Discussione:
D'accordissimo
(troppo vecchio per rispondere)
Massimo
2010-03-13 16:40:21 UTC
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Se ho conformità di opinioni dico "sono d'accordo" o anche "sono
molto, moltissimo d'accordo". È giusto dire invece "sono
d'accordissimo"?
(In questo Gruppo ho trovato "320 risultati per d' accordissimo")
Klaram
2010-03-13 17:58:22 UTC
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Post by Massimo
Se ho conformità di opinioni dico "sono d'accordo" o anche "sono
molto, moltissimo d'accordo". È giusto dire invece "sono
d'accordissimo"?
(In questo Gruppo ho trovato "320 risultati per d' accordissimo")
Si può fare il superlativo di un sostantivo? In teoria NO, in pratica si
fa e ci sono anche esempi antichi e di autori classici.
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima,
padronissimo, direttissima e anche... d'accordissimo, ormai sono entrati
nel linguaggio comune.
L'importante sarebbe non abusarne. :-))

k
Sparrow®
2010-03-13 19:14:44 UTC
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È giusto dire invece "sono d'accordissimo"?
Si può fare il superlativo di un sostantivo?
E siamo sicuri che "d'accordo" sia un sostantivo?
Klaram
2010-03-14 17:42:43 UTC
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Post by Sparrow®
È giusto dire invece "sono d'accordissimo"?
Si può fare il superlativo di un sostantivo?
E siamo sicuri che "d'accordo" sia un sostantivo?
Se è in una frase in cui può essere sostituito da "di comune accordo"
o "d'intesa" o simili, sì;
se è usato in senso assoluto, tipo: "allora ci vediamo domani",
"d'accordo!", è locuzione alvverbiale.

k
Davide Pioggia
2010-03-13 19:17:22 UTC
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Post by Klaram
È giusto dire invece "sono d'accordissimo"?
Si può fare il superlativo di un sostantivo?
Mi sa che non è il superlativo di un sostantivo.

Sarebbe il superlativo di un sostantivo se lo si leggesse così:

[d'][accordissimo]

quando invece va letto così:

[d'accord-][-issimo].

Il fatto che ortograficamente ci sia l'apostrofo è solo una convenzione.
Se avessimo deciso di scrivere «*daccordo» ora sui vocabolari ci sarebbe la
parola «*daccordo», come c'è «davanti», e «*daccordo» non sarebbe un
sostantivo. Su quale sia esattamente la categoria grammaticale di questa
espressione si potrebbe discutere a lungo, ma se uno dice semplicemente
«d'accordo!» è come se dicesse «bene!», o «sì!»; e tenuto conto che è pure
indeclinabile direi che la si può considerare un avverbio (o una locuzione
avverbiale, ma questo concettualmente conta assai poco).

Una volta adottata una diversa convenzione ortografica sarebbe immediato
rendersi conto che «*daccordissimo» è il superlativo dell'avverbio
«*daccordo». Avendo invece deciso di scriverlo con l'apostrofo non possiamo
mostrare questa cosa in tutta la sua evidenza se non mettendo un paio di
"parentesi", ma dal punto di vista concettuale la cosa mi sembra chiara:
stai facendo il superlativo di «d'accordo» e non anteponendo la preposizione
«di» a un improbabile «accordissimo».

D'altra parte se la gente lo usa abbondantemente una ragione ci dev'essere:
basta solo fare uno sforzo per capire quale sia :-)

Ciao!
D.
Mad Prof
2010-03-14 15:37:01 UTC
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Post by Davide Pioggia
Il fatto che ortograficamente ci sia l'apostrofo è solo una convenzione.
Se avessimo deciso di scrivere «*daccordo» ora sui vocabolari ci sarebbe la
parola «*daccordo», come c'è «davanti», e «*daccordo» non sarebbe un
sostantivo. Su quale sia esattamente la categoria grammaticale di questa
espressione si potrebbe discutere a lungo, ma se uno dice semplicemente
«d'accordo!» è come se dicesse «bene!», o «sì!»; e tenuto conto che è pure
indeclinabile direi che la si può considerare un avverbio (o una locuzione
avverbiale, ma questo concettualmente conta assai poco).
Un caso simile è "un tipo in gamba" -> "un tipo in gambissima": la
logica è esattamente quella di cui parli tu, ma ammetto che fatico a
considerarlo corretto...
--
Questa, signori miei, è porno-anarchia...
Epimeteo
2010-03-14 18:39:57 UTC
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Post by Mad Prof
Un caso simile è "un tipo in gamba" -> "un tipo in gambissima": la
logica è esattamente quella di cui parli tu, ma ammetto che fatico a
considerarlo corretto...
... a meno di non fare come nel trevigiano, dove la rappresentazione
popolare dell'espressione "in gamba" si presta, in qualche caso, ad
amplificazioni superlative entusiastiche che giustificano la forzatura
grammaticale:
Loading Image...

Ciao.
Epimeteo
---
"... con quelle gambe che cha cha cha,
con quella bocca che cha cha cha,
ti viene voglia di darle un bacio,
però il coraggio chi te lo dà..."

(cit. da non prendere sotto gamba)
Davide Pioggia
2010-03-15 10:46:44 UTC
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Post by Mad Prof
Un caso simile è "un tipo in gamba" -> "un tipo in gambissima": la
logica è esattamente quella di cui parli tu, ma ammetto che fatico a
considerarlo corretto...
Se ci sono molti parlanti che dicono «in gambissima» si vede che qualcuno ha
cominciato a percepire quella espressione come se fosse [in gamb-][-issima]
e altri parlanti hanno accolto favorevolmente questa analisi, facendola
propria. In tal caso possiamo dire che la lingua, come prodotto collettivo,
era pronta a recepire quella interpretazione, anche al di là della
consapevolezza dei parlanti.

A volte è difficile sottrarsi alla tentazione di arroccarsi su posizioni
conservatrici. Io, ad esempio, provo una forte avversione per «piuttosto
che» usato nella sua accezione disgiuntiva, anche perché lo strato sociale
che lo sta imponendo mi sta tutt'altro che simpatico. Tuttavia prendo atto
che la mia tendenza a respingerlo è assai poco condivisa, e ho l'impressione
che la collettività dei parlanti finirà per acquisirlo, così come in passato
si è imposto «però» con valore avversativo, perdendo il suo "naturale"
significato consecutivo.

Il pericolo maggiore, secondo me, è che le nostre personali idiosincrasie ci
precludano l'intelligenza delle cose. Mi chiedo spesso, ad esempio, se
l'anonimo grammatico che ha redatto l'_Appendix probi_ si fosse reso conto
che «speclum, masclus, veclus, viclus» erano degli "errori" che si potevano
ricavare in modo sistematico dalle forme "corrette" «speculum, masculum,
vetulus, vitulus». Se se n'era accorto e, pur avendo capito benissimo cosa
stava accadendo, aveva deciso comunque di stare dalla parte di coloro che
tentavano di respingere quella tendenza, allora buon per lui; in fondo non
si può mai sapere a priori quali tendenze finiranno per imporsi e quali
invece verranno respinte, e finché la partita non è chiusa uno è liberissimo
di decidere su quale piatto della bilancia posare i suoi dieci centesimi.
Ma, come dicevo, ciò che mi preoccupa maggiormente è la possibilità
- tutt'altro che remota - che egli fosse talmente preso dal suo ruolo di
guardiano del dover essere da non essere più capace di vedere l'essere.
Così quando accade qualcosa che non mi piace per prima cosa cerco
di capire quali sono le ragioni (e ci sono sempre delle ragioni) per le
quali sta accadendo, e se poi continua a non piacermi eventualmente vedo
cosa posso fare per mettermi di traverso. Ma solo dopo averlo capito per
benino.
--
Saluti.
D.
p***@gmx.de
2010-03-15 11:41:53 UTC
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Post by Davide Pioggia
A volte è difficile sottrarsi alla tentazione di arroccarsi su posizioni
conservatrici. Io, ad esempio, provo una forte avversione per «piuttosto
che» usato nella sua accezione disgiuntiva, anche perché lo strato sociale
che lo sta imponendo mi sta tutt'altro che simpatico.
Due domande da un residente all'estero.
Mi faresti un esempio dell'accezione disgiuntiva che
disapprovi, tanto per capire se sono d'accordo con te o no?
Quale sarebbe lo strato sociale di cui parli?
Grazie in anticipo.
SP
Davide Pioggia
2010-03-15 18:27:14 UTC
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Post by p***@gmx.de
Due domande da un residente all'estero.
Mi faresti un esempio dell'accezione disgiuntiva che disapprovi, tanto per
capire se sono d'accordo con te o no?
Ah, guarda, ormai lo si sente usare tranquillamente al posto
di «o» o «oppure», in tutti i contesti.
Post by p***@gmx.de
Quale sarebbe lo strato sociale di cui parli?
Non è facile rispondere a questa domanda, perché bisognerebbe scrivere
un trattato di sociolinguistica. Se mi concedi di usare un termine poco
educato, ma molto efficace, ti posso dire che l'uso di «piuttosto che» al
posto di «oppure» è percepito come più "fighetto". Questa percezione è
generalizzata: anche chi - come me - non ama quella accezione del termine si
rende conto perfettamente che è un uso "fico" (anzi: cool); e probabilmente
è proprio per questo che sta antipatico ad alcuni e invece viene accolto con
favore da altri.

Tanto per fare un esempio, il giovane milanese che non entrebbe mai a bere
un bicchiere di vino nel bar di quartiere, e che nel weekend si ritrova con
gli amici al wine bar, agghindato con tutta la chincaglieria e vestiario
strafirmati, per poi proseguire la in qualche postoggiusto che piace alla
genteggiusta, costui - dicevo - è molto incline ad usare il «piuttosto che»
come correlato linguistico dell'orologio di marca che indossa al polso.

Più in generale possiamo osservare in tutte le grandi metropoli
occidentali questa tendenza quasi compulsiva ad appropriarsi di ciò che
appare più "cool". In una città come New York la cosa si spinge a degli
eccessi quasi maniacali, che al confronto fanno apparire Milano o Londra
come città provinciali.

Detto questo aggiungo che anche la mia avversione nei confronti di questo
fenomeno non mi convince del tutto. Mi sembra - questa sì - piuttosto
provinciale, con quella punta di astio che spesso è dettata dall'invidia, e
mi ricorda un poco il classico esercizio da ospizio dell'o tempora o mores.
Mi piacerei di più se la cosa mi lasciasse del tutto indifferente, ma se è
per questo vorrei anche avere qualche capello in più, quando invece mi tocca
fare con quelli che mi sono rimasti. E comunque preferisco di gran lunga una
generazione di fighetti qualunquisti a quelle generazioni che in nome di
qualche Sommo Ideale politico o religioso hanno scatenato delle spaventose
carneficine.

Al di là delle preferenze personali, mi sembra che possa essere interessante
quel che dicevo all'inizio, ovvero che tendono ad imporsi quegli status
symbol (anche linguistici) che vengono percepiti come più "fighetti".
Questo significa - a mio avviso - che la tendenza individualistica che è
tipica di tutte le società occidentali sta entrando in una fase in cui il
malessere sociale si manifesta come disturbo narcisistico generalizzato,
con tutto quello che ne consegue.
--
Saluti.
D.
p***@gmx.de
2010-03-16 12:50:31 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by p***@gmx.de
Due domande da un residente all'estero.
Mi faresti un esempio dell'accezione disgiuntiva che disapprovi, tanto per
capire se sono d'accordo con te o no?
Ah, guarda, ormai lo si sente usare tranquillamente al posto
di «o» o «oppure», in tutti i contesti.
Grazie per la spiegazione. Allora sono d'accordo con te.
Questo uso di "piuttosto che" è piuttosto :-) pericoloso, se
Tizio il fighetto intende "oppure", ma l'ex-giovane :-) Caio
o SP capisce "anziché".
Per caso è anche un uso regionale?
Ciao
SP
Davide Pioggia
2010-03-16 15:10:12 UTC
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Post by p***@gmx.de
Per caso è anche un uso regionale?
Ne avevamo già parlato in passato. Originariamente lo si poteva anche
considerare un uso regionale, ma solo perché un certo strato sociale si
trova soprattutto nelle metropoli settentrionali, e in Italia di metropoli
settentrionali alla fine ce n'è una sola. In seguito si è diffuso in tutto
il paese (a cominciare da Roma) e oggi - come dicevo - caratterizza un
intero strato sociale senza una precisa collocazione regionale. In questi
casi, cioè quando un certo linguaggio appartiene ad uno strato sociale
senza dei precisi vincoli geografici, si parla di "idioletto".

Questo linguaggio, per altro, non è riconoscibile solo dal «piuttosto che».
Coloro che lo usano tendono, ad esempio, a dire «settimana prossima»,
senza articolo, probabilmente perché questa costruzione ricorda quella
dell'inglese _next week_.

Una volta gli storici erano convinti che le popolazioni germaniche fossero
scese in Italia con un numero imponente di uomini e di donne. Ne erano
convinti perché si trovano nel nostro paese molti toponimi e anche nomi
di persona nei quali si riconoscono facilmente delle radici germaniche.
In seguito però ci si è resi conto che quei numeri andavano enormemente
ridimensionati, e secondo alcuni si potrebbe parlare al massimo di qualche
decina di migliaia di individui, fra cui molti guerrieri che non hanno certo
pensato ad insediarsi in qualche borgo remoto. Ma allora da dove saltano
fuori tutti questi nomi?

L'ipotesi che mi sembra più verosimile è che - come si è sempre fatto -
tutti si siano affrettati ad appropiarsi del lessico dei vincitori,
percepito come più prestigioso. Oggi nessuna aprirebbe un negozio
chiamandolo, che so, «Merceria da Pina», ma lo chiamerebbe _Giusy's shop_,
o qualcosa del genere. Parimenti nei paesini qui attorno è pieno zeppo
di signore che magari parlano il dialetto molto più correntemente
dell'italiano, ma non si fanno mai mancare un figlio che si chiama Michael o
Nicholas, Samuel, Gabriel eccetera (spero di averli scritti bene, perché ora
non ho voglia di andare a controllare).

Ora, se tu sei un fighetto rampante che vive in una grande città lo sai bene
che chiamare Giusy la Pina è un po' pacchiano, ma allo stesso tempo devi pur
far vedere che hai accesso a qualcosa di molto esclusivo. E così tiri fuori
«settimana prossima», per far capire che a forza di fare avanti e indietro
con l'aereo fra Milano e New York cominci a confondere i costrutti
sintattici delle due lingue. Poi qualcuno ti sente, si accorge che quella
espressione piace alla gente che piace, e il gioco è fatto.

Qualcosa del genere è accaduto in passato quando si imposto fra gli
scrittori il vezzo di non usare «gli» come pronome obliquo femminile o
plurale. In tutti i dialetti italiani si è sempre detto «gli do» (o forme
equivalenti a questa) col significato generico di «do a lui, a lei, a loro».
Invece no, per distinguersi dal popolaccio boia alcuni scrittori hanno
deciso che in italiano il pronome atono plurale non esiste, e che bisogna
dire «do loro». Così facendo hanno costretto la povera gente comune a fare
dei salti mortali, perché in quasi tutte le lingue del mondo ci sono delle
apposite particelle atone che si possono porre prima o dopo il verbo
formando di fatto una parola sola, mentre «lóro» è un malefico bisillabo
tonico che dal punto di vista fonologico è peggio che un calcio negli
stinchi.

Questa cosa per altro non sorprende più di tanto, e gli antropologi sanno
bene che spesso - quando non si può fare meglio - pur di accedere a qualcosa
che è percepito come esclusivo ci si adatta anche a compiere degli atti
estremamente masochistici. Mia nonna quando vedeva passare certe signorine
che facevano fatica a camminare a causa dei vari cilici che indossavano
mormorava: «Chi bello vuol comparire qualcosa deve soffrire». Mi pare,
ad esempio, che ci siano delle popolazioni presso le quali per essere
considerato degno di un minimo di considerazione sociale devi avere almeno
una decina di affari infilati nel glande. Non so tu, ma io dovendo scegliere
preferisco dire «do loro», e credo che potrei anche adattarmi a dire
«piuttosto che» con valore disgiuntivo.
--
Saluti.
D.
edi'®
2010-03-16 16:26:13 UTC
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Post by Davide Pioggia
Qualcosa del genere è accaduto in passato quando si imposto fra gli
scrittori il vezzo di non usare «gli» come pronome obliquo femminile o
plurale. In tutti i dialetti italiani si è sempre detto «gli do» (o forme
equivalenti a questa) col significato generico di «do a lui, a lei, a loro».
D'accordo per il plurale, ma non certo per il femminile singolare: se
una mia figlia dicesse "gli do" riferendosi alla sorella la correggerei
senz'altro.

E.D.
Davide Pioggia
2010-03-16 19:53:35 UTC
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Post by edi'®
D'accordo per il plurale, ma non certo per il femminile singolare: se
una mia figlia dicesse "gli do" riferendosi alla sorella la correggerei
senz'altro.
Non dico che non devi correggerla; dico solo che anche questo è uno dei
tanti marchingegni linguistici adottati per distinguersi in qualche modo da
ciò che è percepito come più comune e accessibile alle masse. E, come spesso
accade in questi casi, la soluzione adottata per distinguersi non brilla
certo per intelligenza. Infatti «loro» deriva da _illorum_, che non è certo
un dativo, e anche «le» non può avere alcuna continuità etimologica con
_illi_, per cui è probabile che se lo siano inventati presso le corti
medicee e pontificie.

