Artom, la cui opera,
neppure due decenni or sono, viene giudicata dal curatore "ancora vitale,
oltre trentacinque anni dopo la pubblicazione della sua prima edizione": "Il
matrimonio non può aver luogo che tra ebrei. Qualunque unione tra ebreo o
ebrea con persone estranee all'ebraismo è, di fronte alla legge ebraica,
vietata e, se avvenuta, considerata illegittima. E' questa una delle norme
che hanno più potentemente contribuito a mantenere salda la compagine di
Israele: l'inserzione nella famiglia ebraica di elementi, sia pure ottimi,
di altra origine o di altra fede non può che contribuire all'assimilazione
di Israele e quindi avviare alla sua distruzione. Da grave decadenza e da
pericolo di distruzione sono infatti colpiti quei nuclei ebraici nei quali,
nonostante la norma sopra indicata, hanno avuto e hanno luogo frequenti
unioni tra ebrei e non ebrei". "Israele è consacrato in quanto è collocato
ad un grado più elevato delle altre genti", ribadisce il Nostro, facendo
piazza pulita di tutte le disquisizioni che vorrebbero intendere - o meglio:
dare ad intendere - che tale elezione sia basata soltanto su fondamenta
religiose e non nazionali-razziali: "Gli ebrei, in quanto sacerdoti
dell'umanità, debbono sempre costituire un'eletta minoranza in mezzo agli
altri". Il fine degli innumeri, millenari incitamenti a rifuggire
l'impurità - o più concretamente: gli impuri - resta quello esplicitato da
Dante Lattes nel commento alla Legge: "Non si tratta di costituire un
cenacolo mistico, un ordine religioso, dedito solo agli esercizi spirituali,
alla contemplazione, agli studi teologici, ma di essere una nazione
superiore, distinta (qadòsh) dalle altre nazioni sorelle, per qualità e
attività umane non comuni".


Ammirando dal profondo il contorsionismo mentale e l'improntitudine dei
Fratelli Maggiori, ci sembra del tutto superfluo spendere al proposito
ancora parole: per il momento rinviamo il lettore agli innumeri attestati
rilasciati dall'Altissimo ai suoi Prediletti, nonché all'esegesi teologica
formulata, tra gli altri, dai citati Artom e Lattes e da Klenicki e Wigoder.


La posizione oggi indubbiamente più pericolosa, per chiunque voglia
difendere ogni essere umano in quanto portatore di una sua specifica dignità
razziale - teoreticamente eguale per tutti - è comunque proprio quella
dell'antirazzismo differenzialista, che ha il suo pendant nei concetti,
prettamente americani, di cultural pluralism (pluralismo culturale) e di
salad bowl (la "ciotola d'insalata" nella quale ogni ingrediente manterrebbe
il suo proprio sapore - ovviamente amalgamato dal condimento giudaico). La
prima definizione è stata espressa all'inizio del secolo dall'ebreo Horace
Meyer Kallen, docente di sociologia, ed è oggi difeso dall'ebreo Arthur
Schlesinger jr., ex "testa d'uovo" di Kennedy. Il secondo è' sostenuto sopra
tutti dall'ebreo Michael Walzer, docente di sociologia ad Harvard. Cavalli
di Troia di ogni universalismo, piedi di porco per scardinare ogni identità
statuale, tali concetti non sono in realtà che artifizi per imbrigliare nel
Sistema (New World Order) ogni nazione, ridurre ogni essere umano a tubo
digerente/consumante.


