Moroni
2004-07-23 12:33:53 UTC
Il thread su Buckley e Conte mi ha fatto pensare ad una sorta di confronto
tra la scena musicale italiana e quella internazionale.
Pur ammettendo che in questi ultimi anni in Italia sono uscite un sacco di
piacevoli novità musicali, dai PGR alla Donà tanto per citarne due che vanno
per la maggiore, un confronto tra i nostri gruppi più promettenti e i gruppi
più promettenti della scena internazionale, mi pare perdente. E non solo per
una questione statistica o di numeri: mi sembra che invece noi non riusciamo
a liberarci delle nostre radici musicali provinciali e un po' barocche.
Una delle argomentazioni più ricorrenti che si leggono sulle riviste di
critica musicale italiane nei confronti di gruppi un po' troppo orientati
verso una produzione musicale di tipo internazionale, è che, per fare musica
in Italia, se si vuole essere credibili, non si può prescindere dalla
tradizione musicale italiana soprattutto cantautorale. Come dire: sei
italiano, devi fare musica Italian style oppure noi non spingiamo i lettori
verso l'apprezzamento dei tuoi lavori.
Il risultato qual è? E' che, se prendi la Donà, seppur brava, da una parte
vedi che si ritrova a dover pronunciare 56 parole nel giro di 4 secondi, e
dall'altra a dover scrivere testi che se confrontati a quelli di Guccini o
De André valgono poco o niente. Gruppi come i Pixies o i Rem degli esordi in
Italia, per l'importanza che viene attribuita ai testi, non avrebbero mai
sfondato. Sarebbero forse addirittura stati tacciati di non essere
rispettosi della tradizione cantautorale.
Un altro cliché associato alla musica italiana è che un cantante, per
sfondare, deve avere una bellissima voce oppure una voce perlomeno
particolare. Perché per forza, dal momento che le produzioni italiane
tendono a mixare la voce relativamente alta rispetto al resto delle
strumentazioni, se canti non granché bene, la differenza si sente. Certo: è
preferibile che un cantante abbia una voce alla Tim Buckley, ma se invece ha
una voce alla Bob Dylan cosa fa? Se è incapace di cantare come Billy Corgan
cosa fa?
Anche riguardo ai mostri sacri della nostra musica confrontati ai mostri
sacri della musica internazionale, non è che vedo molta possibilità di
confronto vittorioso per gli artisti tricolore. Meglio Tim Buckley o De
André, ci si chiedeva nell'altro thread? Meglio senz'altro il primo, perché,
fondamentalmente, se il discrimine di giudizio tra un artista e l'altro
dev'essere la qualità di un testo (bellissimi, comunque, anche quelli di
Buckley) non parliamo più di musica, ma di poesia. La musica va giudicata
per la musica, i testi sono un valore aggiunto. Perché quando ascolto i
Sigur Ros, che non cantano neanche in islandese, dei testi me ne frega
niente. E' la musica la chiave che mi permette di apprezzarli, e la voce la
giudico in base alla modulazione, e non in base alla profondità dei concetti
che pronuncia (profondità difficilmente raggiungibile dal 90% degli
scrittori di testi musicali, soprattutto se confrontata con la profondità di
testi poetici di artisti della penna).
E in generale se la musica italiana è più orientata verso un impianto di
produzione musicale in cui gli strumenti e la musica stessa, in generale,
sono una sorta di sfondo per la voce narrante, come si fa a vincere il
confronto su un piano musicale con un Frank Zappa, nonostante non sia uno
dei miei beniamini?
tra la scena musicale italiana e quella internazionale.
Pur ammettendo che in questi ultimi anni in Italia sono uscite un sacco di
piacevoli novità musicali, dai PGR alla Donà tanto per citarne due che vanno
per la maggiore, un confronto tra i nostri gruppi più promettenti e i gruppi
più promettenti della scena internazionale, mi pare perdente. E non solo per
una questione statistica o di numeri: mi sembra che invece noi non riusciamo
a liberarci delle nostre radici musicali provinciali e un po' barocche.
Una delle argomentazioni più ricorrenti che si leggono sulle riviste di
critica musicale italiane nei confronti di gruppi un po' troppo orientati
verso una produzione musicale di tipo internazionale, è che, per fare musica
in Italia, se si vuole essere credibili, non si può prescindere dalla
tradizione musicale italiana soprattutto cantautorale. Come dire: sei
italiano, devi fare musica Italian style oppure noi non spingiamo i lettori
verso l'apprezzamento dei tuoi lavori.
Il risultato qual è? E' che, se prendi la Donà, seppur brava, da una parte
vedi che si ritrova a dover pronunciare 56 parole nel giro di 4 secondi, e
dall'altra a dover scrivere testi che se confrontati a quelli di Guccini o
De André valgono poco o niente. Gruppi come i Pixies o i Rem degli esordi in
Italia, per l'importanza che viene attribuita ai testi, non avrebbero mai
sfondato. Sarebbero forse addirittura stati tacciati di non essere
rispettosi della tradizione cantautorale.
Un altro cliché associato alla musica italiana è che un cantante, per
sfondare, deve avere una bellissima voce oppure una voce perlomeno
particolare. Perché per forza, dal momento che le produzioni italiane
tendono a mixare la voce relativamente alta rispetto al resto delle
strumentazioni, se canti non granché bene, la differenza si sente. Certo: è
preferibile che un cantante abbia una voce alla Tim Buckley, ma se invece ha
una voce alla Bob Dylan cosa fa? Se è incapace di cantare come Billy Corgan
cosa fa?
Anche riguardo ai mostri sacri della nostra musica confrontati ai mostri
sacri della musica internazionale, non è che vedo molta possibilità di
confronto vittorioso per gli artisti tricolore. Meglio Tim Buckley o De
André, ci si chiedeva nell'altro thread? Meglio senz'altro il primo, perché,
fondamentalmente, se il discrimine di giudizio tra un artista e l'altro
dev'essere la qualità di un testo (bellissimi, comunque, anche quelli di
Buckley) non parliamo più di musica, ma di poesia. La musica va giudicata
per la musica, i testi sono un valore aggiunto. Perché quando ascolto i
Sigur Ros, che non cantano neanche in islandese, dei testi me ne frega
niente. E' la musica la chiave che mi permette di apprezzarli, e la voce la
giudico in base alla modulazione, e non in base alla profondità dei concetti
che pronuncia (profondità difficilmente raggiungibile dal 90% degli
scrittori di testi musicali, soprattutto se confrontata con la profondità di
testi poetici di artisti della penna).
E in generale se la musica italiana è più orientata verso un impianto di
produzione musicale in cui gli strumenti e la musica stessa, in generale,
sono una sorta di sfondo per la voce narrante, come si fa a vincere il
confronto su un piano musicale con un Frank Zappa, nonostante non sia uno
dei miei beniamini?