Qualcosa del genere si potrebbe dire per la faccenda di «qual è». Perché è
vero che in italiano esiste «qual» accanto a «quale», ma se è per questo
esiste anche «bel» accanto a «bello», il che non ci impedisce di dire e
scrivere «bell'uomo», poiché davanti a «uomo» si usa «bello», non «bel».

Ora, se noi prendiamo una costruzione nella quale bisogna usare senz'altro
«qual», come ad esempio «qual sia», vediamo che «qual» ha una sua ragione di
essere, in quanto è costuito da un sola sillaba, che è tonica o per lo meno
prende un accento secondario nell'interno della frase. Tenuto conto di ciò,
se noi tentiamo di dire veramente «qual è», come diciamo «qual sia», ci
rendiamo conto che dopo «qual» siamo quasi costretti a fermarci, perché
essendoci «è» dopo «qual» questo viene necessariamente diviso in due
sillabe. Ma allora, se ciò che rendeva necessario l'uso di «qual» era la
possibilità di usare un monosillabo, dobbiamo dire che davanti a «è» ci va
«quale», come davanti a «uomo» ci va «bello». Tenuto conto di ciò, io
proprio non capisco perchè si debba scrivere «qual è».

D'altra parte tutte le più grandi lingue della storia, anche quelle con
quindici casi e una coniugazione da far tremare le vene dei polsi, sono
sempre state forgiate "ad orecchio" da comunità di parlanti, tant'è che
comunità di parlanti illetterati hanno dato vita al sanscrito e al greco,
mentre i letterati che costruiscono le lingue a tavolino al più hanno saputo
imporci di dire «do loro». E a proposito di orecchio, se quasi tutti i
bambini che vengono mandati alle elementari dopo un po', quando hanno capito
come funziona il sistema ortografico della loro lingua, cominciano a
scrivere «qual'è» e a sillabare «bas-ta» avranno certamente delle buone
ragioni. Anche perché se fossero tutti scarsi di orecchio farebbero un
miriade di errori diversi fra loro, mentre quando tutti commettono
sistematicamente lo stesso "errore" bisogna prendere in considerazione la
possibilità che sia la soluzione "giusta" ad essere sbagliata.
--
Saluti.
D.
Army1987
2010-03-16 20:23:35 UTC
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Post by Davide Pioggia
Qualcosa del genere si potrebbe dire per la faccenda di «qual è». Perché
è vero che in italiano esiste «qual» accanto a «quale», ma se è per
questo esiste anche «bel» accanto a «bello», il che non ci impedisce di
dire e scrivere «bell'uomo», poiché davanti a «uomo» si usa «bello», non
«bel».
Grazie mille. Cercavo da sempre un pretesto per scrivere "qual'è" con
l'apostrofo, ma nessuno di quelli che avevo trovato era soddisfacente.
Crononauta
2010-03-16 20:28:23 UTC
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Post by Army1987
Post by Davide Pioggia
Qualcosa del genere si potrebbe dire per la faccenda di «qual è». Perché
è vero che in italiano esiste «qual» accanto a «quale», ma se è per
questo esiste anche «bel» accanto a «bello», il che non ci impedisce di
dire e scrivere «bell'uomo», poiché davanti a «uomo» si usa «bello», non
«bel».
Grazie mille. Cercavo da sempre un pretesto per scrivere "qual'è" con
l'apostrofo, ma nessuno di quelli che avevo trovato era soddisfacente.
Non fa una piega, purché si ammetta l'esistenza di "quallo", da elidere
davanti a vocale :-D
--
Massimo Bacilieri AKA Crononauta
Skype: crononauta <***@gmail.com>
Facebook: Massimo Bacilieri
Davide Pioggia
2010-03-16 21:17:48 UTC
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Post by Army1987
Grazie mille. Cercavo da sempre un pretesto per scrivere "qual'è" con
l'apostrofo, ma nessuno di quelli che avevo trovato era soddisfacente.
Tu ovviamente puoi fare quel che ti pare, ma io non stavo sostenendo che si
deve scrivere «qual è». Sappiamo tutti benissimo che se scriviamo una
lettera a qualcuno da cui dipende il nostro futuro (un cliente importante,
un possibile datore di lavoro, una autorità o il rappresentante di una
istituzione) e in quella lettera ci piazziamo un «qual'è», chi ci legge
molto probabilmente non si chiederà quale profonda riflessione ortografica
abbia mosso la nostra mano, ma penserà che non siamo stati nemmeno capaci di
frequentare con profitto le scuole dell'obbligo.

Come dicevo, il linguaggio è uno status symbol che determina dei criteri di
inclusione ed esclusione, come gli orologi firmati e le grosse automobili, e
se per te - ad esempio - è importante farti riconoscere nel novero di
«quelli che hanno studiato» non perseguiresti certo il tuo scopo scrivendo
«qual'è». Essere razionali significa predisporre i mezzi necessari per
raggiungere il proprio scopo.

Sul piano educativo si pone invece un problema diverso, che è quello di non
umilare e menomare l'intelligenza di chi apprende. Ricordo ancora con un
certo sgomento le scuole elementari dei miei tempi, quando non si pretendeva
solo una ortoprassi, ma anche una ortodossia. Se mi avessero detto
chiaramente che non c'era alcuna ragione grammaticale e ortografica per
sillabare «ba-sta» e scrivere «se stesso», e che bisognava fare così solo
per dimostrare di aver ricevuto quella "educazione" dalla quale impariamo a
reprimere ciò che ci viene spontaneo e naturale, ecco, se mi avessero
spiegato questa cosa credo che avrei impiegato cinque minuti a comprendere
l'utilità di certi usi; anche perché l'etologia dei cosiddetti primati
superiori mi ha sempre interessato moltissimo fin da piccolo, e le dinamiche
che regolano le gerarchie sociali, i rituali di accoppiamento eccetera hanno
certamente una loro logica, sicché si possono perseguire razionalmente gli
obiettivi desiderati. Il problema, dicevo, si pone quando tutto ciò viene
mascherato e negato, il che rende appunto necessario imporre una ortodossia.
Non basta più dire che bisogna fare così per perseguire certi scopi, ma
bisogna anche spiegare che «è giusto così», e chi apprende deve costringersi
a crederlo, per non deludere le aspettative degli insegnanti. Chissà quanti
bambini rispettosi e ubbidienti, dai tempi di De Amicis ad oggi, si saranno
sforzati di convincersi che il maestro doveva avere ragione, che se egli
diceva che «ba-sta» era sbagliato doveva esserci certamente qualcosa si
sbagliato nella suddivisione sillabica che a loro veniva più spontanea. È
questo "massacro dell'intelletto" che mi infastidisce, non il fatto che si
scriva «qual è» o «qual'è».
--
Saluti.
D.
Klaram
2010-03-17 13:01:15 UTC
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Post by Davide Pioggia
Sul piano educativo si pone invece un problema diverso, che è quello di non
umilare e menomare l'intelligenza di chi apprende. Ricordo ancora con un
certo sgomento le scuole elementari dei miei tempi, quando non si pretendeva
solo una ortoprassi, ma anche una ortodossia.
In questo caso la colpa non è di "qual è", ma degli insegnanti che
impongono le regole come se fossero verità rivelate, senza spiegarne le
ragioni che esistono, eccome!

"Tutto è possibile in materia di regole ortografiche: l'ortografia non è
altro che una CONVENZIONE, e tutto sta nel mettersi d'accordo. Nel
Quattrocento l'apostrofo non esisteva ancora, e si scriveva "lanima",
"luomo", "longevo" = lo 'ngevo e così via.
Poi, nel Cinquecento venne il Bembo a mettere ordine in questa faccenda,
e sull'esempio del greco introdusse l'apostrofo a indicare l'elisione di
una vocale in fine parola fusa con la successiva comiciante con vocale.
L'innovazione apparve per la prima volta in un'edizione del Petrarca
stampata dal Manuzio nel 1501.
...
Ma in grammatica esiste anche il fenomeno del troncamento, e questo è
valso a mettere alquanta confusione nell'uso dell'apostrofo.
Il troncamento consiste nella soppressione dell'ultima vocale atona
d'una parola che si venga a trovare davanti a un'altra parola
cominciante con consonate a con la quale sia strettamente associata per
ragione di senso. E' il caso, per esempio, di "signor mio", "amor
paterno", "buon giorno", e anche di "qual donna", "tal libro". Il
tronacamento a volte riguarda addirittura l'ultima sillaba atona di una
parola: "gran cosa", "San Giovanni", "fra Ginepro". Per indicare il
troncamento non si usa l'apostrofo a differenza dell'elisione.

Fissata bene questa semplice premessa, vediamo che cosa può accadere in
pratica. Può accadere che una parola troncata come "signor", "buon",
"mar", "qual", "tal" venga a trovarsi davanti a una parola cominciante
con vocale, e allora nasce la confusione... è evidente che come nessuno
scrive signor'Angelo, mar'Adriatico, suor'Anna, così non si deve neppure
scrivere qual'è, tal'è..." ecc.
(Aldo Gabrielli)

k
Davide Pioggia
2010-03-17 15:08:33 UTC
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è evidente che come nessuno scrive signor'Angelo, mar'Adriatico, suor'Anna
Non scrivi così perché siamo poco abituati a elidere la /e/ davanti alla
/a/, tant'è che di solito diciamo e scriviamo <se altri>, non <s'altri>, e
pochissimi dicono e scrivono <se n'andarono>. Dunque se la nostra intenzione
fosse quella di dire «signore» e «mare» davanti a «Angelo» e «Adriatico» ci
verrebbe anche da lasciare la /e/. Se invece non pronunciamo la /e/ allora
abbiamo l'intenzione di dire proprio «signor» e «mar», e infatti ci viene
piuttosto spontaneo scrivere di conseguenza.

Quanto a <suor'Anna>, non vedo perché non si possa scrivere. Se uno ha
intenzione di dire «suora» davanti ad «Anna» manifesta questa sua intenzione
scrivendo <suor'Anna>, a prescindere dal fatto che ci sia anche la parola
«suor». Infatti la parola «suor» ha un suo scopo, che è quello di far
risparmiare una sillaba in casi come «suor Maria», ma se voglio dire «suora»
davanti ad «Anna» la sillaba la risparmio comunque, perché tanto la /a/
cade, come cade la /a/ in <sant'Anna>.
così non si deve neppure scrivere qual'è, tal'è..." ecc.
Nella mia percezione di parlante «qual», «bel», «suor» eccetera sono
generalmente dei monosillabi che si usano per risparmiare una sillaba.
Ora, se in me c'è l'intenzione di dire «qua-le» prima di «è» mi viene fuori
un bel <qua-l'è> che conserva i confini sillabici dei componenti. È vero che
per dire <ma-r A-driatico> sono costretto a spostare il confine sillabico,
ma quello è un "sacrificio" che compio per risolvere il conflitto fra
l'esigenza di risparmiare una sillaba e la tendenza a non far cadere la /e/
davanti alla /a/. In questo caso, però, non ho alcun conflitto di questo
genere, e posso benissimo dire e scrivere <qua-l'è> conservando il confine
sillabico. Invece per dire <qual è> sono costretto a fare lo sforzo mentale
di spezzare in due sillabe ciò che di solito concepisco come monosillabo,
oppure mi tocca proprio fermarmi dopo <qual>, prendere un caffettino e poi
pronunciare finalmente <è>.

Ma a parte tutto, se uno scrive <qual'è> sta semplicemente esprimendo la
sua intenzione di dire «quale», e dunque l'intenzione di non dire «qual»,
che è un'altra parola. Ebbene, quale sarebbe la ragione per la quale non
dovremmo dire «quale» davanti a «è»? Se tu scrivi <qual è> manifesti
liberamente la tua intenzione di dire «qual» (anche se poi voglio sentire
per benino come lo pronunci, e perché), e se un altro scrive <qual'è>
manifesta liberamente la sua intenzione di dire «qua-le».
--
Saluti.
D.
Army1987
2010-03-17 16:19:43 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
è evidente che come nessuno scrive signor'Angelo, mar'Adriatico, suor'Anna
Non scrivi così perché siamo poco abituati a elidere la /e/ davanti alla
/a/, tant'è che di solito diciamo e scriviamo <se altri>, non <s'altri>,
e pochissimi dicono e scrivono <se n'andarono>.
Io quest'ultimo sì. (Almeno per me, il fatto che le due vocali
consecutive siano entrambe non accentate facilita tantissimo la sinalefe,
e da questa all'elisione il passo è breve...)
ADPUF
2010-03-17 23:53:13 UTC
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Post by Army1987
Post by Davide Pioggia
è evidente che come nessuno scrive signor'Angelo,
mar'Adriatico, suor'Anna
Non scrivi così perché siamo poco abituati a elidere la /e/
davanti alla /a/, tant'è che di solito diciamo e scriviamo
<se altri>, non <s'altri>, e pochissimi dicono e scrivono <se
n'andarono>.
Io quest'ultimo sì. (Almeno per me, il fatto che le due vocali
consecutive siano entrambe non accentate facilita tantissimo
la sinalefe, e da questa all'elisione il passo è breve...)
Io scriverei anche "n'importa, fa niente", elidendo il "non".

Ma qui mi sparerebbero cartocci di mitraglia.
--
"Mon aversion pour le travail a été la première chose qui m'ait
fait transiger avec ma conscience."
-- Pierre Loti (Julien Viaud), Le Roman d'un enfant.
Klaram
2010-03-17 16:31:25 UTC
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Post by Davide Pioggia
è evidente che come nessuno scrive signor'Angelo, mar'Adriatico, suor'Anna
Non scrivi così perché siamo poco abituati a elidere la /e/ davanti alla
/a/, tant'è che di solito diciamo e scriviamo <se altri>, non <s'altri>, e
pochissimi dicono e scrivono <se n'andarono>. Dunque se la nostra intenzione
fosse quella di dire «signore» e «mare» davanti a «Angelo» e «Adriatico» ci
verrebbe anche da lasciare la /e/. Se invece non pronunciamo la /e/ allora
abbiamo l'intenzione di dire proprio «signor» e «mar», e infatti ci viene
piuttosto spontaneo scrivere di conseguenza.
Quanto a <suor'Anna>, non vedo perché non si possa scrivere. Se uno ha
intenzione di dire «suora» davanti ad «Anna» manifesta questa sua intenzione
scrivendo <suor'Anna>, a prescindere dal fatto che ci sia anche la parola
«suor». Infatti la parola «suor» ha un suo scopo, che è quello di far
risparmiare una sillaba in casi come «suor Maria», ma se voglio dire «suora»
davanti ad «Anna» la sillaba la risparmio comunque, perché tanto la /a/
cade, come cade la /a/ in <sant'Anna>.
Non è questione di abitudine o altro, il Gabrielli spiega che la
differenza è fra troncamento ed elisione: Sant'Anna si apostrofa perché
non esiste "Sant" tronco davanti a consonante, come "Sant Genoveffa",
allora davanti a vocale si elide. Se c'è la parola tronca si usa così
com'è.

Questa è la spiegazione "storica" per cui oggi abbiamo questa regola, e
a me sembra più giustificata di altre, tipo, ad esempio, "se stesso"
senza accento.
Poi, può anche non piacere, apparire troppo arzigogoglata, si potrebbe
anche semplificare, ad esempio, dicendo che davanti a vocale si elide
sempre, indipendentemente da altre considerazioni, e mi sembra che sia
più o meno la tua idea. Ma questa è la storia della lingua e per
prescindere da essa bisognerebbe fare una nuova riforma ortografica (ci
sarebbero anche molti altri problemi da discutere) e stabilire nuove
regole. Dopotutto, Gabrielli è ben chiaro nel dire che si tratta solo di
convenzioni, e visto che oggi la grammatica è poco o niente studiata,
figuriamoci la grammatica storica! Quindi... :-))

k
Davide Pioggia
2010-03-17 17:09:05 UTC
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Post by Klaram
Non è questione di abitudine o altro, il Gabrielli spiega che la
differenza è fra troncamento ed elisione: Sant'Anna si apostrofa perché
non esiste "Sant" tronco davanti a consonante, come "Sant Genoveffa",
allora davanti a vocale si elide. Se c'è la parola tronca si usa così
com'è.
E chi lo dice? Se c'è la parola tronca e anche quella intera decido io quale
delle due usare secondo il mio orecchio e le mie intenzioni. Ora, l'unico
problema con «qual» e «quale» è che le mie intenzioni non si manifestano in
modo inequivocabile a livello puramente fonologico, come accade ad esempio
con «bell'uomo». Dunque chi mi sente dire /kwa'lE/ può non sapere con
certezza se io stia dicendo «quale» o «qual». Tale ambiguità può essere però
risolta a livello ortografico, poiché se scrivo «qual'è» significa che io,
come parlante, uso «quale» prima di «è», come uso «bello» prima di «uomo».
Dal momento che le parole ci sono, uno le può usare.

Detto questo, al massimo la faccenda si risolverebbe al livello di
preferenza personale. Nessuno si straccerebbe le vesti sentendomi dire
«santa Anastasia», e per lo stesso motivo se scrivessi <santa Anastasia> non
verrebbe considerato un errore grave, perché starei semplicemente scrivendo
una certa cosa che si può dire. Invece con <qual'è> si scatena l'ira dei
censori, e se si scatena una ragione ci deve pur essere. Ma quale?