Quanto al razzismo "classico", gerarchico, marchiato da una cattiva
coscienza di fondo universalista, esso mantiene valenze dell'antico razzismo
biblico ed è stato usato dagli europei per giustificare non tanto
l'oppressione, vera e presunta, ai danni dei popoli extra-europei, quanto
soprattutto la missione redentrice del colonialista, del kiplinghiano white
man's burden, il "fardello dell'uomo bianco", atteggiamento iscrivibile nel
paradigma del monoteismo giudaico. Ogni gerarchizzazione postula infatti una
comparabilità dei termini gerarchizzati, suggerendo una loro natura comune.
Solo in questo caso è possibile riconoscere una superiorità, fondarla ed
imporla sulla base di parametri creduti obiettivi. Solo in questo caso
esistono popoli "superiori" - eletti e primogeniti - e popoli "inferiori" da
illuminare e convertire - da sradicare. Esempi quanto più incisivi al
proposito sono le tesi missionaristiche con le quali l'ebreo Leon Blum,
leader socialista francese e futuro capo del governo del Fronte Popolare,
lega (giustamente) nel primo dopoguerra il cosmopolitismo al progresso e
all'industria: "Noi ammettiamo il diritto ed anzi il dovere delle razze
superiori di attrarre a sé quelle che non sono giunte allo stesso grado di
cultura e di chiamarle al progresso realizzato grazie agli sforzi della
scienza e dell'industria".


Per quel che riguarda la chiusura all'immigrazionismo (o, meglio, il freddo
e sereno rispetto delle diverse realtà razziali) che comporta il razzismo
morfologico, Coon afferma che "rimane il fatto che generalmente la gente non
vede di buon occhio l'insediamento stabile degli stranieri, particolarmente
se accompagnati da mogli e figli. I meccanismi sociali si mettono
automaticamente in moto per isolare i nuovi arrivati e per mantenerli
geneticamente separat.........Quanto sopra esposto, illustra l'aspetto
comportamentale delle relazioni razziali. L'aspetto genetico si esplica in
modo analogo.I geni che fanno parte del nucleo di una cellula, posseggono un
equilibrio interno, analogamente ai membri di una istituzione sociale. I
geni sono in equilibrio in una popolazione, se la popolazione vive una vita
sana come entità morale. Gli incroci razziali turbano l'equilibrio genetico,
come quello sociale, di un gruppo".


"Queste mie affermazioni" - seguita il maggiore tra i paleoantropologi,
ascrivendo alle strategie bio-evolutive la comparsa di meccanismi a gelosa
tutela delle differenze razziali - "vogliono solo dimostrare che, in assenza
dei meccanismi sopra esposti, gli uomini non si distinguerebbero in neri,
bianchi o gialli, ma avrebbero tutti un color cachi chiaro. Il flusso di
geni attraverso le zone clinali di tutto il mondo, nel corso dell'ultimo
mezzo milione di anni (ventimila generazioni!, n.d.A), sarebbe stato
sufficiente a renderci tutti omogenei, se tale fosse stato lo schema
evolutivo delle cose e se non fosse stato vantaggioso per ognuna delle
singole razze geografiche mantenere, per la massima parte, gli elementi
adattivi allo status quo genetico".




L'irrefrenabile volontà di mantenere la giusta distanza nei confronti di
realtà allogene, lungi dall'essere il risultato di una fobia irrazionale e
patologica del diverso tout court, è quindi - se vogliamo usare il
linguaggio della scienza biologica ed evitare i lirismi concernenti sostanze
poco "afferrabili" come gli Dei - il salutare riflesso di un "pregiudizio"
atavico fissatosi nell'assetto bio-culturale dei diversi gruppi umani per
garantire loro uno sviluppo equilibrato, differenziato. Ciascuna razza,
etnia, nazione è geneticamente portata a custodire e perpetuare dentro di sé
le determinanti fondamentali della sua fisionomia, della sua cultura, della
sua storia. Ciascuna razza, etnia, nazione è orgogliosa di se stessa, dei
propri antenati, del proprio Sistema di Valori. Il cosiddetto "pregiudizio"
radicato nell'anima di ogni peculiare consorzio umano, specchio fedele della
sua indole biologica, ne condiziona la matrice costruttiva della conoscenza
e la modalità di percezione del reale, ne delimita lo psichismo, gli
orizzonti spirituali e il sentire collettivo: in pratica, ne ipoteca a tal
punto il cammino storico da renderlo non solo unico e irripetibile, ma anche
incomparabile, irriducibile, inassimilabile e, nel profondo, incomunicabile
a qualsiasi altro.


