i***@NOSPAM.com
2009-10-27 12:07:37 UTC
segnalato da dago sono andato a cercare la fonte su la stampa e tanto
di cappello al giornale. leggete un po'!
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=707&ID_sezione=56&sezione=
Il disinteresse del conflitto
di Massimo Gramellini
Che il capo del governo sia venuto in possesso di un video contro
Marrazzo non in quanto capo del governo ma nelle vesti di proprietario
di unimpresa di comunicazione è qualcosa di cui sembra non essersi
accorto nessuno. Nemmeno i suoi oppositori. Avete forse letto una sola
dichiarazione indignata o almeno stupita?
Commentavo con tre amici di sinistra la telefonata in cui Berlusconi
avverte il governatore del Lazio di un filmato che lo riguarda, dopo
averne avuto notizia dai dirigenti della Mondadori ai quali era stato
proposto. Il primo amico, tendenza DAlema, ha detto: stavolta Silvio
si è comportato da signore, poteva rovinarlo e invece lo ha
risparmiato. Il secondo, tendenza Veltroni: è il presidente del
Consiglio, avrebbe dovuto avvertire la polizia. Tesi discutibile,
perché presuppone che Berlusconi fosse a conoscenza non solo del
video, ma anche del ricatto. Era naturalmente questa lopinione del
terzo amico, tendenza Di Pietro: per lui il premier è allorigine di
tutti i mali dellumanità dai tempi del Diluvio Universale «perché non
poteva non sapere». Ma neppure il più ossessivo dei berluscallergici
mi ha opposto la semplice osservazione che mi sono sentito fare al
telefono da un collega inglese che vota per i conservatori: «Come
potete accettare che un primo ministro riceva e usi, anche a fin di
bene, informazioni ottenute in virtù del suo ruolo di editore?».
E lultima, lampante esplicazione del conflitto di interessi. Ma così
lampante che nessuno di noi ci ha fatto caso. Provate a pensarci un
attimo. I carabinieri ricattatori filmano Marrazzo e provano a vendere
il video a un giornale del presidente del Consiglio. Non importa che
il presidente del Consiglio abbia evitato di infierire. Resta il fatto
che, grazie al suo ruolo di tycoon mediatico, gli era stata offerta la
possibilità di distruggere un avversario politico. E pensare che molti
fingono ancora di non capire quale differenza passa, ai fini delle
regole democratiche, fra il possesso di una fabbrica di frigoriferi e
il controllo di una che produce rotocalchi e programmi televisivi.
Ma questo totale disinteresse per i conflitti di interesse rivela
anche qualcosaltro. Assuefazione. Ogni cosa, a furia di esserci,
finisce per sembrare inesorabile. Mancanza di senso dello Stato, e lo
si è appena visto proprio con Marrazzo: tutti scandalizzati dalle sue
frequentazioni e non perché si recava agli incontri con lauto di
servizio. Rivela soprattutto disprezzo per le istituzioni. Viene il
dubbio che gli italiani sappiano benissimo quali rischi si corrano a
consegnare il governo nelle mani di un imprenditore di quel calibro e
di quel ramo. Ma è tale il loro disprezzo per i politici di
professione che ritengono meno grave truccare il gioco della
democrazia che riaffidare le redini della Repubblica allo schema
classico, in base al quale il mondo dei media e degli affari
condiziona la politica attraverso le lobby, ma non si sostituisce a
essa per esercitare direttamente il potere. E un editore, quando
riceve un video compromettente, decide in base alle sue valutazioni di
editore, non di presidente del Consiglio.
di cappello al giornale. leggete un po'!
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/grubrica.asp?ID_blog=41&ID_articolo=707&ID_sezione=56&sezione=
Il disinteresse del conflitto
di Massimo Gramellini
Che il capo del governo sia venuto in possesso di un video contro
Marrazzo non in quanto capo del governo ma nelle vesti di proprietario
di unimpresa di comunicazione è qualcosa di cui sembra non essersi
accorto nessuno. Nemmeno i suoi oppositori. Avete forse letto una sola
dichiarazione indignata o almeno stupita?
Commentavo con tre amici di sinistra la telefonata in cui Berlusconi
avverte il governatore del Lazio di un filmato che lo riguarda, dopo
averne avuto notizia dai dirigenti della Mondadori ai quali era stato
proposto. Il primo amico, tendenza DAlema, ha detto: stavolta Silvio
si è comportato da signore, poteva rovinarlo e invece lo ha
risparmiato. Il secondo, tendenza Veltroni: è il presidente del
Consiglio, avrebbe dovuto avvertire la polizia. Tesi discutibile,
perché presuppone che Berlusconi fosse a conoscenza non solo del
video, ma anche del ricatto. Era naturalmente questa lopinione del
terzo amico, tendenza Di Pietro: per lui il premier è allorigine di
tutti i mali dellumanità dai tempi del Diluvio Universale «perché non
poteva non sapere». Ma neppure il più ossessivo dei berluscallergici
mi ha opposto la semplice osservazione che mi sono sentito fare al
telefono da un collega inglese che vota per i conservatori: «Come
potete accettare che un primo ministro riceva e usi, anche a fin di
bene, informazioni ottenute in virtù del suo ruolo di editore?».
E lultima, lampante esplicazione del conflitto di interessi. Ma così
lampante che nessuno di noi ci ha fatto caso. Provate a pensarci un
attimo. I carabinieri ricattatori filmano Marrazzo e provano a vendere
il video a un giornale del presidente del Consiglio. Non importa che
il presidente del Consiglio abbia evitato di infierire. Resta il fatto
che, grazie al suo ruolo di tycoon mediatico, gli era stata offerta la
possibilità di distruggere un avversario politico. E pensare che molti
fingono ancora di non capire quale differenza passa, ai fini delle
regole democratiche, fra il possesso di una fabbrica di frigoriferi e
il controllo di una che produce rotocalchi e programmi televisivi.
Ma questo totale disinteresse per i conflitti di interesse rivela
anche qualcosaltro. Assuefazione. Ogni cosa, a furia di esserci,
finisce per sembrare inesorabile. Mancanza di senso dello Stato, e lo
si è appena visto proprio con Marrazzo: tutti scandalizzati dalle sue
frequentazioni e non perché si recava agli incontri con lauto di
servizio. Rivela soprattutto disprezzo per le istituzioni. Viene il
dubbio che gli italiani sappiano benissimo quali rischi si corrano a
consegnare il governo nelle mani di un imprenditore di quel calibro e
di quel ramo. Ma è tale il loro disprezzo per i politici di
professione che ritengono meno grave truccare il gioco della
democrazia che riaffidare le redini della Repubblica allo schema
classico, in base al quale il mondo dei media e degli affari
condiziona la politica attraverso le lobby, ma non si sostituisce a
essa per esercitare direttamente il potere. E un editore, quando
riceve un video compromettente, decide in base alle sue valutazioni di
editore, non di presidente del Consiglio.