Ebbene, io dico che non c'è nessun mistero, perché da sempre l'educazione
serve anche a reprimere ciò che viene più spontaneo, per cui in ogni sistema
educativo ci sono disseminati questi "trabocchetti" nei quali uno deve
dimostrare di essersi "corretto". Quando uno scrive «se stesso», o sillaba
«ba-sta» o scrive «qual è» fa vedere che anche lui è stato a scuola, e ha
ricevuto quella educazione che ha estirpato da lui certe "brutte abitudini"
che hanno i bambini. Infatti se uno scrive <qual'è> chi legge lo deride, o
assume un'aria di bonaria superiorità. Chi scrive <qual'è> non è
semplicemente uno che fa una scelta diversa da altri, sulla quale magari si
può discutere, ma è uno che viene messo in condizione di doversi vergognare
per la propria "ignoranza", così come viene messo in condizione di
vergognarsi il bambino che non abbia ancora imparato a "usare il vasino".
È questa la dinamica che fa funzionare 'sta faccenda dal punto di vista
sociologico e psicologico.
--
Saluti.
D.
Army1987
2010-03-17 19:44:12 UTC
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Post by Davide Pioggia
Detto questo, al massimo la faccenda si risolverebbe al livello di
preferenza personale. Nessuno si straccerebbe le vesti sentendomi dire
«santa Anastasia», e per lo stesso motivo se scrivessi <santa Anastasia>
non verrebbe considerato un errore grave, perché starei semplicemente
scrivendo una certa cosa che si può dire. Invece con <qual'è> si scatena
l'ira dei censori, e se si scatena una ragione ci deve pur essere. Ma
quale?
E se scrivo "Quale è"?
Davide Pioggia
2010-03-17 20:09:15 UTC
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Post by Army1987
E se scrivo "Quale è"?
Se scrivi «quale è?» fai già una precisa "scelta di campo", che è comunque
incompatibile con la tesi sostenuta da chi vuole che si scriva «qual è?».
Non solo, ma se hai deciso di dire «quale» poi quando lo pronunci prima di
«è» la /e/ cade, e questa cosa di solito la si segnala scrivendo «qual'è?».
--
Saluti.
D.
Mad Prof
2010-03-18 10:54:27 UTC
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Post by Davide Pioggia
Se scrivi «quale è?» fai già una precisa "scelta di campo", che è comunque
incompatibile con la tesi sostenuta da chi vuole che si scriva «qual è?».
Dipende anche dalla frase, comunque: "qual è" nelle interrogative, ma in
altre frasi credo sia più corretto "quale è".

«...un mistero mai totalmente sondabile e circoscrivibile, quale è la
persona umana.»
--
Questa, signori miei, è porno-anarchia...
Mad Prof
2010-03-18 11:14:48 UTC
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Post by Mad Prof
Dipende anche dalla frase, comunque: "qual è" nelle interrogative, ma in
altre frasi credo sia più corretto "quale è".
«...un mistero mai totalmente sondabile e circoscrivibile, quale è la
persona umana.»
Piuttosto: diciamo che mi suona meglio. A livello di "correttezza" non
credo ci siano differenze...
--
Questa, signori miei, è porno-anarchia...
Army1987
2010-03-18 15:32:18 UTC
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Post by Mad Prof
Post by Davide Pioggia
Se scrivi «quale è?» fai già una precisa "scelta di campo", che è
comunque incompatibile con la tesi sostenuta da chi vuole che si scriva
«qual è?».
Dipende anche dalla frase, comunque: "qual è" nelle interrogative, ma in
altre frasi credo sia più corretto "quale è".
A me succede il contrario: in una relativa potrei facilmente dire "la
qual cosa", ma "qual cosa?" in un'interrogativa non lo direi mai.
ADPUF
2010-03-18 22:55:08 UTC
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Post by Army1987
Post by Mad Prof
Post by Davide Pioggia
Se scrivi «quale è?» fai già una precisa "scelta di campo",
che è comunque incompatibile con la tesi sostenuta da chi
vuole che si scriva «qual è?».
Dipende anche dalla frase, comunque: "qual è" nelle
interrogative, ma in altre frasi credo sia più corretto
"quale è".
A me succede il contrario: in una relativa potrei facilmente
dire "la qual cosa", ma "qual cosa?" in un'interrogativa non
lo direi mai.
Perché l'enfasi cade su "quale" e non su "cosa".
--
In an East African newspaper:
"A new swimming pool is rapidly taking shape since the
contractors have thrown in the bulk of their workers."
Maurizio Pistone
2010-03-17 20:56:52 UTC
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Post by Davide Pioggia
Quando uno scrive «se stesso»
ormai credo che la maggior parte delle grammatiche prescrivano "sé
stesso", sempre per il buon motivo che meno eccezioni ci sono, meglio è
Post by Davide Pioggia
o sillaba
«ba-sta» o scrive «qual è» fa vedere che anche lui è stato a scuola
e che male c'è?
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Fiorelisa
2010-03-18 09:43:05 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by Davide Pioggia
Quando uno scrive «se stesso»
ormai credo che la maggior parte delle grammatiche prescrivano "sé
stesso", sempre per il buon motivo che meno eccezioni ci sono, meglio è
Mi stupisce il fatto che "sé stesso", dopo tanti anni in cui non ci si
pensava proprio, sia stato improvvisamente riabilitato. Un'eccezione in
più o in meno che differenza può fare? Personalmente non lo trovavo così
fastidioso. Non c'erano, eventualmente, altre priorità, se proprio si
volevano eliminare eccezioni un po' campate in aria?

Io, a ogni buon conto, non credo che scriverei "sé stesso" in una tesi
di laurea, ad esempio. Forse lo scriverei in un romanzo.
Davide Pioggia
2010-03-18 11:15:31 UTC
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Personalmente non lo trovavo così fastidioso.
Non trovi fastidioso «se stesso» o «sé stesso»?
Io, a ogni buon conto, non credo che scriverei "sé stesso" in
una tesi di laurea, ad esempio. Forse lo scriverei in un romanzo.
Questo è il punto cruciale della faccenda. Ormai ci sono da tempo diversi
autorevoli grammatici i quali sostengono che «sé stesso» si può scrivere, e
secondo me si potrebbe tranquillamente aggiungere che «sé stesso» non
trova alcuna spiegazione razionale.

Nonostante ciò, ci sono alcune prestigiose case editrici che continuano ad
imporre «se stesso» nei loro criteri redazionali (cioè i correttori di bozze
vengono istruiti a correggere quando trovano «sé stesso»), e anche chi è
convinto che «sé stesso» sia più razionale di «se stesso» esita fortemente
a usarlo in certe situazioni "ufficiali", come una tesi di laurea, un
curriculum, un articolo da pubblicare su una rivista specializzata.

Da dove viene questa esitazione? Se è vero che si può scrivere in un modo
o nell'altro, di che cosa abbiamo paura?

E qui torniamo al mio discorso. Infatti sappiamo tutti benissimo che «se
stesso» è stato utilizzato per generazioni e generazioni come uno di quei
"trabocchetti" che servono a certe classi sociali per distinguersi dal
popolaccio boia, il quale si abbandona alla sua ingenua spontaneità
mostrandosi incivile e incolto.

Ce ne sono molti di questi "trabocchetti". Ad esempio un tempo i figli dei
contadini avevano rapporto con la cultura unicamente per mezzo del maestro,
e il maestro di solito li chiamava per cognome, oppure leggeva sul registro:
prima il cognome e poi il nome. Così questi poveretti si convincevano che
doveva esserci una qualche "ufficialità" nel dire prima il nome e poi il
cognome, e quando dovevano sforzarsi di esprimersi a un certo livello
(come quando c'era da mettere una firma, o da declamare le proprie
generalità) si comportavano di conseguenza. Non sapevano, poveretti,
che quella era una usanza da burocrati regi, e che nell'alta società ci si
prentava come facevano loro a casa: col nome. Così appena uno si presentava
(o si firmava) con cognome e nome subito si poteva fare un sorrisino di
bonaria sufficienza, perché in quel modo egli dimostrava di aver avuto a che
fare con la cultura solo attrarso l'appello che tutti i giorni il maestro
faceva per sapere chi era in classe.

È sempre una questione di esclusività, di riconoscimento sociale.
Non sorprende che una classe sociale usi come criterio di inclusione e
esclusione qualche cosa a cui non tutti possono accedere. Alcune classi
sociali usano il denaro, o altri oggetti preziosi, invece quando la
stratificazione è culturale bisogna usare un sistema più raffinato, che si
può ottenere costruendo appunto tutto un sistema di "trabocchetti" nei quali
tutti puntualmente cadono quando iniziano il loro percorso educativo,
dopodiché vengono addestrati ad evitarli, e quell'addestramento è proprio
l'elemento esclusivo a cui non tutti possono accedere.

Dopodiché è ovvio che questi "trabocchetti" devono andare per forza contro
ciò che è più spontaneo e naturale dal punto di vista linguistico.

Immaginiamo che un insegnante di matematica prepari un compito in classe,
e che - svolgendo i problemi per conto suo - si convinca che la soluzione di
uno di questi debba essere, che so, 2/3. Fa svolgere il compito, e quando li
porta a casa per correggerli si rende conto che una buona parte della classe
ha ottenuto come soluzione di quel problema non 2/3, ma 1/2.

Ora, supponiamo che diverse persone, svolgendo una serie di passaggi
matematici, commettano degli errori. Siccome i passaggi sono molti, è assai
improbabile che più persone commettano lo stesso errore nello stesso punto,
sicché tutti coloro che commettono degli errori di solito ottengono dei
risultati diversi fra di loro. Parafrasando l'incipit di Anna Karenina,
potremmo dire: «Tutti i calcoli fatti bene si somigliano; ogni calcolo fatto
male è invece sbagliato a modo suo».

Applicando questo principio, che potremmo chiamare il principio di Anna
Karenina, il nostro professore di matematica dovrà concludere che c'è
qualcosa che non va: o buona parte dei suoi studenti sono riusciti a
passarsi fra di loro lo stesso compito contenente gli stessi errori, oppure
è altamente probabile che nei calcoli fatti dall'insegnante ci sia un
errore, e che la soluzione esatta sia proprio 1/2, e non quel 2/3 che egli
aveva calcolato. E se poi l'insegnate fosse certo - per qualche motivo -
che gli studenti non possono aver copiato, o per lo meno che essi non
possono aver copiato tutti lo stesso compito, egli non potrebbe che
mettersi umilmente alla ricerca del proprio errore.

Ebbene, alle scuole elementari accade da tempo immemorabile qualcosa di
molto simile. Arrivano ogni anno dei bambini nuovi, e ad un certo punto
costoro devono imparare a sillabare. Se noi volessimo scrivere un trattato
scientifico sulla sillabazione e sulla articolazione dei nuclei sillabici,
dovremmo scrivere un saggio grosso così che - per altro - risulterebbe
incomprensibile alla maggior parte degli insegnanti. Per fortuna però questa
competenza può essere acquisita anche come automatismo, sicché i ragazzi,
dopo aver visto qualche esempio, cominciano ad acquisire quegli automatismi
grazie ai quali in poco tempo sono in grado di sillabare correttamente,
secondo le aspettative dell'insegnante. Anzi, non proprio secondo tali
aspettative, perché quando arriva il momento di sillabare «basta» e «costa»
la maggior parte dei bambini scrivono «bas-ta» e «cos-ta».

Se l'insegnante fosse in grado di leggere con profitto il saggio grosso
così sulla articolazione dei nuclei sillabici, si renderebbe conto che
questi bambini hanno perfettamente ragione a sillabare in quel modo.
Ma anche senza impegnare la sua mente in una tale impresa, il principio
di Anna Karenina gli impone di ammettere che molto probabilmente la
sillabazione corretta è proprio quella che viene spontanea alla maggior
parte dei ragazzi dopo che essi hanno acquisito certi automatismi.
È proprio una questione di logica, ancor prima che di studio.

Ed è qui che intervengono le considerazioni che facevo sui criteri di
esclusività sociale. Infatti - lo ripeto - la lingua è prima di tutto uno
status symbol e un segno di appartenenza e di esclusione da certi gruppi
sociali privilegiati. Se illustri letterati prima di me hanno scritto «po'»,
«se stesso», e sono andati a capo scrivendo «ba-sta», e io mi ritrovo a
scrivere una lettera a un cliente importante o a un potenziale datore di
lavoro, farò bene ad attenermi a quegli illustri precedenti. Infatti proprio
perché quei precedenti sono contrari a qualunque automatismo e a qualunque
riflessione razionale condotta in modo corretto (e - al solito - c'è un solo
modo di essere razionali), allora da tempo immemorabile tutti i bambini
cadono in quei trabocchetti, e tutti i bambini devono essere corretti a più
riprese, a volte per anni (soprattutto se hanno un buon occhio e un buon
orecchio), sicché alla fine proprio le regolette che sono massimamente
incompatibili con gli automatismi e con la ragione che li sostiene diventano
i tratti più prestigiosi di quello status symbol. Di conseguenza se io in
quella lettera scrivessi «pò», «sé stesso» e andassi a capo sillabando
«bas-ta» sul volto di chi mi legge probabilmente si stamperebbe un sorriso
di superiorità, oppure costui scriverebbe indignato ai giornali
stracciandosi le vesti e denunciando - o tempora o mores - una scuola che
produce degli adulti che ignorano le regole più elementari della ortografia.

Dal momento che queste regolette più sono assurde e più diventano importanti
ai fini di questa dinamica di riconoscimento sociale, e poiché la vanità e
l'ambizione sono fenomeni reali che pervadono tutta la vita sociale dei
branchi di primati, l'insegnante farà bene a non negare la realtà dei fatti
con i propri studenti, perché anche questo sarebbe massimamente irrazionale.
Così l'insegnante potrebbe spiegare che dal punto di vista puramente
ortografico e linguistico è del tutto assurdo scrivere «po'», «se stesso» e
andare a capo sillabando «ba-sta», ma proprio perché è assurdo
l'acquisizione di certe abitudini contrarie a qualunque automastimo
spontaneo viene utilizzato come segno di appartenza a certi ranghi sociali
percepiti come più prestigiosi. Anzi, l'insegnante potrebbe spiegare ai
ragazzi che tutto sommato se la cavano a buon mercato facendo quel piccolo
sacrificio, ché in altri contesti culturali si potrebbe imporre alle bambine
la fasciatura dei piedi, e ai bambini di non avere paura delle armi.
Così facendo l'insegnante si renderebbe utile due volte: potrebbe spiegare
agli allievi come applicare correttamente la ragione alla ortografia della
propria lingua, e allo stesso tempo li proteggerebbe socialmente, fornendo
loro una bella lezione di etologia e antropologia.

Ma proprio perché la vanità e l'ambizione pervadono tutta la vita dei
primati superiori, c'è una certa resistenza a dire: «Non abbiamo alcuna
ragione per scrivere in questo modo, ma proprio perché non abbiamo alcuna
ragione utilizziamo la capacità di comportarsi in modo difforme da ciò che
viene spontaneo come segno socialmente distintivo». Anzi, questa cosa si
tende a negarla. E la negazione è talmente forte che nell'istante in cui ci
ritrova a dover ammettere la totale irrazionalità di certi costumi si
preferisce sacrificare alcuni di questi costumi pur di puntellare quella
negazione. Così, ad esempio, da qualche anno qualche illustre grammatico
ha cominciato - bontà sua - a consentire o persino a suggerire che si scriva
«sé stesso». Questa che può sembrare una illuminata concessione è una
cosa che viene molto ultile per le suddette dinamiche etologiche. Infatti
sui testi che codificano e pretendono di spiegare le regole si può mostrare
il fondamento razionale della nuova illuminata concessione, e al tempo
stesso nella società continua ad agire la vecchia regoletta, sicché se uno
scrive una lettera a un cliente importante o a un potenziale datore di
lavoro e in quella lettera scrive «sé stesso» è facile che chi legge pensi
di avere a che fare con un ignorantone.

Se veramente si vuole fare qualcosa per il popolo oppresso dai sistemi
di inclusione ed esclusione sociale non basta dire che si può anche
scrivere «sé stesso», ma bisogna aggiungere che per molto tempo si è
scritto «se stesso» e si continua a scrivere «se stesso» perché nessuno
ha il coraggio di dire che il re è nudo.

Qualcuno pensa di cavarsela distinguendo fra norma «ortografica» e
«fonetica». Ma che cos'è l'ortografia se non il modo in cui tradizionalmente
si è cercato di analizzare la fonetica della lingua? Il fatto che le regole
della sillabazione ortografica coincidano in gran parte con quelle dedotte
dagli studi scientifici, deve forse essere considerato un caso?
Cioè, dobbiamo forse dire che le regole ortografiche sono state definite in
modo del tutto convenzionale, e che solo per caso la maggior parte di esse
coincidono con certi automatismi della lingua? Se è così, perché in passato
a qualcuno è venuta la strana idea di sillabare «a-vre-mo», benché non ci
sia nessuna parola italiana che inizia con «vre»?
--
Saluti.
D.
Mad Prof
2010-03-18 11:46:13 UTC
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Post by Davide Pioggia
dal punto di vista puramente
ortografico e linguistico è del tutto assurdo scrivere «po'»
Sincera curiosità: perché ti sembra assurdo?
--
Questa, signori miei, è porno-anarchia...
Davide Pioggia
2010-03-18 11:57:07 UTC
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Post by Mad Prof
dal punto di vista puramente ortografico e linguistico è del tutto
assurdo scrivere «po'»
Sincera curiosità: perché ti sembra assurdo?
Perché se cade la sillaba finale di una parola piana ottieni semplicemente
una parola tronca, che di solito viene scritta con l'accento. Una volta si
diceva «cittade», «virtute» eccetera, poi è caduta la sillaba finale e si è
cominciato a scrivere <città> e <virtù>, non <citta'> e <virtu'>. Così se
cade la sillaba finale di «poco» non vedo per quale motivo si debba
scrivere <po'>.