Propensione naturale dell'animo umano, l'etnocentrismo (il razzismo) tende
talora, in condizioni di pericolo - o in casi di patologia psichica quale il
sentirsi investiti di una Missione Universale al modo degli Eletti ebraici e
puritani - a prevaricare, trasformando la sua legittima essenza difensiva in
aggressione - tanto maggiormente "giusta" e "legittima" quanto più motivata
dal verbo divino.


In realtà, il vero etnocentrismo (il vero razzismo) non può comportare sulla
base di una speculazione oggettiva - l'affermazione della superiorità o
dell'inferiorità di questa o di quella cultura, di questa o di quella razza.
Le culture, le razze sono incommensurabili sul piano logico-formale, poiché
è impossibile riferirsi a criteri assoluti di valutazione. Non esistono
nella storia il Bene od il Male assoluti (forse l'abiezione di perdere la
propria anima, quanto al Male), né esiste in biologia, al di fuori del
successo riproduttivo, una scala di valori obiettiva per i viventi. Relative
le norme, plurali gli insiemi umani, tutti mantengono pari dignità
teorico-esistenziale. Ogni comunità etnica, nazionale o razziale è superiore
alle altre unicamente nella messa in opera di quelle realizzazioni che le
sono proprie. Parlare di "razza superiore" tout court, non riveste alcun
senso, né per l'animale, né per l'uomo.


Se ciò è stato fatto nel passato anche da taluno dei massimi esponenti
politici del nostro mondo ideale - condottieri di popoli in frangenti di
lotta epocale - ciò è stato unicamente dovuto a contingenze pratiche in
situazioni di crisi planetaria, sotto l'urgenza di un tempo troppo breve
(vedi l'articolata riflessione compiuta dal Capo del nazionalsocialismo il
13 febbraio 1945), e non all'applicazione della dottrina biologica o della
filosofia dei fascismi. In ogni caso, è proprio questo il discorso che il
Sistema vorrebbe, con l'ausilio del carcere, definito per sempre nei termini
da esso stesso fissati, la "sentenza" che pretende eternare soffocando ogni
revisione documentaria.



"Il Costruttore divino della Terra non ha creato l'umanità come un unico
Tutto (ein allgemeines Ganzes) - ha scritto il tedesco Gustav Stresemann,
statista e premio Nobel per la Pace - "Egli diede ai popoli correnti di
sangue diverse (verschiedene Blutstrome); diede loro come patria (Heimat)
terre di diversa natura. Servirà l'umanità nel modo più nobile e quanto più
completamente (am meisten) colui che sarà in grado di offrire qualcosa
all'intera umanità radicandosi nel proprio popolo".


La concezione razziale che issiamo a stendardo del nostro Discorso di
Verità, della nostra lotta di giustizia, esclude l'esistenza di un paradigma
universalmente condiviso sul quale fondare una gerarchia fra le razze, non
contempla alcuna forma di svalutazione delle altre razze, rigetta e combatte
ogni delirio che elegga la gens europea a signora di tutte le altre. Il
termine stesso di "elezione", sia detto una volta per tutte, non è del
nostro mondo ideale, è solo strumento, potentissimo folle strumento di
autoconvincimento e di azione per il nemico mortale dell'uomo. La nostra
concezione, riconoscendo pari dignità alle differenze intraspecifiche che
attraversano il genere umano ed ispirando di conseguenza giudizi di valore
unicamente riferibili ai comportamenti di individui e/o di parti della
nostra specifica Comunità, si configura come un elogio al diritto dei
popoli - o meglio delle nazioni - a realizzare se stessi seguendo gli
imperativi categoriali dettati dalla loro appartenenza biologico-spirituale.


Il nostro scopo è rivitalizzare quel mito d'amore e di rispetto radicato nel
Sangue e nel Suolo, nella più vera tradizione dei nostri padri. Un mito che
non dispensa leggi universali, ma vuole essere un'allegoria della nostra
anima particolare, del nostro specifico essere: retaggio di tolleranza,
accettazione e armonia (e cioè segno di equilibrio) fra le disuguaglianza di
sangue e di spirito, che si oppone nel modo più fermo al Multirazzialismo
all'interno di uno Stato, al delirio della Doverosità Mondialista.