Qualcuno sostiene che siccome «poco» compare ancora nel lessico allora
i parlanti percepiscono <po'> non come una parola autonoma, ma come
«poco» privato di una sillaba.

Ma allora, se lo scopo è quello nobilissimo e democratico di tutelare la
percezione dei parlanti, come mai non si tiene conto del fatto che a molti
bambini viene spontaneo scrivere <pò>?

Non solo, ma quando gli illustri letterati del passato cominciarono a
scrivere <città> e <virtù> nel linguaggio erano ancora ben presenti
«cittate» e «virtute», ma non per questo essi sentirono il bisogno di
scrivere <citta'> e <virtu'>.

Noi infatti marchiamo con l'apostrofo un fenomeno linguistico ben diverso
dalla caduta finale di una sillaba, e quando un bambino intuisce questa
diversità sulla scorta di pochi esempi poi di solito sa benissimo quando
mettere l'accento o l'apostrofo. Solo per <po'> e poche altre parole gli
capita sistematicamente di sbagliarsi. Chissà come mai.
--
Saluti.
D.
Klaram
2010-03-18 12:58:38 UTC
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Post by Davide Pioggia
Ebbene, alle scuole elementari accade da tempo immemorabile qualcosa di
molto simile. Arrivano ogni anno dei bambini nuovi, e ad un certo punto
costoro devono imparare a sillabare. Se noi volessimo scrivere un trattato
scientifico sulla sillabazione e sulla articolazione dei nuclei sillabici,
dovremmo scrivere un saggio grosso così che - per altro - risulterebbe
incomprensibile alla maggior parte degli insegnanti. Per fortuna però questa
competenza può essere acquisita anche come automatismo, sicché i ragazzi,
dopo aver visto qualche esempio, cominciano ad acquisire quegli automatismi
grazie ai quali in poco tempo sono in grado di sillabare correttamente,
secondo le aspettative dell'insegnante. Anzi, non proprio secondo tali
aspettative, perché quando arriva il momento di sillabare «basta» e «costa»
la maggior parte dei bambini scrivono «bas-ta» e «cos-ta».
Se l'insegnante fosse in grado di leggere con profitto il saggio grosso
così sulla articolazione dei nuclei sillabici, si renderebbe conto che
questi bambini hanno perfettamente ragione a sillabare in quel modo.
Ed è qui che intervengono le considerazioni che facevo sui criteri di
esclusività sociale. Infatti - lo ripeto - la lingua è prima di tutto uno
status symbol e un segno di appartenenza e di esclusione da certi gruppi
sociali privilegiati.
Scusa Davide, ma, anche se è vero che la lingua è sempre stata anche
status symbol, mi sembra che tu stia veramente esagerando.

Comunque, se il maestro si accorgesse che hanno ragione i bambini, e
che in qualche raro caso la divisione sillabica normata è innaturale, e
se non condividesse le ragioni che hanno portato ad essa, l'unica cosa
che può fare è attivarsi per ottenere una riforma di queste regole che
sia accettata da tutti. Dopo di che si cambieranno grammatiche,
dizionari ecc. e da quel momento in poi potrà insegnare le nuove regole.

Non può e non deve coinvolgere gli alunni nel suo furore antielitario,
perché farebbe solo dei danni, anche se avesse ragione.

(Ricordo un film, mi pare fosse L'attimo fuggente, dove un professore
anticonformista coinvolge degli allievi nella sua personale ribellione,
naturalmente in campi ben diversi dalla semplice sillabazione, e
involontariamente porta uno di questi ragazzi al suicidio)

Quanto poi all' "umiliazione" di imparare regole "innaturali", che dire
della matematica? Che cosa c'è di "naturale" nella matematica che si
inizia solo dopo la scuola media proprio perché non è più "intuitiva",
ma razionale? Ma anche la matematica cosiddetta "intuitiva" è basata su
convenzioni, perché l'alunno dovrebbe sentirsi "umiliato" a studiarla?

O forse non si dovrebbe più studiare nulla per non umiliare chi non sa?
Non capisco.

k
Davide Pioggia
2010-03-18 14:43:34 UTC
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Comunque, se il maestro si accorgesse che hanno ragione i bambini, e che
in qualche raro caso la divisione sillabica normata è innaturale, e se non
condividesse le ragioni che hanno portato ad essa, l'unica cosa che può
fare è attivarsi per ottenere una riforma di queste regole che sia
accettata da tutti.
Ma mentre si attiva, che cosa deve dire ai suoi alunni?

Se tu ti convincessi definitivamente che è impossbile pronunciare ['ba.sta],
che cosa faresti?

1) Cominceresti a dire ai tuoi studenti che l'ortografia è solo una
convenzione, e che non c'entra nulla con la fonetica? E allora perché si
è faticato per secoli e secoli per mettere a punto i sistemi alfabetici?
E perché per il resto le norme della sillabazione coincidono per lo
più con la sillabazione fonetica? Sarà un caso?

2) Suggeriresti loro di cominciare, a partire dal giorno dopo, a sillabare
<bas-ta>, esponendoli così al rischio di passare per degli ignorantoni,
o di rendersi ridicoli?

3) Faresti una bella arrampicata sugli specchi alla ricerca di una parvenza
di giustificazione razionale, per non dover dire loro che chi aspira a
procurarsi un vitalizio da funzionario regio deve imparare a legare l'asino
dove vuole il padrone?
Dopo di che si cambieranno grammatiche, dizionari ecc. e
da quel momento in poi potrà insegnare le nuove regole.
E nel frattempo? E qual è esattamente il giorno e l'ora in cui potremo
considerare "ufficiale" la nuova norma?

Ci sono già dei grammatici, con tanto di pubblicazioni, secondo i quali non
è sbagliato scrivere <qual'è>. Che fai? È già arrivato il momento di
lasciare che i tuoi allievi scrivano <qual'è>, oppure è meglio "avvertirli"
per proteggerli socialmente?
Non può e non deve coinvolgere gli alunni nel suo furore antielitario,
perché farebbe solo dei danni, anche se avesse ragione.
Quale furore antielitario?

Sono giorni e giorni che vado ripetendo che ci sono delle ottime ragioni per
scrivere <qual è>, <se stesso>, <ba-sta>, <po'> eccetera, solo che queste
ragioni - che pure ci sono - non sono prettamente linguistiche. Al più si
possono considerare socio-linguistiche, o semplicemente sociali.

Se un ragazzino mi chiedesse se deve scrivere <qual è> o <qual'è> io gli
direi apertamente che scrivendo <qual'è> rischia di passare per ignorante o
di rendersi ridicolo.

Non è forse vero? Non glielo dovrei dire? E che altro dovrei dirgli, oltre a
questo? Che "è giusto" scrivere <qual è> perché eccetera eccetera?
(Ricordo un film, mi pare fosse L'attimo fuggente,
dove un professore anticonformista
Mi sembra di essere il più conformista di tutti, qua dentro.

Sei tu che stai prendendo in considerazione la possibilità di cambiare le
care vecchie norme codificate, mentre io sostengo che ci sono delle ottime
ragioni per scrivere <qual è>, <se stesso>, <ba-sta>, <po'> eccetera.
Che altro dovrei fare per mostrare la mia deferenza nei confronti delle
norme consolidate? :-)
Quanto poi all' "umiliazione" di imparare regole "innaturali"...
Io non dico che è umiliante imparare regole innaturali. Dico che è umiliante
dover accettare quelle pseudorazionalizzazioni che dovrebbero fornire una
giustificazione razionale per delle norme la cui vera giutificazione viene
negata o mascherata. È l'ortodossia ad essere umiliante, non l'ortoprassi.
Qualunque sistema democratico impone una ortoprassi: non si supera una certa
velocità per la strada, e comunque la pensi vedi di non superare quella
velocità, sennò ne paghi le conseguenze. Invece i sistemi che mirano al
controllo delle coscienze hanno bisogno anche di ortodossia: mentre fai
questa cosa devi anche convincerti che "è giusto così". È questo che è
umiliante.
--
Saluti.
D.
Army1987
2010-03-18 16:00:30 UTC
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Post by Davide Pioggia
Se tu ti convincessi definitivamente che è impossbile pronunciare
['ba.sta], che cosa faresti?
Non è impossibile (gli inglesi possono pronunciare "far star" e "farce
tar" e la differenza si sentirebbe), ma non è quello che succede in
italiano (a parte piccole differenze nei punti d'articolazione,
l'italiano "basta" fa rima con "farce tar" piuttosto che "far star").
Fiorelisa
2010-03-18 15:12:33 UTC
Permalink
Post by Klaram
Scusa Davide, ma, anche se è vero che la lingua è sempre stata anche
status symbol, mi sembra che tu stia veramente esagerando.
Comunque, se il maestro si accorgesse che hanno ragione i bambini, e
che in qualche raro caso la divisione sillabica normata è innaturale, e
se non condividesse le ragioni che hanno portato ad essa, l'unica cosa
che può fare è attivarsi per ottenere una riforma di queste regole che
sia accettata da tutti. Dopo di che si cambieranno grammatiche,
dizionari ecc. e da quel momento in poi potrà insegnare le nuove regole.
Non può e non deve coinvolgere gli alunni nel suo furore antielitario,
perché farebbe solo dei danni, anche se avesse ragione.
Ma no, non credo che il maestro dovrebbe esprimere ai suoi alunni furore
antielitario. Il maestro, secondo me, deve proporre la cosa come un
gioco: i bambini sono avvezzi ai giochi e amano giocare bene, perciò non
avrebbero alcun problema ad assimilare regole anche insensate.
Probabilmente ci sarà anche qualche bambino particolarmente curioso che
ogni tanto, al di là del fatto di giocare bene o male, esprime un
interesse e una sensibilità maggiore degli altri verso quella materia.
In quel caso basta dirgli che certe cose sono così perché tanto tempo fa
si è preferita quella strada piuttosto che un'altra, e che per buona
pace di tutti è meglio non turbare un ordine prestabilito.
Altre volte, invece, potrebbe dire che certi meccanismi della nostra
lingua non sono ancora stati compresi fino in fondo, e che richiedono
studi molto approfonditi per essere affrontati.
Fiorelisa
2010-03-18 14:58:43 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Personalmente non lo trovavo così fastidioso.
Non trovi fastidioso «se stesso» o «sé stesso»?
Mi riferivo a "se stesso", ma in verità non trovo fastidiosa nessuna
delle due forme. Però mi stupisce il fatto che qualcuno,
improvvisamente, si sia messo a difendere 'sé stesso' e a condannare 'se
stesso', quando ormai tutti ci eravamo abitutati a questa (per quanto
illogica) eccezione.
Post by Davide Pioggia
Ma proprio perché la vanità e l'ambizione pervadono tutta la vita dei
primati superiori, c'è una certa resistenza a dire: «Non abbiamo alcuna
ragione per scrivere in questo modo, ma proprio perché non abbiamo alcuna
ragione utilizziamo la capacità di comportarsi in modo difforme da ciò che
viene spontaneo come segno socialmente distintivo». Anzi, questa cosa si
tende a negarla. E la negazione è talmente forte che nell'istante in cui ci
ritrova a dover ammettere la totale irrazionalità di certi costumi si
preferisce sacrificare alcuni di questi costumi pur di puntellare quella
negazione. Così, ad esempio, da qualche anno qualche illustre grammatico
ha cominciato - bontà sua - a consentire o persino a suggerire che si scriva
«sé stesso». Questa che può sembrare una illuminata concessione è una
cosa che viene molto ultile per le suddette dinamiche etologiche. Infatti
sui testi che codificano e pretendono di spiegare le regole si può mostrare
il fondamento razionale della nuova illuminata concessione, e al tempo
stesso nella società continua ad agire la vecchia regoletta, sicché se uno
scrive una lettera a un cliente importante o a un potenziale datore di
lavoro e in quella lettera scrive «sé stesso» è facile che chi legge pensi
di avere a che fare con un ignorantone.
Allora, se ho ben capito, un giorno qualcuno, probabilmente qualche
autore di grammatiche, si sarà trovato davanti alla faccenda del "se
stesso" e alla necessità di spiegare perché si deve scrivere così e non
con l'accento. Allora si sarà reso conto che la spiegazione era del
tutto insensata, e si sarà detto: "No, mica posso scrivere una cosa del
genere; tutti quelli che leggono vedranno bene che è una spiegazione
illogica e mi rideranno dietro". Perciò lui ha scritto che, onestamente,
non c'era alcun motivo di scrivere "se stesso", che "sé stesso" era una
forma ineccepibile, e si è anche dato premura di dimostrare perché
sosteneva questo.
Tuttavia questo fatto non è bastato a tranquillizzare gli animi delle
persone, che si sentono comunque in forte imbarazzo a scrivere "sé
stesso" in circostanze formali.

Il fatto è che quando io ero piccola e la maestra mi insegnava
l'ortografia e la grammatica, a me non interessava capire il perché
delle regole. A me interessava imparare la regola e trovare il modo di
ricordarla, comprese le eccezioni alla regola. Voglio dire che io non mi
ponevo il problema che la motivazione fornita dalla maestra fosse vera o
falsa, l'importante era che mi permettesse di ricordare le cose e di
cavarmela quando dovevo scrivere.
In poche parole, badavo non tanto alla logicità o verità della regola,
quanto alla sua utilità pratica.
E' un po' come un gioco: la maestra ti dice le regole e le eccezioni per
giocare bene. Quando tu giochi bene, ricevi un bel voto e la maestra e i
genitori e i compagni ti fanno i complimenti. Quando tu giochi male, la
maestra e i genitori ti rimproverano.
La cosa che mi avrebbe deluso sarebbe stata piuttosto la 'non lealtà'
della maestra: cioè, ad esempio, se lei non mi avesse mai detto che
esistevano eccezioni alle regole, e poi mi avesse dato brutti voti
perché avevo sbagliato a scrivere.

In effetti, non mi pare che a scuola lo spirito critico sia molto
incoraggiato; conta la capacità di capire ciò che viene detto e di
ricordare. Il bravo scolaro è quello che è in grado di fare queste
semplici cose; quello che cerca di ragionare con la sua testa o di
cercare strade alternative di solito non è molto apprezzato; la maestra
finisce col rimproverarlo perché non sta attento o non obbedisce.
ADPUF
2010-03-18 22:55:58 UTC
Permalink
Post by Fiorelisa
In effetti, non mi pare che a scuola lo spirito critico sia
molto incoraggiato; conta la capacità di capire ciò che viene
detto e di ricordare. Il bravo scolaro è quello che è in grado
di fare queste semplici cose; quello che cerca di ragionare
con la sua testa o di cercare strade alternative di solito non
è molto apprezzato; la maestra finisce col rimproverarlo
perché non sta attento o non obbedisce.
Ho visto di recente un film-documentario su un premio Nobel per
la Medicina, il neuroscienziato Eric Kandel, ebreo viennese
fuggito negli USA da bambino.

Raccontava che spesso tra gli ebrei ai bambini tornati a casa da
scuola non si chiedeva "che cosa hai imparato oggi?" ma "che
domande hai fatto oggi?"

Un film consigliabile.

http://www.kandel-film.de/
http://www.imdb.com/title/tt1462017/
http://de.wikipedia.org/wiki/Auf_der_Suche_nach_dem_Gedächtnis_
_Der_Hirnforscher_Eric_Kandel
http://it.wikipedia.org/wiki/Eric_Richard_Kandel
http://en.wikipedia.org/wiki/Eric_Kandel
http://nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/2000/kandel-autobio.html
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/kandel.htm
--
"I don't claim anything in this document is accurate to within a
factor of ¶; after all, I'm just an astronomer, and we like to
set c=h=k=¶=1 . When the answer is wrong, we just redefine the
units."
-- Michael E. Ressler, LyX Documentation Team.
Army1987
2010-03-18 15:56:43 UTC
Permalink
[...] Se noi volessimo scrivere un
trattato scientifico sulla sillabazione e sulla articolazione dei nuclei
sillabici, dovremmo scrivere un saggio grosso così che - per altro -
risulterebbe incomprensibile alla maggior parte degli insegnanti.
Lemme try...

Foneticamente, le teste di sillaba possibili in italiano sono:
[niente]
[una consonante qualsiasi]
[/p/, /b/, /t/, /d/, /k/, /g/, /f/, o /v/] + [/l/ o /r/]
[una delle cose precedenti] + [/j/, /w/, /wj/ (es. "continuiamo") oppure /
jw/ (es. "aiuola")]
That's all, folks. Graficamente, vale la stessa cosa, solo che
1) "s" + consonante vanno nella stessa sillaba
2) le geminate scritte tramite di- o trigrammi vanno insieme
(foneticamente è /'kaJ.Je/, /'paL.La/ graficamente "ca-gne", "pa-glia");
"cci", "cce", "ggi", "gge", "zz" non contano come digrammi (/'kat.tSa/ ->
"cac-cia").
3) si mantengono i confini delle parole (/i.nak.kwa/ non è "i-n_ac-qua").