In quasi tutti i casi, scrive Béjin, "coloro che vengono infamati con
l'epiteto di "razzisti" sono persone che non considerano un sacro dovere
disprezzare i propri antenati, la propria lingua e la propria cultura, sono
fiere dei primati della propria comunità etnica senza per questo giudicarla
superiore alle altre da ogni punto di vista, accettano le differenze,
preferiscono a priori il loro prossimo ai membri di altri gruppi etnici (e
trovano normale che costoro agiscano nello stesso modo) senza per questo
mettere al bando l'intesa e la cooperazione con questi ultimi. Questi
pretesi "razzisti" non sono che etnocentristi e condividono questa
caratteristica con la maggior parte dei membri delle comunità umane che, non
si sono suicidate".


Il panmixismo utopico predicato dall'antirazzismo cosmopolita (o razzismo
assimilazionista) consiste invece nell'affermare che l'umanità è votata al
meticciato e alla mescolanza delle culture e che questo ampio rimescolamento
genetico-culturale condurrà alla Pace Universale. La conseguenza più
immediata di tale atteggiamento è la concezione spaziale-atemporale del
legame sociale, vale a dire la dissociazione della diacronia delle
generazioni dall'aggregazione spaziale sul territorio di uno Stato, la
rottura della diacronia, la cancellazione della memoria storica dei padri,
la perdita della consapevolezza dei propri doveri nei riguardi dei figli.
Lasciando che la memoria della propria storia si cancelli, un popolo perde
la facoltà di distinguere il Sè dall'Altro, perde la propria anima per
ridursi a detrito in balia del Manipolatore di tumo, del Mediatore, di colui
che ha ideato ed imposto le parole d'ordine del Sistema.


Una nazione non è una società composta dall'assieme delle persone che
abitano un certo spazio in un certo momento; i legami visibili tra gli
occupanti non sono quelli reali che tengono insieme quella società: "Il
culto dei morti, i riti di fecondità, l'amore per la patria e l'insegnamento
della storia nazionale non sarebbero altro che aberrazioni sociologicamente
insignificanti? Questa esclusione ideologica degli avi e dei discendenti
potenziali si limita peraltro a riflettere l'indifferenza comunemente
manifestata nei loro confronti nei paesi democratici "avanzati". E' vero che
un oblio di questo genere fa comodo. Consente a parecchi nostri
contemporanei di compiacersi nell'illusione autocontemplativa di dovere
l'agio e le ricchezze di cui godono ai propri meriti, quando invece basta ad
esempio una comparazione con la società giapponese per dimostrare che questa
agiatezza materiale - che deriva, certo, in parte dallo spirito di inventiva
e di iniziativa di taluni di loro - è essenzialmente il risultato del genio,
del lavoro e delle lotte dei loro avi. I membri delle società democratiche
in via di invecchiamento non si accontentano però di divorare la propria
progenie. Dilapidano persino il loro futuro. Il fatto di preoccuparsi più
degli "occupanti" dello stesso spazio che dei propri discendenti potenziali
non favorisce infatti la denatalità? Le parole d'ordine dei più avanzati fra
i nostri democratici potrebbero essere riassunte così: "Prima di me, il
nulla" (non devo niente a nessuno, e meno che mai ai miei antenati, alla mia
razza) e "Dopo di me, il diluvio" (demografico e culturale)".


Quali sono le conseguenze di questa concezione spaziale ed atemporale del
legame sociale? Essa porta a ritenere che gli immigranti abbiano il
"diritto" di impiantarsi nei paesi d'accoglienza (pur conservando, se
possibile, le radici originarie), mentre i popoli autoctoni normalmente
radicati vengono invitati a dimenticare la loro storia e la loro cultura, a
spogliarsi e vergognarsi delle loro identità. Sorgono allora spazi
indifferenti, neutralizzati, dove si può solo circolare, senza
impiantarvici, spazi da sfruttare, da non rispettare. Il degrado ambientale,
già provocato dall'applicazione al reale da altre teorizzazioni del Sistema,
riceve dall'immigrazione un'ulteriore accelerazione. D'altra parte, l'unica
solidarietà che potrebbe esistere su spazi siffatti è quella ormai
comprovata, senza che gli europei ne abbiano tratto lezione, dallo sfacelo
territoriale e sociale (esistenziale) dell'America, the God's Own Country,
il Paese Stesso di Dio.


A causa della denatalità europea e della fecondità debordante di altri
continenti - fenomeno lucidamente pre-visto dai regimi d'Italia e Germania
sessant'anni or sono - l'Europa ha perso, nel corso di due decenni, quella
che, nella storia demografica del pianeta, appare l'equivalente della
perdita causata da una guerra mondiale. Le cifre sono eloquenti: nel 2037,
tra neppure cinquant'anni, gli italiani saranno 45 milioni, dodici milioni
in meno rispetto ad oggi. In vent'anni, tra il 2000 e il 2020, i soli paesi
della CEE perderanno dieci milioni netti di abitanti, mentre nello stesso
periodo i soli popoli del Nord Africa aumenteranno di cento milioni di unità
e verranno attirati verso le "società aperte" occidentali dalla cattiva
coscienza instillata negli europei dal predicatori del Multirazzialismo
attraverso il martellamento dei media e la droga dell'edonismo
individualista. Se oggi gli europei già rappresentano una minoranza etnica,
nel 2085, tra meno di un secolo saranno soltanto il 4 per cento della
popolazione mondiale. La popolazione anziana, con più di 65 anni, è oggi
rappresentata in Italia da meno di dieci milioni di persone; nel 2018
supererà i dodici, in una popolazione sensibilmente contratta. Dal 1987 al
2037 il peso degli anziani passerà dal 13,3 al 28,7 per cento. In altre
parole, per cento giovani vi saranno 223 anziani. "Regresso delle nascite,
morte dei popoli": mai come in questi frangenti risuona veridica
l'ammonizione di Richard Korherr, sottoscritta dal capo del fascismo.


Mai come in questi frangenti ha valore la massima di Vacher de Lapouge: "La
vera legge della lotta per l'esistenza è quella della lotta per la
discendenza". Se l'aumento numerico sia poi sopportabile dall'ecologia del
pianeta, in questo momento non deve riguardare i popoli europei.

La concezione del razzismo alla quale ci richiamiamo, evitando di accampare
diritti e/o superiorità al di fuori del Vecchio Continente, rispetta di
fatto la sovranità culturale e territoriale delle altre compagini razziali
(cosa che - lo si esamini a fondo - comporta l'eversione dell'immorale
modello economico esistente, peraltro sulla via dell'insostenibilità da
parte del cosmo terracqueo). Da ciò le deriva la legittimazione a teorizzare
i necessari provvedimenti per salvaguardare lo Spazio Vitale europeo -
troppo cruda è l'antica espressione? - da indebite intrusioni. Del resto, va
tenuto presente che l'immigrazione dal Terzo-Quarto Mondo di milioni di
"disperati" verso l'Europa non è l'intrusione di qualche migliaio di
persone, ma una vera e propria, strisciante e del tutto insensata (se non
nella strategia di qualche Piccolo Popolo), invasione di decine di milioni
di individui (a tutt'oggi, nei soli paesi della Comunità campeggiano venti
milioni di estranei) che mai potranno essere integrati, mai occupati, mai
neppure assistiti, stanti i gravissimi problemi economici e sociali che
comporta per tutto il mondo l'applicazione dei postulati del Sistema.


I corifei di tale sradicamento delle genti europee, operato attraverso una
riedizione del multirazzialismo che già fiagella il Paese di Dio, vedono in
prima fila sempre i Prediletti. Tale è, tra mille "a sinistra", Daniel
CohnBendit, il "Danny il Rosso" del mitico Maggio francese, promosso, a
difesa della democrazia multirazziale tedesca e per ovvi meriti di elezione
sistemica, assessore per gli Affari Multiculturali di Francoforte sul Meno.
Dopo avere redatto, col tedesco Thomas Schmid, un libello in favore
dell'invasione allogena del Vecchio Continente dal titolo di Heimat Babylon,
Patria Babilonia, il Nostro ammonisce ad "accettare la realtà di un certo
tipo di mobilità internazionale", e ciò anche per contrastare quel "rifiuto
dell'altro" e quel "rilancio di antisemitismo parallelo alla xenofobia" che
può essere emblematizzato dallo "slogan rabbioso" Deutschland den Deutschen,
La Germania ai tedeschi, "caro agli squadristi bruni e ai loro camerati in
doppiopetto in cerca di voti e seggi".