In altre lingue è molto più complicato, in alcune (es. giapponese) è più
semplice.
Army1987
2010-03-18 17:07:17 UTC
Permalink
Post by Army1987
Lemme try...
Foneticamente, le teste di sillaba possibili in italiano sono: [niente]
[una consonante qualsiasi]
[/p/, /b/, /t/, /d/, /k/, /g/, /f/, o /v/] + [/l/ o /r/] [una delle cose
precedenti] + [/j/, /w/, /wj/ (es. "continuiamo") oppure / jw/ (es.
"aiuola")]
That's all, folks.
"As a bonus", questo spiega anche quando usare "lo" al posto di "il" (e
cose del genere): con parole che iniziano con sequenze che non possono
stare nella stessa sillaba fonetica: lo shredding, lo srotolamento, lo
slancio, lo xylofono /lok.si.-/, lo gnomo /loJ.Jo.-/, il wronskiano
/il.vrons.-/, il tlaspi /il.tlas.-/, ecc. ecc. (Per alcuni parlanti c'è
l'eccezione "il pn-".)

/w/ conta come semivocale nelle parole italiane ma consonante in quelle
straniere: il suocero, lo swatch (un altro motivo per dire questo è che,
in italiano, la "s" è /s/ nella prima e /z/ nella seconda).


Graficamente, vale la stessa cosa, solo che 1) "s" +
Post by Army1987
consonante vanno nella stessa sillaba 2) le geminate scritte tramite di-
o trigrammi vanno insieme (foneticamente è /'kaJ.Je/, /'paL.La/
graficamente "ca-gne", "pa-glia"); "cci", "cce", "ggi", "gge", "zz" non
contano come digrammi (/'kat.tSa/ -> "cac-cia").
3) si mantengono i confini delle parole (/i.nak.kwa/ non è
"i-n_ac-qua").
In altre lingue è molto più complicato, in alcune (es. giapponese) è più
semplice.
Army1987
2010-03-18 22:02:32 UTC
Permalink
Post by Army1987
Post by Army1987
Foneticamente, le teste di sillaba possibili in italiano sono: [niente]
[una consonante qualsiasi]
[/p/, /b/, /t/, /d/, /k/, /g/, /f/, o /v/] + [/l/ o /r/] [una delle
cose precedenti] + [/j/, /w/, /wj/ (es. "continuiamo") oppure / jw/
(es. "aiuola")]
That's all, folks.
"As a bonus", questo spiega anche quando usare "lo" al posto di "il" (e
cose del genere): con parole che iniziano con sequenze che non possono
stare nella stessa sillaba fonetica: lo shredding, lo srotolamento, lo
slancio, lo xylofono /lok.si.-/, lo gnomo /loJ.Jo.-/, il wronskiano
/il.vrons.-/, il tlaspi /il.tlas.-/, ecc. ecc. (Per alcuni parlanti c'è
l'eccezione "il pn-".)
Anche "il mnemonista" (a qualcuno vengono in mente altre combinazioni di
consonante + /n/?) e "lo ione". Cacchio, è più complicato di quanto mi
aspettassi.
Epimeteo
2010-03-19 06:43:38 UTC
Permalink
Post by Army1987
Post by Army1987
"As a bonus", questo spiega anche quando usare "lo" al posto di "il" (e
cose del genere): con parole che iniziano con sequenze che non possono
stare nella stessa sillaba fonetica: lo shredding, lo srotolamento, lo
slancio, lo xylofono /lok.si.-/, lo gnomo /loJ.Jo.-/, il wronskiano
/il.vrons.-/, il tlaspi /il.tlas.-/, ecc. ecc. (Per alcuni parlanti c'è
l'eccezione "il pn-".)
(il snip o lo snip rispettoso)
Post by Army1987
Anche "il mnemonista" (a qualcuno vengono in mente altre combinazioni di
consonante + /n/?) e "lo ione". Cacchio, è più complicato di quanto mi
aspettassi.
Ogni "piccolo chimico" come me conosce il divertimento o l'imbarazzo
nell'uso della storica espressione "con gli ioni"...

Ciao.
Epimeteo
---
"...a regime permanente
la portata è costante
attraverso una sezione del condotto...
Atomi dell'idrogeno,
campi elettrici, ioni-isofoto,
radio litio-atomico
gas magnetico...
Ti sei mai chiesto quale funzione hai?

(cit. ionica, ma anche un po' corinzia)
Klaram
2010-03-19 17:36:21 UTC
Permalink
Post by Army1987
Post by Army1987
Post by Army1987
Foneticamente, le teste di sillaba possibili in italiano sono: [niente]
[una consonante qualsiasi]
[/p/, /b/, /t/, /d/, /k/, /g/, /f/, o /v/] + [/l/ o /r/] [una delle
cose precedenti] + [/j/, /w/, /wj/ (es. "continuiamo") oppure / jw/
(es. "aiuola")]
That's all, folks.
"As a bonus", questo spiega anche quando usare "lo" al posto di "il" (e
cose del genere): con parole che iniziano con sequenze che non possono
stare nella stessa sillaba fonetica: lo shredding, lo srotolamento, lo
slancio, lo xylofono /lok.si.-/, lo gnomo /loJ.Jo.-/, il wronskiano
/il.vrons.-/, il tlaspi /il.tlas.-/, ecc. ecc. (Per alcuni parlanti c'è
l'eccezione "il pn-".)
Anche "il mnemonista" (a qualcuno vengono in mente altre combinazioni di
consonante + /n/?)
Con gn- ce ne sono diverse, la Fnac non vale, pneuma con i composti,
snello, snodo, snocciolare ecc. Altri non me ne vengono in mente, nei
"dialetti" ce ne sono molti di più.

k
Army1987
2010-03-19 19:59:25 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by Army1987
Anche "il mnemonista" (a qualcuno vengono in mente altre combinazioni
di consonante + /n/?)
Con gn- ce ne sono diverse,
Intendo come pronuncia...
Post by Klaram
la Fnac non vale,
Quando (e se) hanno tradotto i Principia Discordia in italiano, erano "i
fnord" o "gli fnord"? A me suonerebbero tutti e due; secondo it.wiki è il
secondo...
Post by Klaram
pneuma con i composti,
Lì ognuno fa come gli pare, a me ad es. viene da dire "il pneumatico" al
singolare ma "gli pneumatici" al plurale...
Post by Klaram
snello, snodo, snocciolare ecc. Altri non me ne vengono in mente, nei
"dialetti" ce ne sono molti di più.
k
Epimeteo
2010-03-20 07:35:12 UTC
Permalink
Post by Army1987
Post by Klaram
la Fnac non vale,
Quando (e se) hanno tradotto i Principia Discordia in italiano, erano "i
fnord" o "gli fnord"? A me suonerebbero tutti e due; secondo it.wiki è il
secondo...
Qualunque piccolo chimico come me potrebbe citare i derivati dell'acido
ftalico (ftalati, ftaleina), per i quali "gli ftalati" sono più numerosi
"dei ftalati", mentre il gruppo "fn" sembra che si trovi solo nel corpo del
nome dell'elemento "afnio" e dei suoi composti e dunque non fa testo.
Solo su queste basi non conosceremo mai il suo articolo preferito, anche se
io tenderei ad accostare il gruppo "fn" al gruppo "pn" (così come accosterei
il gruppo "ft" al gruppo "pt" di "ptero-", ala, piuma, e di "ptialo-",
saliva) e dunque anche per esso userei gli articoli "lo" e "gli".
Riconosco però che in queste scelte, più che la razionalità, prevale
l'orecchio personale...

Ciao.
Epmeteo
---
"... perché ci vuole orecchio,
bisogna avere il pacco
immerso, intinto dentro al secchio,
bisogna averlo tutto,
anzi parecchio...
Per fare certe cose
ci vuole orecchio..."


(cit. orecchiabile)
ADPUF
2010-03-20 23:33:03 UTC
Permalink
Post by Epimeteo
Qualunque piccolo chimico come me potrebbe citare i derivati
dell'acido ftalico (ftalati, ftaleina), per i quali "gli
ftalati" sono più numerosi "dei ftalati", mentre il gruppo
"fn" sembra che si trovi solo nel corpo del nome dell'elemento
"afnio" e dei suoi composti e dunque non fa testo.
Solo su queste basi non conosceremo mai il suo articolo
preferito, anche se io tenderei ad accostare il gruppo "fn" al
gruppo "pn" (così come accosterei il gruppo "ft" al
gruppo "pt" di "ptero-", ala, piuma, e di "ptialo-", saliva) e
dunque anche per esso userei gli articoli "lo" e "gli".
Riconosco però che in queste scelte, più che la razionalità,
prevale l'orecchio personale...
(Uhm, "orecchio personale", ci sono orecchi impersonali?)

E come sillaberesti "afnio"?
E "coopto"?
Post by Epimeteo
Ciao.
Epmeteo
"Quando vedo le lettere PM tolgo la sicura alla pistola."
(cit. intercettata)
--
"I like pigs. Dogs look up to us. Cats look down on us. Pigs
treat us as equals."
-- Winston Churchill
Epimeteo
2010-03-21 06:45:30 UTC
Permalink
(snip impietoso)
Post by ADPUF
Post by Epimeteo
Riconosco però che in queste scelte, più che la razionalità,
prevale l'orecchio personale...
(Uhm, "orecchio personale", ci sono orecchi impersonali?)
Ci sono tanti tipi di orecchio, dall'orecchio acerbo all'orecchio assoluto,
dall'orecchio di Dioniso all'orecchio di Van Gogh, dall'orecchio acufenico
all'orecchio bionico.
Spesso anche i libri e i quaderni hanno le orecchie...
Post by ADPUF
E come sillaberesti "afnio"?
a-fni-o?
Post by ADPUF
E "coopto"?
co-o-pto?
Post by ADPUF
"Quando vedo le lettere PM tolgo la sicura alla pistola."
(cit. intercettata)
E tu come sillaberesti "Pluigi Psalomone Pcalibano Psallustio Psemiramide",
nome completo di Eta Beta?
http://it.wikipedia.org/wiki/Eta_Beta

Pnon lo psapremo pmai...

Pciao.
Epmeteo
---
"... perché ci vuole orecchio,
bisogna avere il pacco
immerso, intinto dentro al secchio,
bisogna averlo tutto,
anzi parecchio...
Per fare certe cose
ci vuole orecchio..."
http://youtu.be/cjRpqXa1iZQ
(cit. orecchiabile)
Army1987
2010-03-21 11:00:18 UTC
Permalink
Post by Epimeteo
(snip impietoso)
Post by ADPUF
Post by Epimeteo
Riconosco però che in queste scelte, più che la razionalità, prevale
l'orecchio personale...
(Uhm, "orecchio personale", ci sono orecchi impersonali?)
Il mio newsreader si deve essere perso un post per strada, but anyway...
Non ci sono orecchi impersonali, ma Google è una buona prima
approssimazione... (Un corpus fatto come si deve sarebbe
un'approssimazione ancora migliore.)
Post by Epimeteo
Ci sono tanti tipi di orecchio, dall'orecchio acerbo all'orecchio
assoluto, dall'orecchio di Dioniso all'orecchio di Van Gogh,
dall'orecchio acufenico all'orecchio bionico.
Spesso anche i libri e i quaderni hanno le orecchie...
eeh già...
Post by Epimeteo
Post by ADPUF
E come sillaberesti "afnio"?
a-fni-o?
af-nio
Post by Epimeteo
Post by ADPUF
E "coopto"?
co-o-pto?
Co-op-to
Post by Epimeteo
Post by ADPUF
"Quando vedo le lettere PM tolgo la sicura alla pistola." (cit.
intercettata)
E tu come sillaberesti "Pluigi Psalomone Pcalibano Psallustio
Psemiramide", nome completo di Eta Beta?
Plu-i-giP-sa-lo-mo-neP-ca-li-ba-noP-sal-lus-tioP-se-mi-ra-mi-de
Post by Epimeteo
http://it.wikipedia.org/wiki/Eta_Beta
Pnon lo psapremo pmai...
Klaram
2010-03-22 11:53:57 UTC
Permalink
Post by Army1987
Post by Epimeteo
Post by ADPUF
E come sillaberesti "afnio"?
a-fni-o?
af-nio
Anche la wiki sillaba af-nio.
Io direi a-fnio, non so perché, forse per analogia con altri gruppi
consonantici.

k
Army1987
2010-03-22 13:16:13 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by Army1987
Post by Epimeteo
Post by ADPUF
E come sillaberesti "afnio"?
a-fni-o?
af-nio
Anche la wiki sillaba af-nio.
Io direi a-fnio, non so perché, forse per analogia con altri gruppi
consonantici.
Per lo meno al mio orecchio, una differenza abbastanza significativa tra
sillabe aperte e chiuse (almeno quelle accentate) è la lunghezza della
vocale, e (almeno per me) la A di "afnio" è breve, come quella di "albo",
non lunga come quella di "apro". (Sto sempre parlando del livello
fonetico; poi vado a capo con "a-stio" anche se per me è /as.tjo/
foneticamente.)
Davide Pioggia
2010-03-22 19:43:16 UTC
Permalink
Post by Klaram
Io direi a-fnio, non so perché, forse per analogia
con altri gruppi consonantici.
Il vincolo più importante nella sillabazione è questo: avvicinandosi al
nucleo sillabico aumenta la sonorità, mentre allontanandosi diminuisce.

Prendiamo ad esempio «basta». Ovviamente i due suoni più sonori sono
le due vocali /a/. Indicando la sonorità di un suono con dei pallini,
assegniamo a questo suono quattro pallini:

b a°°°° s t a°°°°

Ci sono poi le due consonanti occlusive /b/ e /t/. Di queste la /b/ ha
certamente più sonorità, perché è una consonante sonora (corrisponde alla
sorda /p/), ma essendo entrambe occlusive in corrispondenza di queste si ha
una interruzione del flusso dell'aria, per cui esse risultano più in basso
nella scala di sonorità. Infatti non c'è nessuna lingua che usa queste
consonanti come nuclei sillabici, mentre altre consonanti (come /m/, /n/,
/r/, /l/) in alcune lingue fungono anche da nuclei sillabici (e per questo
si dicono anche sonoranti). Abbiamo dunque:

b°° a°°°° s t° a°°°°

Resta da valutare la /s/. Questa è una consonante sorda, tuttavia essa può
essere "mantenuta" come una vocale o come le altre consonanti che possono
fungere da nucleo sillabico. Per questo motivo essa è più in alto delle
occlusive nella scala della sonorità, e si ha:

b°° a°°°° s°°° t° a°°°°
(2 4 3 1 4)

Ora, come dicevo all'inizio la sillaba è fatta in modo tale che
avvicinandosi al nucleo sillabico aumenta sempre la sonorità (e, viceversa,
allontanandosi diminuisce). Quali siano qui i nuclei sillabici è chiaro,
perché essi devono essere in prossimità dei due "massimi", che sono le /a/.
Detto questo, se noi sillabassimo «ba-sta» avremmo la sillaba /sta/ con
questa struttura:

s°°° t° a°°°°
(3 1 4)

e sarebbe violato quel che dicevo sopra sulla articolazione delle sillabe
(perché il grado "1" costituisce un "buco" in mezzo a "3" e "4").

Invece se sillabiamo «bas-sta» abbiamo le due sillabe:

b°° a°°°° s°°° - t° a°°°°
(2 4 3 - 1 4)

nelle quali si arriva al nucleo sillabico aumentando progressivamente
di sonorità, e ci si allontana diminuendo progressivamente.

Passiamo ora ad «afnio», che poi sarebbe /'afnjo/. Si osservi che la /j/ è
una approssimante, e come sonorità viene subito prima delle vocali.
Abbiamo dunque la seguente situazione:

a°°°° f° n°° j°°° o°°°°
(4 1 2 3 4)

Se ora prendiamo in considerazione questi due modi di sillabare:

a°°°° f° - n°° j°°° o°°°°
(4 1 - 2 3 4)

a°°°° - f° n°° j°°° o°°°°
(4 - 1 2 3 4)

vediamo che in entrambi i casi il grado di sonorità aumenta avvicinandosi
al nucleo sillabico, per cui il suddetto vincolo non è violato, e la /f/ può
essere messa in coda alla prima sillaba o nell'attacco della seconda.
Questo significa che è possibile sillabare in entrambi i modi, e in gran
parte dipende anche dalla parlata regionale. Canepari ha mostrato - ad
esempio - che ci sono delle regioni nelle quali «aquila» viene sillabata
/'a-kwi-la/ e altre nelle quali viene sillabata /'ak-wi-la/.

Nelle regioni in cui si parla un italiano standard si tende a massimizzare
l'attacco della sillaba riducendo la coda, il che significa che c'è la
tendenza a sillabare /a-fnjo/. È anche vero, però, che nel lessico corrente
dell'italiano non esistono sillabe con un un attacco /fnj/, per cui è
probabile che anche un toscano tenderebbe a dire /af-njo/.