Tale è, tra mille "a destra", Arrigo Levi, il quale, spregiando l'etica e la
ragione, si scaglia contro la decisione presa dal parlamento tedesco il 26
maggio 1993 onde porre un limite all'invasione (nel solo 1992 hanno varcato
quelle frontiere mezzo milione di sedicenti "profughi politici"). Dopo avere
lasciato incancrenire le cose per anni, il Bundestag ha infatti approvato
una modifica in senso restrittivo dell'articolo 16 del Grundgesetz, la Legge
Fondamentale imposta dai vincitori a eradicazione dell'anima tedesca.
Dall'alto del suo moralismo il Levi, pur riconoscendo legittime le
motivazioni che hanno portato a "rifiutare un'immigrazione incontrollata,
fonte di forti tensioni fra comunità diverse, all'interno di paesi già
densamente popolati e non abituati al pluralismo etnico", sermoneggia contro
"questo continente privo di generosità": "E proprio vero che questi nostri
paesi, a differenza dell'America, non possono accogliere al loro intemo
quegli apporti di nuove etnie che pure arricchiscono robustamente (e lo
dimostra il caso americano) una società libera? E' stato fatto abbastanza
per cercare di educare i popoli europei alla nuova realtà di un mondo fatto
di disuguaglianze intollerabili, che richiedono, per essere superate, gesti
di generosità e non chiusure? Preoccupa il fatto che la "fortezza Europa" si
dimostri unita più nel difendersi dai mali del mondo che non nell'assunzione
di responsabilità più larghe".


Cosa rispondere a tali sermoni, basati, se pure non sulla malafede, sul più
venefico utopismo mondialista? Semplicemente questo: il Piccolo Popolo, come
altre volte in passato, sta tirando troppo la corda, invasato dai suoi
interessi finanziari e politici, dai valori posti al suo servizio, dal suo
Dio. Se da una parte l'ebrea Sonja Margolina ha potuto scrivere che i suoi
correligionari hanno svolto il ruolo delle "spezie" nella minestra delle
culture europee (cosa che riconosciamo di buon grado anche noi), ammettendo
tuttavia che in Russia hanno esagerato la dose al punto che quella minestra
è divenuta immangiabile, dall'altra essi, comportandosi come il Levi,
rendono indigeribile anche a noi la nostra minestra nel nostro piatto.

Razzismo non è apologia del Male, non è "xenofobia", odio per lo straniero
(la cultura dell'odio, vale a dire la sistematizzazione di impulsi
frammentariamente presenti in ogni essere umano, è un tipico prodotto
universalistico). Non significa, per chi si pone al di fuori del paradigma
che ordina le razze su una medesima scala di valori, disprezzare gli altri
gruppi biologici o le culture extraeuropee, cui pertiene il diritto di
svilupparsi nelle proprie terre, secondo parametri spirituali loro
specifici. L'esortazione di Keller, riportata in apertura, i versi di
Properzio, riportati in chiusura, illustrano tale concetto meglio di un
trattato di sociologia.

Razzismo significa rimanere fedeli alla propria razza, al ricordo dei padri,
all'orgoglio dei figli, riconoscere (recuperare) la specifica forma di vita
che la segna, rispettare i nessi che la ordinano. I sostenitori sinceri e
coerenti del cosmo - e non dello Stato! - multirazziale, i portatori della
più alta moralità, valevole per ogni gruppo umano senza elezioni divine,
senza doppie morali, senza patetici, criminali universalismi, sono tali
razzisti. Non lo sono coloro che, mediante il multirazzialismo statale,
sognata premessa per un impossibile meticciato, si propongono la rovina di
ogni razza per assemblame i detriti in un'entità umanoide priva di anima,
assoggettata al mondialismo capitalista.