Come diceva "Army" per valutare questa cosa occorre fare
attenzione alla lunghezza vocalica. Infatti se la sillaba è /'af/ la /a/ è
foneticamente breve, mentre se la sillaba è la sola /'a/ essa tende ad
allungarsi. Questa cosa non la si segna a livello fonematico, perché non è
distintiva: per un italiano la /a/ è sempre "la stessa lettera", così come
la /n/ è sempre "la stessa lettera", anche quando ha la pronuncia velare in
«vengo» o quella labiodentale in «invece»; ma nonostante la /a/ sia sempre
"la stessa lettera" noi possiamo stare attenti alle differenze fonetiche, e
cercare di capire se la /a/ viene realizzata come [a] o come [a:]. Non è
facile imparare a fare questa cosa, ma con un po' di pratica ci si riesce.
--
Saluti.
D.
Klaram
2010-03-23 12:57:00 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Io direi a-fnio, non so perché, forse per analogia
con altri gruppi consonantici.
Nelle regioni in cui si parla un italiano standard si tende a massimizzare
l'attacco della sillaba riducendo la coda, il che significa che c'è la
tendenza a sillabare /a-fnjo/. È anche vero, però, che nel lessico corrente
dell'italiano non esistono sillabe con un un attacco /fnj/, per cui è
probabile che anche un toscano tenderebbe a dire /af-njo/.
Da noi, in dialetto, le parole che iniziano in fn-, per caduta di
vocale, sono comunissime: fnoj, finocchio; fné, fienare; fnéra fienile;
fnéstra, finestra ecc.

Quanto al raggruppamento di st (o s seguita da altra consonante), non
sono certo state fatte le tue (interessantissime) considerazioni fonetiche.
Lo stesso Serianni dice che questa divisione (ba-sta), stabilita per
analogia con altri digrammi, è arbitraria. E Franceschi (1973) cerca di
giustificarla con "la difficoltà per il discente di alternare una
divisione sillabica na-scita con una nas-co".

k
Davide Pioggia
2010-03-23 15:11:17 UTC
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Post by Klaram
Da noi, in dialetto, le parole che iniziano in fn-,
Lo vieni a dire a un romagnolo? :-)

Nei nostri dialetti sono cadute quasi tutte le vocali atone, e si hanno
delle sillabe "spaventose". Proprio per questo dicevo che dipende anche
dalla predisposizione che ti offre il sostrato regionale. Per me (come per
te) non è difficile dire [a:-fnjo], ma vorrei sentire bene come se la
cava un toscano.
Post by Klaram
Quanto al raggruppamento di st (o s seguita da altra consonante),
non sono certo state fatte le tue (interessantissime) considerazioni
fonetiche.
Le mie considerazioni fonetiche servono solo a spiegare un meccanismo
mentale che è del tutto spontaneo e automatico. Tutti i bambini, dopo
un po', imparano a "sillabare ad orecchio", e molti di loro affidandosi
all'orecchio scrivono <bas-ta>. Fra costoro - per altro - ci sono spesso
quelli che hanno un orecchio migliore di altri, perché chi ha poco orecchio
si abitua più facilmente a scrivere <ba-sta>.

D'altra parte tutti i bambini sanno benissimo giocare a calcio anche senza
aver studiato i moti parabolici e sanno andare in bicicletta anche senza
saper risolvere le equazioni dei moti giroscopici. Io se vuoi ti posso
spiegare in modo scientifico come fa un bambino a stare in equilibrio
sulla bicicletta, ma lui non ha bisogno delle mie equazioni per andare in
bicicletta. Io intervengo con le equazioni solo se qualche professorino
pretende di dire che per andare forte in bicletta bisogna pedalare con
un piede solo :-)
Post by Klaram
Lo stesso Serianni dice che questa divisione (ba-sta), stabilita
per analogia con altri digrammi, è arbitraria.
Ma la scrittura alfabetica, gli apostrofi, le doppie e tutto il resto sono
stati faticosamente elaborati nei secoli e nei millenni per esprimere in
modo accurato ciò che la gente dice. Altrimenti bastava fare le figurine.
Ebbene, se la gente dice [bas:-ta], e non [*ba:-sta], per rendere
ortograficamente questa cosa bisogna scrivere <bas-ta>, altrimenti scriviamo
qualcosa di diverso da ciò che viene detto. Perché allora non stabiliamo
arbitrariamente di mettere degli apostrofi anche dove non c'è elisione,
e viceversa di non metterli dove c'è?
Post by Klaram
E Franceschi (1973) cerca di giustificarla con "la difficoltà per il
discente di alternare una divisione sillabica na-scita con una nas-co".
Ah, ma se lo si fa per il bene dei discenti, perché non li si lascia
sillabare come viene loro più spontaneo? Fra l'altro la sillabazione
<na-scita> non va bene, perché in italiano standard la /S/ è autogeminante,
cioè si pronuncia /'naSSita/, e la divisione sillabica è /'naS-Si-ta/.
Ortograficamente dovremmo scrivere qualcosa come <nas-ci-ta> o <nas-sci-ta>.
Dal momento che questa cosa mi sembra un poco azzardata (fosse per me
scriverei <nas-sci-ta>, ma già mi immagino l'indignazione degli ortografi
censori), dobbiamo tranquillamente ammettere che l'ortografia dell'italiano
non consente di rendere in modo grafico la corretta sillabazione di
<nascita>.

Ora, dal momento che <na-sci-ta> non è corretto e lo si scrive così perché
non si riesce a fare meglio, tu vuoi "sacrificare" anche <nas-co>, che
invece può essere tranquillamente sillabato con i mezzi dell'ortografia
italiana?
--
Saluti.
D.
Enrico Gregorio
2010-03-23 16:06:04 UTC
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Post by Davide Pioggia
...
Ora, dal momento che <na-sci-ta> non è corretto e lo si scrive così perché
non si riesce a fare meglio, tu vuoi "sacrificare" anche <nas-co>, che
invece può essere tranquillamente sillabato con i mezzi dell'ortografia
italiana?
Resta da stabilire se la divisione di parole in fin di riga abbia
necessariamente a che fare con le sillabe (secondo una loro rigorosa
definizione linguistica) o non sia invece un insieme di regole semplici
che si rifanno in genere alle sillabe, ma senza andare in cerca del
pelo nell'uovo.

Una divisione "nas-sci-ta" andrebbe ovviamente contro la semplicità
di lettura. Analoghi problemi ci sono in altre lingue; per esempio
il tedesco risolveva l'ambiguità della divisione di "ck" con "k-k"
(la "c" è ambigua per la pronuncia), ma con la riforma ortografica
hanno cancellato questa particolarità, non so se sia un bene o un
male. In ungherese, dove ci sono parecchi trigrammi, la divisione di
"ssz" è "sz-sz": la "s" in fin di riga sarebbe letta scorrettamente.
Lo stesso vale per "lly" e altri trigrammi. Ma nota che qui la
geminazione fa parte dell'ortografia, cosa che in italiano non è.
A parte che io mi guardo bene dal pronunciare "nascita" con /SS/. :)

C'è poi da dire che l'esempio di "nasco" è a favore di "na-sco":
sarebbe ben peculiare un verbo che cambia punto di divisione a
seconda della voce verbale ("nas-co", "na-sci").

Ciao
Enrico
FatherMcKenzie
2010-03-23 16:16:18 UTC
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Post by Enrico Gregorio
A parte che io mi guardo bene dal pronunciare "nascita" con /SS/. :)
No capisco, tu pronunci nascita scempio? Potresti usare IPA?
/SS/ sarebbero due segni di integrale indefinito?
Io pronuncio raddoppiato dalla nasscita.
--
Eîpen dè ho Iesoûs, oudè egó se katakríno: poreúou, kaì
apò toû nûn mekéti hamártane (Euaggélion katà Ioánnen, 8,11)
Army1987
2010-03-23 16:09:31 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Io direi a-fnio, non so perché, forse per analogia con altri gruppi
consonantici.
Il vincolo più importante nella sillabazione è questo: avvicinandosi al
nucleo sillabico aumenta la sonorità, mentre allontanandosi diminuisce.
[snip]

In linea di massima sì, ma i "ranghi" non sono così fissi e universali.
(Come sillaberesti "popstar"? e secondo en.wiki "ghreamaigh" in gaelico
irlandese si pronuncia [ˈjɾʲamˠə]; non ho idea di come facciano, ma se è
così vuol dire che da quelle parti ɾʲ ha più sonorità di j.)
FatherMcKenzie
2010-03-23 16:19:40 UTC
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In linea di massima sì, ma i "ranghi" non sono così fissi e universali.
(Come sillaberesti "popstar"? e secondo en.wiki "ghreamaigh" in gaelico
irlandese si pronuncia [Ë�jɟʲamË É�]; non ho idea di come facciano, ma se Ú
così vuol dire che da quelle parti ɟʲ ha più sonorità di j.)
adesso sto usando l'8859-1... non è colpa mia
--
Eîpen dè ho Iesoûs, oudè egó se katakríno: poreúou, kaì
apò toû nûn mekéti hamártane (Euaggélion katà Ioánnen, 8,11)
Army1987
2010-03-17 19:43:01 UTC
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Post by Klaram
"Tutto è possibile in materia di regole ortografiche: l'ortografia non è
altro che una CONVENZIONE, e tutto sta nel mettersi d'accordo.
Sì, ma le convenzioni possono avere senso o meno. Sentendo dire
/u.ni.'djO.ta/ non posso avere idea di se si stia parlando di un uomo o
di una donna, quindi la convenzione di scriverlo in modo diverso nei due
casi, personalmente, mi pare un po' /i.'djO.ta/.
(E "un uomo" nella frase precedente l'ho scritto digitando U, N, ',
backspace, spazio, U, O, M, O, come mi capita spessissimo.)
ADPUF
2010-03-17 23:57:05 UTC
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Post by Army1987
l'ortografia non è altro che una CONVENZIONE, e tutto sta nel
mettersi d'accordo.
Sì, ma le convenzioni possono avere senso o meno. Sentendo
dire /u.ni.'djO.ta/ non posso avere idea di se si stia
parlando di un uomo o di una donna, quindi la convenzione di
scriverlo in modo diverso nei due casi, personalmente, mi pare
un po' /i.'djO.ta/. (E "un uomo" nella frase precedente l'ho
scritto digitando U, N, ', backspace, spazio, U, O, M, O, come
mi capita spessissimo.)
Ci sarebbe da chiederci come mai si instaura quell'automatismo
digitatorio che ci spinge a mettere l'apostrofo sempre.
--
"My girlfriend always laughs during sex - no matter what she's
reading."
-- Steve Jobs, Fondatore della Apple Computers
Fiorelisa
2010-03-18 09:56:50 UTC
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Post by ADPUF
Ci sarebbe da chiederci come mai si instaura quell'automatismo
digitatorio che ci spinge a mettere l'apostrofo sempre.
Io no, non ho questo automatismo digitatorio. Neanche scrivendo a mano
mi succede di inserire l'apostrofo sistematicamente. Però se sto
prendendo appunti, mi può capitare, e anche di scrivere "qual'è" mi può
succedere, più vari altri refusi come lettere invertite, sillabe
invertite, 'n' al posto di 'm' e 'm' al posto di 'n'.
Klaram
2010-03-18 13:03:21 UTC
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Post by ADPUF
Post by Army1987
l'ortografia non è altro che una CONVENZIONE, e tutto sta nel
mettersi d'accordo.
Sì, ma le convenzioni possono avere senso o meno. Sentendo
dire /u.ni.'djO.ta/ non posso avere idea di se si stia
parlando di un uomo o di una donna, quindi la convenzione di
scriverlo in modo diverso nei due casi, personalmente, mi pare
un po' /i.'djO.ta/. (E "un uomo" nella frase precedente l'ho
scritto digitando U, N, ', backspace, spazio, U, O, M, O, come
mi capita spessissimo.)
Ci sarebbe da chiederci come mai si instaura quell'automatismo
digitatorio che ci spinge a mettere l'apostrofo sempre.
Ma è ovvio, per analogia ad altri ben più numerosi casi in cui si
mette. Nei casi, molto minoritari, in cui non si mette lo si fa per
ragionamenti che Davide considerebbe elitari, perché bisogna conoscere a
fondo la lingua e la sua storia.

k
Army1987
2010-03-17 15:23:24 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Army1987
Grazie mille. Cercavo da sempre un pretesto per scrivere "qual'è" con
l'apostrofo, ma nessuno di quelli che avevo trovato era soddisfacente.
Tu ovviamente puoi fare quel che ti pare, ma io non stavo sostenendo che
si deve scrivere «qual è». Sappiamo tutti benissimo che se scriviamo una
lettera a qualcuno da cui dipende il nostro futuro (un cliente
importante, un possibile datore di lavoro, una autorità o il
rappresentante di una istituzione) e in quella lettera ci piazziamo un
«qual'è», chi ci legge molto probabilmente non si chiederà quale
profonda riflessione ortografica abbia mosso la nostra mano, ma penserà
che non siamo stati nemmeno capaci di frequentare con profitto le scuole
dell'obbligo.
E se scrivessi "quale è"? :-)
Post by Davide Pioggia
[...] Se mi avessero
detto chiaramente che non c'era alcuna ragione grammaticale e
ortografica per [...] scrivere «se stesso»
Ah, c'è chi ci crede ancora a 'sta boiata? È quasi ai livelli di "Don't
end sentences with prepositions" in inglese, a cui Churchill rispose
"This is the kind of nonsense up with which I cannot put".
Davide Pioggia
2010-03-17 17:34:27 UTC
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È quasi ai livelli di "Don't end sentences with prepositions" in
inglese...
Anche questo è un bellissimo esempio di soppressione di ciò che viene
più spontaneo.

La trasformazione delle preposizioni del complemento in posposizioni
del verbo è una delle meraviglie della lingua inglese, e per di più è stata
interamente forgiata "dal basso", dalla percezione dei parlanti che è mutata
secondo una traiettoria mirabile nel corso di diverse generazioni. Bisogna
risalire al sanscrito o al greco per trovare delle "invenzioni collettive"
altrettanto mirabili, e in passato ne ho scritto in più occasioni.

Ma proprio perché è una cosa che viene "dal basso", e sorge in modo
del tutto spontaneo, scardinando il letto di Procuste dei grammatici
anglosassoni, costoro non si danno pace, e alcuni di loro si ostinano a
tenere duro, come quei soldati giapponesi che negli anni '60 del secolo
scorso ancora venivano trovati sulle isole del Pacifico a difendere l'Impero
del Sol Levante. Anche quelli che hanno accettato questa costruzione
grammaticale come «imposta ormai dall'uso» raramente hanno capito quale
sia la logica rigorosissima e mirabile che sottende questa trasformazione.
È come se un pensionato americano arrivando alle cascate del Niagara fosse
seccato da quel dislivello perché non ci si può fare un prato per il golf.
--
Saluti.
D.
Maurizio Pistone
2010-03-17 20:56:53 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
La trasformazione delle preposizioni del complemento in posposizioni
del verbo è una delle meraviglie della lingua inglese, e per di più è stata
interamente forgiata "dal basso", dalla percezione dei parlanti che è mutata
secondo una traiettoria mirabile nel corso di diverse generazioni. Bisogna
risalire al sanscrito o al greco per trovare delle "invenzioni collettive"
altrettanto mirabili, e in passato ne ho scritto in più occasioni.
*tutta* la lingua è un'invenzione collettiva, *tutte le ligue* sono
invenzioni collettive
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Maurizio Pistone
2010-03-17 20:53:39 UTC
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Post by Davide Pioggia
Chissà quanti
bambini rispettosi e ubbidienti, dai tempi di De Amicis ad oggi, si saranno
sforzati di convincersi che il maestro doveva avere ragione, che se egli
diceva che «ba-sta» era sbagliato doveva esserci certamente qualcosa si
sbagliato nella suddivisione sillabica che a loro veniva più spontanea.
non esiste un'ortografia "giusta" o "sbagliata". L'ortografia è una
convenzione, e come tutte le convenzioni deve corrispondere a due
requisiti - che purtroppo non sempre vanno d'accordo fra di loro.

1. deve essere condivisa dalla maggior parte delle persone
2. deve rispondere a regole sufficientemente semplici e memorizzabili.

Noi, nei confronti di molte lingue straniere, abbimo regole ortografiche
che si avvicinano sufficientemente a questi due requisiti.

Che si divida ba-sta è, come dici tu, una regola scolastica comunemente
accettata, e non è molto difficile da imparare; la spiegazione è molto
semplice: "vanno insieme le consonanti che possiamo trovare all'inizio
di una parola" (naturalmente parliamo del vocabolario tipico italiano,
non di importazioni di vario genere).

Da un punto di vista linguistico, effettivamente, puoi dire che la
parola "basta" è formata da due sillabe, "bas" e "ta"; ma prima o poi
qualcuno ti chiederà che cos'è una sillaba, e non è una domanda facile.

====

La lingua è *sempre* un segno di status; è sempre stato così, in
qualunque civiltà, in qualunque fase della storia. Ma non è un buon
motivo per fare i fighetti per forza, "io degli status me ne fotto".
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
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http://blog.ilpugnonellocchio.it
Army1987
2010-03-17 21:06:27 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
Che si divida ba-sta è, come dici tu, una regola scolastica comunemente
accettata, e non è molto difficile da imparare; la spiegazione è molto
semplice: "vanno insieme le consonanti che possiamo trovare all'inizio
di una parola" (naturalmente parliamo del vocabolario tipico italiano,
non di importazioni di vario genere).
L'unica parola che inizia per "tl" sul Garzanti '87 è "tlapsi" che non è
esattamente una tipica parola italiana, quindi "atlantico" è "at-lan"? E
l'unica parola che inizia con "gl" pronunciato come laterale palatale è
"gliommero", quindi "paglia" è "pag-lia"? ;-)
Enrico Gregorio
2010-03-17 21:41:13 UTC
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Post by Army1987
Post by Maurizio Pistone
Che si divida ba-sta è, come dici tu, una regola scolastica comunemente
accettata, e non è molto difficile da imparare; la spiegazione è molto
semplice: "vanno insieme le consonanti che possiamo trovare all'inizio
di una parola" (naturalmente parliamo del vocabolario tipico italiano,
non di importazioni di vario genere).
L'unica parola che inizia per "tl" sul Garzanti '87 è "tlapsi" che non è
esattamente una tipica parola italiana, quindi "atlantico" è "at-lan"? E
l'unica parola che inizia con "gl" pronunciato come laterale palatale è
"gliommero", quindi "paglia" è "pag-lia"? ;-)
C'è forse una parola abbastanza comune che comincia (e finisce) con
"gli". ;-)

In "paglia", "gli" è un trigramma, quindi indivisibile.

Ciao
Enrico
Army1987
2010-03-17 21:59:10 UTC
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Post by Enrico Gregorio
C'è forse una parola abbastanza comune che comincia (e finisce) con
"gli". ;-)
Aaaah! (Ho capito quale solo perché ho letto un certo dialogo in GEB di
Hofstadter...)
Davide Pioggia
2010-03-18 00:13:56 UTC
Permalink
Post by Maurizio Pistone
non esiste un'ortografia "giusta" o "sbagliata".
L'ortografia è una convenzione
Scusa, ma se è una convenzione, come fanno i bambini delle elementari,
una volta compreso il sistema ortografico dell'italiano, a scrivere sotto
dettatura anche delle parole che non hanno mai visto scritte prima?
E come fanno quegli stessi bambini - una volta intuito il concetto di
sillaba - a sillabare anche delle parole che non hanno mai visto sillabate
in precedenza?

Se tu chiedi a un bambino che abbia un minimo di orecchio di sillabare
«Brunelleschi», quello subito ti spara «Bru-nel-les-chi». Come fa a tirare
fuori una cosa del genere? Come mai non si è imposta una convenzione per
la quale «Brunelleschi» deve essere sillabato «Br-unell-e-schi» e invece
«Tintoretto» deve essere sillabato «T-int-ore-tto»?

Il semaforo è convenzionale. Avremmo potuto decidere tutti assieme
di passare col rosso e fermarci col verde. Ma la ortografia è nata per
esprimere dei fatti fonologici oggettivi, sennò non ci sarebbe stato nemmeno
bisogno di inventare gli alfabeti, e avremmo potuto usare i logogrammi.

Lo ripeto: se fosse puramente convenzionale i bambini dovrebbero apprendere
l'ortografia e la sillabazione di ogni singola parola. Invece essi, dopo
aver intuito quei concetti con una decina di esempi, sono in grado di
scrivere e sillabare correttamente molte migliaia di parole, anche se non le
hanno mai viste scritte prima di allora. Questo è un fatto concreto, che non
può essere spiegato appellandosi al convenzionalismo. Ovviamente
siamo liberissimi di decidere come "disegnare" la lettera che associamo ad
un certo suono, ma una volta che avremo deciso di "disegnarla" in un certo
modo poi quella scelta dovrà essere rispettata coerentemente in tutto il
sistema, e nella coerenza interna del sistema non c'è nulla da decidere in
modo convenzionale. Sono fatti oggettivi che possono essere studiati
scientificamente, e chi fa uno studio scientifico può azzeccarci o può
sbagliare. E se sbaglia bisogna che dica di aver sbagliato, non che cominci
a pestare i piedi dicendo che tanto è tutto convenzionale. Se la divisione
<ba-sta> è convenzionale, perché non decidiamo convenzionalmente di divere
<be-llo>? Come mai non accetteremmo mai una tale "convenzione"?
Post by Maurizio Pistone
Che si divida ba-sta è, come dici tu, una regola scolastica comunemente
accettata, e non è molto difficile da imparare; la spiegazione è molto
semplice: "vanno insieme le consonanti che possiamo trovare all'inizio
di una parola" (naturalmente parliamo del vocabolario tipico italiano,
non di importazioni di vario genere).
Ma per carità.

Tu nel «vocabolario tipico italiano» trovi forse delle parole che iniziano
con <vr->? Lo Zingarelli mi dà solo «vriesia, dal n[ome] del botanico
olandese W.H. de Vries», e «vroom». Ora, a meno che tu non voglia asserire
che questi vocaboli appartengono al «vocabolario tipico italiano», io dico
che non c'è nessuna parola in questo «vocabolario tipico italiano» che
inizia con <vr->, e pertanto se mi danno da sillabare <avremo> non posso
scrivere <a-vre-mo>, ma devo andare a cercare <remo> e <molo> sul
vocabolario e poi sillabare <av-re-mo>.

Veramente una persona intelligente come te se la sente di sostenere una cosa
del genere pur di non ammettere che non c'è alcuna ragione fonologica per
sillabare <ba-sta>, e che lo facciamo solo per far vedere che anche noi
abbiamo ricevuto una certa "educazione"?

Suvvia, non ci vuole molto a dirlo. I fisici non hanno alcuna esitazione a
dire che Galielo prese una terribile cantonata quando tentò di spiegare il
meccanismo delle maree. Questo non significa che Galileo non fosse un grande
scienziato. Anzi, io ho una venerazione per Galileo, e ho letto quasi tutte
le sue opere nella sua meravigliosa prosa barocca. Ma sulla maree prese una
terribile cantonata, non c'è niente da fare. Ora io non so chi sia stato il
primo Autorevole Letterato ad andare a capo con <ba-sta>, ma chiunque sia
stato quel giorno doveva essere parecchio confuso, oppure aveva l'orecchio
di un campanaro sordo. Succede. Magari era un grande poeta, un eccelso
scrittore, però su <ba-sta> ha preso una terribile cantonata, come può dirti
benissimo qualunque bambino delle elementari.

Ora si dà il caso che noi non siamo interessati a far sapere ai nostri
interlocutori di avere un buon orecchio, ma ci interessa di più fargli
sapere che abbiamo letto gli illustri letterati del passato, e che abbiamo
ricevuto tutta intera quella educazione che estirpa da noi tante "cattive
abitudini". E siccome è questo che ci interessa, noi - seguendo il nostro
scopo - scriviamo <ba-sta>, e se il nostro scopo è quello facciamo bene a
scrivere così. Ma non mi si venga a dire che lo facciamo a seconda che sul
vocabolario si trovino o meno delle parole che iniziano in un certo modo.
Lo facciamo perché scrivendo <bas-ta> abbiamo paura che il nostro stutus
sociale non venga riconosciuto, e questa è una motivazione potentissima.
Post by Maurizio Pistone
La lingua è *sempre* un segno di status; è sempre stato così,
in qualunque civiltà, in qualunque fase della storia.
Bene. Ma allora, se è così, diciamolo. Non umiliamo il nostro intelletto e
quello dei giovani che apprendono tirando fuori la faccenda delle parole che
iniziano in un modo o nell'altro. Scriviamo <ba-sta>, <qual è> eccetera per
fare vedere che anche noi siamo stati "severamente corretti" nelle migliori
istituzioni scolastiche del regno. Diciamolo apertamente. Sarebbe una
grandiosa e insostituibile lezione di antropologia culturale.
--
Saluti.
D.
Army1987
2010-03-17 15:37:04 UTC
Permalink
[...] Infatti «loro» deriva da _illorum_, che
non è certo un dativo, [...] per cui è probabile che se lo siano
inventati
presso le corti medicee e pontificie.
Non è neanche un nominativo, quindi anche "sono stati loro!" è
un'invenzione della classe alta?
(Non sto dubitando della conclusione, ma a volte certi cambiamenti
linguistici, anche "naturali", sono molto più strani di quanto ci si
immagini. Controllare se questo "loro" come dativo sia stato usato o meno
da gente tipo Dante e Boccaccio avrebbe più senso.)
Davide Pioggia
2010-03-17 15:58:03 UTC
Permalink
Post by Army1987
Non è neanche un nominativo, quindi anche "sono stati loro!"
è un'invenzione della classe alta?
Non direi. Il pronome "loro", nelle sue molteplici varianti, si usa in quasi
tutti i dialetti italiani, per cui quasi certamente è una formazione
spontanea del latino volgare.

Ciò che mi sembra "inventato" è che anziché dire «gli do», come si dice in
quasi tutti i dialetti italiani, si debba dire «do loro». Se fosse «do a
loro» potrei anche capire (anche se continuerei a protestare per l'assenza
aritificiosa della corrispondente particella atona), ma «do loro» non so
proprio da dove possa essere saltato fuori.
--
Saluti.
D.
ADPUF
2010-03-17 23:52:50 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
Post by Army1987
Non è neanche un nominativo, quindi anche "sono stati loro!"
è un'invenzione della classe alta?
Non direi. Il pronome "loro", nelle sue molteplici varianti,
si usa in quasi tutti i dialetti italiani, per cui quasi
certamente è una formazione spontanea del latino volgare.
Ciò che mi sembra "inventato" è che anziché dire «gli do»,
come si dice in quasi tutti i dialetti italiani, si debba dire
«do loro». Se fosse «do a loro» potrei anche capire (anche se
continuerei a protestare per l'assenza aritificiosa della
corrispondente particella atona), ma «do loro» non so proprio
da dove possa essere saltato fuori.
Volendo monosillabizzare e atonizzare "loro" si potrebbe dire
lor dò
oppure
dò lor
ma talvolta il suono richiama altre cose:
lor dò la mano;
dò lor dei polli.
--
"Tutte le notizie vanno considerate con occhio politico e con
sensibilità fascista e accuratamente vagliate prima della
pubblicazione."
-- Min. Cul. Pop., 23 luglio 1932
Klaram
2010-03-17 16:56:33 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
[...] Infatti «loro» deriva da _illorum_, che
non è certo un dativo, [...] per cui è probabile che se lo siano
inventati
presso le corti medicee e pontificie.
Non è neanche un nominativo, quindi anche "sono stati loro!" è
un'invenzione della classe alta?
(Non sto dubitando della conclusione, ma a volte certi cambiamenti
linguistici, anche "naturali", sono molto più strani di quanto ci si
immagini. Controllare se questo "loro" come dativo sia stato usato o meno
da gente tipo Dante e Boccaccio avrebbe più senso.)
Un momento, "loro" deriva da illorum, e in origine significava "che
appartiene ad essi/e", come in "i loro figli". Poi è entrato in tutti i
complementi e nel soggetto, anticamente nella forma "lor". Lo troviamo
anche nei "dialetti": lor, a lor, da lor, per lor ecc.

Il complemento di termine era "a loro", con la preposizione, e così lo
scrive Manzoni nella prima stesura di Fermo del 1827, nell'edizione
successiva lo corregge in "loro" senza preposizione (e qualche volta
anche in "gli") perché era una forma antica fiorentina usata anche da
Dante (rispuos'io lui).

k
Davide Pioggia
2010-03-17 17:20:09 UTC
Permalink
Post by Klaram
Il complemento di termine era "a loro", con la preposizione, e così
lo scrive Manzoni nella prima stesura di Fermo del 1827...
E come viene più spontaneo e naturale, visto che in italiano i complementi
indiretti si costruiscono con la preposizione.
Post by Klaram
nell'edizione successiva lo corregge in "loro" senza preposizione
Ecco, appunto: si corregge. Bisogna "correggersi".
Come mai non gli viene spontaneo?
Post by Klaram
perché era una forma antica fiorentina usata anche da Dante (rispuos'io
lui).
Questo mi ricorda «settimana prossima»
All'epoca doveva essere molto cool :-)
--
Saluti.
D.
Klaram
2010-03-17 19:05:32 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Il complemento di termine era "a loro", con la preposizione, e così
lo scrive Manzoni nella prima stesura di Fermo del 1827...
E come viene più spontaneo e naturale, visto che in italiano i
complementi indiretti si costruiscono con la preposizione.
Post by Klaram
nell'edizione successiva lo corregge in "loro" senza preposizione
Ecco, appunto: si corregge. Bisogna "correggersi".
Come mai non gli viene spontaneo?
Perchè va a studiare il fiorentino letterario di Dante e company, e
quello che gli veniva spontaneo (ma che spontaneo non era, perché era
frutto di un'altra tradizione) gli sembra dialettale, non abbastanza
"italiano".

(Magari l'assenza di spontaneismo riguardasse solo la grammatica! Come
ben sai, Freud ha scritto un libro in proposito: Il disagio della civiltà)
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
perché era una forma antica fiorentina usata anche da Dante
(rispuos'io lui).
Questo mi ricorda «settimana prossima»
All'epoca doveva essere molto cool :-)
Dai, non puoi considerare Manzoni come un bauscia qualunque! :-))

k
Army1987
2010-03-17 19:30:01 UTC
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Post by Klaram
Perchè va a studiare il fiorentino letterario di Dante e company, e
quello che gli veniva spontaneo (ma che spontaneo non era, perché era
frutto di un'altra tradizione) gli sembra dialettale, non abbastanza
"italiano".
Già, qualcuno voleva che il modello per la poesia italiana dovesse essere
Petrarca perché Dante non era abbastanza monotono (IOW, scriveva in una
lingua naturale, non artificiale).
(O qualcosa del genere.)
ADPUF
2010-03-17 23:54:32 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
Il complemento di termine era "a loro", con la preposizione,
e così lo scrive Manzoni nella prima stesura di Fermo del
1827...
E come viene più spontaneo e naturale, visto che in italiano i
complementi indiretti si costruiscono con la preposizione.
Post by Klaram
nell'edizione successiva lo corregge in "loro" senza
preposizione
Ecco, appunto: si corregge. Bisogna "correggersi".
Come mai non gli viene spontaneo?
Cosa mai venne spontaneo a Manzoni?
Post by Davide Pioggia
Post by Klaram
perché era una forma antica fiorentina usata anche da Dante
(rispuos'io lui).
Questo mi ricorda «settimana prossima»
All'epoca doveva essere molto cool :-)
- Durante, ci si vede da Guido settimana prossima?
- Daccordo. Ma fammi il favore di chiamarmi Dante, chiaro?
- Che centra?
- Durante gli è nome da bracciante, Dante mi fa cuccare di più.
--
"These peace-loving animals start their life as small, furry
balls, & they grow up and with any luck will find a mate, &
have small, furry balls themselves."
-- Exam howlers as noted by Eric W. N. Smith
Klaram
2010-03-17 18:52:28 UTC
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Post by edi'®
Post by Davide Pioggia
Qualcosa del genere è accaduto in passato quando si imposto fra gli
scrittori il vezzo di non usare «gli» come pronome obliquo femminile o
plurale. In tutti i dialetti italiani si è sempre detto «gli do» (o forme
equivalenti a questa) col significato generico di «do a lui, a lei, a loro».
D'accordo per il plurale, ma non certo per il femminile singolare: se
una mia figlia dicesse "gli do" riferendosi alla sorella la correggerei
senz'altro.
"Gli" per "loro", come ho già detto, lo usa qualche volta anche
Manzoni, ma non usa mai gli per le.
Eppure "gli" per "a lei" è comune a Firenze, tanto è vero che
Policarpo Petrocchi, grande sostenitore del fiorentinismo, era propenso
ad accettarlo, contrastato però dal linguista Graziadio Ascoli (ma che
bei nomi avevano!) che si opponeva ai fiorentinisti a oltranza, perché
considerava certe espressioni fiorentine dialettismi non adatti alla
lingua che il popolo italiano avrebbe adottato dopo l'unità.

k
FatherMcKenzie
2010-03-17 19:23:19 UTC
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(Policarpo Petrocchi) contrastato però dal linguista Graziadio Ascoli
(ma che bei
nomi avevano!)
Una tradizione che si rinnova nei democristiani: i principali esponenti
storici, tranne qualche Giulio e Aldo, raramente hanno avuto nomi banali:
Alcide Degasperi
Attilio Piccioni
Amintore Fanfani
Ciriaco De Mita
Benigno Zaccagnini
Fermo (Mino) Martinazzoli
Benamino Andreatta
Flaminio Piccoli
Paolo Emilio Taviani
Arnaldo Forlani
Mariano Rumor
Oscar Luigi Scalfaro
Clemente Mastella
Pierfi Casini
--
Eîpen dè ho Iesoûs, oudè egó se katakríno: poreúou, kaì
apò toû nûn mekéti hamártane (Euaggélion katà Ioánnen, 8,11)
ADPUF
2010-03-17 23:56:11 UTC
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(Policarpo Petrocchi) contrastato però dal linguista
Graziadio Ascoli
(ma che bei nomi avevano!)
Una tradizione che si rinnova nei democristiani: i principali
esponenti storici, tranne qualche Giulio e Aldo, raramente
Alcide Degasperi
Attilio Piccioni
Amintore Fanfani
Ciriaco De Mita
Benigno Zaccagnini
Fermo (Mino) Martinazzoli
Benamino Andreatta
Flaminio Piccoli
Paolo Emilio Taviani
Arnaldo Forlani
Mariano Rumor
Oscar Luigi Scalfaro
Clemente Mastella
Pierfi Casini
Calogero Mannino
Clemente Mastella
Severino Citaristi
...