Del "razzismo" si può quindi dire non che cosa è, ma che cosa si definisce
con tale termine. Nel contesto storico attuale il "razzismo" è solo uno
strumento, il più paralizzante strumento di terrorismo e di accecamento
mentale, forgiato dal Sistema al fine di uccidere i popoli, in primo luogo
quelli europei. "Bisogna avere la lucidità di ammetterlo" - scrive Béjin -
"la condanna attuale del "razzismo" è il risultato non di un'ineluttabile
evoluzione della coscienza morale, bensì, in gran parte, di quel caso della
storia recente che è stata la sconfitta militare della Germania nazista, la
quale aveva fatto del razzismo lo zoccolo dottrinario essenziale della
propria azione politica". Ed ancora, il meticciato fisico e culturale
obbligato non è altro che una ulteriore illusione "rivoluzionaria" che
cercano di imporre con la forza del ricatto "morale" i falliti e i riciclati
di tutti i sinistrismi, esseri pietosi cui la Storia ha rotto i bei
giocattoli del Socialismo Reale.


A prescindere da ogni discussione semantica e da ogni vocabolarizzazione di
un concetto che presenta aggettivazioni e sfaccettature più numerose di
quanto la neolingua voglia far credere, il termine razzismo, in quanto posto
(negativamente) dal Sistema a proprio pilastro fondante, non può oggi che
identificare: il rifiuto del multirazzialismo statale, il rifiuto del
modello di vita americano, il rifiuto di ogni Sistema di Valori
giudaico-disceso (sarà ben permesso pensare illuministicamente?), il rifiuto
del Sistema per uccidere i popoli. Razzismo significa, oggi e sempre:
rispetto per ogni razza, recupero della dignità umana, rivendicazione del
mondo reale, difesa di ogni residua libertà, amore per l'ordinamento.

Gianantonio Valli



Semantica del razzismo

Opuscolo tratto dal fascicolo numero 37 della rivista "L'Uomo
Libero"-casella postale 1658-20123 Milano- sito: http://www.uomo-libero.com

Necessità di una corretta semantica - Contro la neolingua del Sistema -
"Genocidio", cardine del Mondo Nuovo - Realtà delle razze e legittimità del
concetto di razza - Universalismo e accettazione: le quattro posizioni -
Antirazzismo differenzialista: premessa al Nuovo Ordine Mondiale- Eticità
del razzismo morfologico

Rispetta la patria di ogni uomo, ma ama la tua.

Gottfried Keller, 1819-1890

C'è un solo peccato che può venire commesso contro l'intera umanità, contro
tutte le stirpi: la falsificazione della storia.

Friedrich Hebbel, 1813-1863

mi natura dedit leges a sanguine ductas,nec possis melior iudicis esse
metu-Properzio,Elegie,IV,11

la natura mi ha dato leggi ispirate alla mia stirpe,e non potresti esser
migliore per paura di un giudice

BIBLIOGRAFIA


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ULTIM'ORA

Forse è malizioso supporre un'Unica Regia per la repressione del pensiero in
atto nel Libero Occidente. Certo è che qualcuno fa di tutto per indurci a
crederlo. Dopo Francia, Germania, Austria ed Italia, anche la Svizzera, il
28 giugno 1993, ha varato una legge bavaglio spacciata per antirazzista. Le
finalità repressive del libero dibattito storico vengono esplicitate - come
fa in Francia la Gayssot - senza neanche quel pudore che copre le vergogne
della Mancino-Modigliani. Recita, tra l'altro, l'art. 261 bis: "colui che
avrà pubblicamente, con la parola, gli scritti, l'immagine, i gesti, in via
di fatto o in qualunque altra maniera, denigrato o discriminato, in un modo
che costituisca offesa alla dignità umana, una persona o un gruppo di
persone in ragione della loro razza, della loro appartenenza etnica o della
loro religione, o che per le stesse ragioni, avrà minimizzato
grossolanamente o cercato di giustificare un genocidio o altri crimini
contro l'umanità sarà punito col carcere o con pena pecuniaria".
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