E non dimentichiamo Palmiro Togliatti & Nilde Iotti...
--
In a Yugoslav hotel:
"The flattenning of underwear with pleasure is the job of the
chambermaid."
Klaram
2010-03-18 11:54:10 UTC
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Post by ADPUF
E non dimentichiamo Palmiro Togliatti & Nilde Iotti...
Leonilde detta Nilde.

k
Maurizio Pistone
2010-03-18 11:56:07 UTC
Permalink
Post by ADPUF
Post by FatherMcKenzie
Amintore Fanfani
Calogero Mannino
...
E non dimentichiamo Palmiro Togliatti & Nilde Iotti...
Idea Nuova Socialista Beneduce in Cuccia.

=====

Una vicenda a parte sono i nomi storpiati dall'impiegato dell'anagrafe.

Il caso più clamoroso è avvenuto fuori d'Italia, dove una madre scelse
per la figlia il nome armonioso di Con Dolcezza...
--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it http://www.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it
http://blog.ilpugnonellocchio.it
Klaram
2010-03-18 14:39:39 UTC
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Post by Maurizio Pistone
Post by ADPUF
Post by FatherMcKenzie
Amintore Fanfani
Calogero Mannino
...
E non dimentichiamo Palmiro Togliatti & Nilde Iotti...
Idea Nuova Socialista Beneduce in Cuccia.
Terribile. Anche per quel che significa. :-))

k
Epimeteo
2010-03-18 06:21:23 UTC
Permalink
"FatherMcKenzie" <***@MENOinfinito.it> ha scritto nel messaggio news:hnra77$pfc$***@tdi.cu.mi.it...
-----------------
Post by FatherMcKenzie
Una tradizione che si rinnova nei democristiani: i principali esponenti
storici, tranne qualche Giulio e Aldo, raramente hanno avuto nomi banali:
Alcide Degasperi
Attilio Piccioni
Amintore Fanfani
Ciriaco De Mita
Benigno Zaccagnini
Fermo (Mino) Martinazzoli
Benamino Andreatta
Flaminio Piccoli
Paolo Emilio Taviani
Arnaldo Forlani
Mariano Rumor
Oscar Luigi Scalfaro
Clemente Mastella
Post by FatherMcKenzie
Pierfi Casini
------------------

...e alla fine "Giuseppe Pizza"...
http://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia_Cristiana_(attuale)

Che squallore!

Per fortuna oggi ci sono tante Democrazie Cristiane...

Epi
---
"... sarebbe bello fare festa tutti insieme...
E non si può perché,
e non si può perché...
fanno festa i musulmani il venerdì
e il sabato gli ebrei,
la domenica i cristiani
e i barbieri il lunedì..."

(cit. festosa)
Army1987
2010-03-17 19:32:41 UTC
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Post by Klaram
"Gli" per "loro", come ho già detto, lo usa qualche volta anche
Manzoni, ma non usa mai gli per le.
Eppure "gli" per "a lei" è comune a Firenze, tanto è vero che
Policarpo Petrocchi, grande sostenitore del fiorentinismo, era propenso
ad accettarlo, contrastato però dal linguista Graziadio Ascoli (ma che
bei nomi avevano!) che si opponeva ai fiorentinisti a oltranza, perché
considerava certe espressioni fiorentine dialettismi non adatti alla
lingua che il popolo italiano avrebbe adottato dopo l'unità.
"Gli" al posto di "le" lo sento usare anche al di fuori della Toscana.
*shrug*
ADPUF
2010-03-17 23:56:21 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by edi'®
Post by Davide Pioggia
Qualcosa del genere è accaduto in passato quando si imposto
fra gli scrittori il vezzo di non usare «gli» come pronome
obliquo femminile o plurale. In tutti i dialetti italiani si
è sempre detto «gli do» (o forme equivalenti a questa) col
significato generico di «do a lui, a lei, a loro».
D'accordo per il plurale, ma non certo per il femminile
singolare: se una mia figlia dicesse "gli do" riferendosi
alla sorella la correggerei senz'altro.
"Gli" per "loro", come ho già detto, lo usa qualche volta
anche Manzoni, ma non usa mai gli per le.
Eppure "gli" per "a lei" è comune a Firenze, tanto è vero
che Policarpo Petrocchi, grande sostenitore del
fiorentinismo, era propenso ad accettarlo, contrastato però
dal linguista Graziadio Ascoli (ma che bei nomi avevano!)
che si opponeva ai fiorentinisti a oltranza, perché
considerava certe espressioni fiorentine dialettismi non
adatti alla lingua che il popolo italiano avrebbe adottato
dopo l'unità.
Purtroppo Graziadio Isaia Ascoli (goriziano) ha perso e Manzoni
(oriundo) ha vinto.
--
"L'ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo
fa."
-- Cesare Pavese, La luna e i falò.
Klaram
2010-03-15 11:51:21 UTC
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Post by Davide Pioggia
Post by Mad Prof
Un caso simile è "un tipo in gamba" -> "un tipo in gambissima": la
logica è esattamente quella di cui parli tu, ma ammetto che fatico a
considerarlo corretto...
Se ci sono molti parlanti che dicono «in gambissima» si vede che qualcuno ha
cominciato a percepire quella espressione come se fosse [in gamb-][-issima]
e altri parlanti hanno accolto favorevolmente questa analisi, facendola
propria.
Ci sono superlativi di locuzioni avverbiali a cui siamo ormai
abituati, come "fra pochissimo", altri che suonano forzati, come appunto
"in gambissima" o "d'accordissimo" che però stanno diventando sempre più
comuni, altri ancora che non si possono asssolutamente fare con -issimo.

A tutto ci si abitua, ma, sebbene "d'accordissimo" l'abbia detto
anch'io, trovo più elegante nelle locuzioni usare degli aggettivi come
"pienamente d'accordo", o " è molto in gamba" o "sempre in gamba!" ecc.

Una piccola curiosità: ricordo che mio nonno diceva spesso "sempre in
gamba!" come saluto, ma mia nonna e la altre madame attempate non
avrebbero mai usato quell'espressione, al massimo avrebbero detto "stia
bene!", anche in dialetto.
Post by Davide Pioggia
A volte è difficile sottrarsi alla tentazione di arroccarsi su posizioni
conservatrici. Io, ad esempio, provo una forte avversione per «piuttosto
che» usato nella sua accezione disgiuntiva,
Anch'io.
Post by Davide Pioggia
Il pericolo maggiore, secondo me, è che le nostre personali
idiosincrasie ci
precludano l'intelligenza delle cose. Mi chiedo spesso, ad esempio, se
l'anonimo grammatico che ha redatto l'_Appendix probi_ si fosse reso conto
che «speclum, masclus, veclus, viclus» erano degli "errori" che si potevano
ricavare in modo sistematico dalle forme "corrette" «speculum, masculum,
vetulus, vitulus». Se se n'era accorto e, pur avendo capito benissimo cosa
stava accadendo, aveva deciso comunque di stare dalla parte di coloro che
tentavano di respingere quella tendenza, allora buon per lui; in fondo non
si può mai sapere a priori quali tendenze finiranno per imporsi e quali
invece verranno respinte, e finché la partita non è chiusa uno è liberissimo
di decidere su quale piatto della bilancia posare i suoi dieci centesimi.
Ma, come dicevo, ciò che mi preoccupa maggiormente è la possibilità
- tutt'altro che remota - che egli fosse talmente preso dal suo ruolo di
guardiano del dover essere da non essere più capace di vedere l'essere.
Così quando accade qualcosa che non mi piace per prima cosa cerco
di capire quali sono le ragioni (e ci sono sempre delle ragioni) per le
quali sta accadendo, e se poi continua a non piacermi eventualmente vedo
cosa posso fare per mettermi di traverso. Ma solo dopo averlo capito per
benino.
Ci sono trasformazioni che rispondono alle "leggi" fonetiche di quella
tal parlata, come gli esempi che hai fatto, e ci invece sono errori
madornali come, che so, "giù di corda", "la bellezza dell'asino",
"parlare francese come una vacca spagnola", o il "però", il "piuttosto
che", per non parlare di certi toponimi ecc.
Eppure anche questi ultimi si sono imposti.
L'uso ha sempre vinto. Figuriamoci oggi che abbiamo armi, come la
scuola, i giornali, la televisione, completamente spuntate!

Quello che (apparentemente) è strano è che la "lingua", che è
codificata, insegnata nelle scuole (una volta), di cui si sa vita, morte
e miracoli, cambi molto più dei "dialetti" che non hanno nessuna
codificazione e spesso nemmeno uno scritto.

k
edevils
2010-03-15 12:08:01 UTC
Permalink
On 15 Mar, 12:51, Klaram <***@libero.it> wrote:

[...]
Post by Klaram
A tutto ci si abitua, ma, sebbene "d'accordissimo" l'abbia detto
anch'io, trovo pi elegante nelle locuzioni usare degli aggettivi come
"pienamente d'accordo", o " molto in gamba" o "sempre in gamba!" ecc.
Mi paiono casi diversi, perché è diversa la comune percezione delle
due locuzioni. La seconda, "in gamba", è percepita più come somma di
parti (preposizione più sostantivo), dunque è più appariscente la
superlativizzazione del sostantivo. La prima, "d'accordo", è viceversa
percepita più che altro come locuzione avverbiale, mentre è
affievolita la percezione dei suoi componenti in quanto tali
(preposizione più sostantivo), dunque la superlativizzazione suona
meno come una forzatura enfatica.
IMHO.
Army1987
2010-03-15 15:57:28 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
A volte è difficile sottrarsi alla tentazione di arroccarsi su posizioni
conservatrici. Io, ad esempio, provo una forte avversione per «piuttosto
che» usato nella sua accezione disgiuntiva, anche perché lo strato
sociale che lo sta imponendo mi sta tutt'altro che simpatico.
Che strato sociale?
Non piace per niente neanche a me, ma l'ho sentito dire anche da un
professore universitario che viene da Roma...
(Normalmente, in questi casi, quello che penso è "Chi se ne frega! Io
continuerò a non usarlo, poi ognuno faccia come gli pare", ma se io
dicessi "piuttosto che" nel senso di "invece di", "preferibilmente a" e
qualcuno capisse "oppure" non sarebbe una buona cosa...)
Post by Davide Pioggia
[...] e finché la partita non è chiusa uno è liberissimo di decidere
su quale piatto della bilancia posare i suoi dieci centesimi.
Non erano "just my two cents"? Ah, l'inflazione...
Army1987
2010-03-15 14:30:39 UTC
Permalink
Post by Mad Prof
Post by Davide Pioggia
Il fatto che ortograficamente ci sia l'apostrofo è solo una
convenzione. Se avessimo deciso di scrivere «*daccordo» ora sui
vocabolari ci sarebbe la parola «*daccordo», come c'è «davanti», e
«*daccordo» non sarebbe un sostantivo. Su quale sia esattamente la
categoria grammaticale di questa espressione si potrebbe discutere a
lungo, ma se uno dice semplicemente «d'accordo!» è come se dicesse
«bene!», o «sì!»; e tenuto conto che è pure indeclinabile direi che la
si può considerare un avverbio (o una locuzione avverbiale, ma questo
concettualmente conta assai poco).
Un caso simile è "un tipo in gamba" -> "un tipo in gambissima": la
logica è esattamente quella di cui parli tu, ma ammetto che fatico a
considerarlo corretto...
Beh, però il fatto che mantiene il femminile mi fa pensare che comunque
viene percepito come preposiz.+sostantivo. Mi pare di aver sentito "-
issimo" con una locuzione avverbiale un po' più "fossilizzata" in cui il
sostantivo non era maschile singolare (anche se non ricordo quale; potrei
starmi sbagliando).
(Se aggiungiamo che non mi è mai capitato di sentire qualcuno avere dubbi
fra scrivere "in gamba" come una o due parole...)
Harold Demura
2010-03-13 20:41:05 UTC
Permalink
Post by Klaram
Post by Massimo
Se ho conformità di opinioni dico "sono d'accordo" o anche "sono
molto, moltissimo d'accordo". È giusto dire invece "sono
d'accordissimo"?
(In questo Gruppo ho trovato "320 risultati per d' accordissimo")
Si può fare il superlativo di un sostantivo? In teoria NO, in pratica si
fa e ci sono anche esempi antichi e di autori classici.
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima, padronissimo,
direttissima e anche... d'accordissimo
e, soprattutto, di recente, "direttorissimo"...
Post by Klaram
, ormai sono entrati nel linguaggio comune.
L'importante sarebbe non abusarne. :-))
k
Harold Demura
2010-03-13 20:42:58 UTC
Permalink
Post by Harold Demura
Post by Klaram
Post by Massimo
Se ho conformità di opinioni dico "sono d'accordo" o anche "sono
molto, moltissimo d'accordo". È giusto dire invece "sono
d'accordissimo"?
(In questo Gruppo ho trovato "320 risultati per d' accordissimo")
Si può fare il superlativo di un sostantivo? In teoria NO, in pratica si
fa e ci sono anche esempi antichi e di autori classici.
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima, padronissimo,
direttissima e anche... d'accordissimo
e, soprattutto, di recente
anzi, di recentissimo
Post by Harold Demura
, "direttorissimo"...
Post by Klaram
, ormai sono entrati nel linguaggio comune.
L'importante sarebbe non abusarne. :-))
k
FatherMcKenzie
2010-03-13 22:41:32 UTC
Permalink
Post by Harold Demura
Post by Klaram
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima, padronissimo,
direttissima e anche... d'accordissimo
e, soprattutto, di recente, "direttorissimo"...
....dal campionissimo (Coppi) al governissimo, non è certo una novità.
Ricordo anche Canzonissima, i filmissimi, Paperissima, partitissima, il
presidentissimo, l'amarissimo (che fa benissimo, "amarissimo" era usato
come sostantivo in questa frase), et cetriola.
--
Eîpen dè ho Iesoûs, oudè egó se katakríno: poreúou, kaì
apò toû nûn mekéti hamártane (Euaggélion katà Ioánnen, 8,11)
Epimeteo
2010-03-14 06:34:25 UTC
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Post by FatherMcKenzie
Post by Harold Demura
Post by Klaram
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima,
padronissimo,
direttissima e anche... d'accordissimo
e, soprattutto, di recente, "direttorissimo"...
....dal campionissimo (Coppi) al governissimo, non è certo una novità.
Ricordo anche Canzonissima, i filmissimi, Paperissima, partitissima, il
presidentissimo, l'amarissimo (che fa benissimo, "amarissimo" era usato
come sostantivo in questa frase), et cetriola.
In aggiunta alle osservazioni del Reverendissimo, mi permetto di ricordare,
a chi fosse "nato" solo adesso, che delle "torsioni" del superlativo
assoluto (applicato tra l'altro, oltre che ai sostantivi, anche ai nomi
propri e addirittura ad altri superlativi assoluti) si è parlato non più di
un anno fa.
Un ripassino potrebbe essere, oltre che utilissimo, un ottimissimo
passatempo:
http://tinyurl.com/yhwyp7x

Salutissimi.
Epimeteo
---
"... quando ambiziosa come nessuna
mi specchiavo nella luna
e lo obbligavo a dirmi sempre:
'Sei bellissima,
sei bellissima...'
Accecato d'amore
mi stava a guardare..."

(cit. urlatissima)
ADPUF
2010-03-14 23:32:03 UTC
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Post by Epimeteo
Post by FatherMcKenzie
Post by Harold Demura
Post by Klaram
Da augurissimi, occasionissima, affarissimo, a finalissima,
padronissimo,
direttissima e anche... d'accordissimo
e, soprattutto, di recente, "direttorissimo"...
....dal campionissimo (Coppi) al governissimo, non è certo una
novità. Ricordo anche Canzonissima, i filmissimi, Paperissima,
partitissima, il presidentissimo, l'amarissimo (che fa
benissimo, "amarissimo" era usato come sostantivo in questa
frase), et cetriola.
In aggiunta alle osservazioni del Reverendissimo, mi permetto
di ricordare, a chi fosse "nato" solo adesso, che delle
"torsioni" del superlativo assoluto (applicato tra l'altro,
oltre che ai sostantivi, anche ai nomi propri e addirittura ad
altri superlativi assoluti) si è parlato non più di un anno
fa. Un ripassino potrebbe essere, oltre che utilissimo, un
http://tinyurl.com/yhwyp7x
Applichiamolissimo anche ai verbi.
--
"It is practically impossible to teach good programming to
students that have had a prior exposure to BASIC: as potential
programmers they are mentally mutilated beyond hope of
regeneration."
-- Edsger Dijkstra
Epimeteo
2010-03-15 06:44:23 UTC
Permalink
(snip spietato)
Post by ADPUF
Post by Epimeteo
Un ripassino potrebbe essere, oltre che utilissimo, un
http://tinyurl.com/yhwyp7x
Applichiamolissimo anche ai verbi.
Eh, no, non puoi barare in questo modo, distorcendo i verbi e ampliandoli
fino a provocarne la rottura!
Tutt'al più, invece di ingrandire un verbo superlativizzandolo, lo puoi
massimizzare e ottimizzare (in casi particolari puoi anche estremizzarlo),
ma io sono assolutissimamente contrarissimo a queste operazioni e ti
consiglierei, nella maggior parte dei casi, di minimizzare o, meglio ancora,
di sopire, troncare, anche se l'ideale sarebbe micronizzare i verbi.

Ciao.
Epimeteo
---
"...pianissimo, devo dirlo pianissimo
questo piccolo ciao,
mi dispiace doverti dire solo ciao,
mentre in mezzo alla gente
vorrei gridare fortissimo,
che ti amo fortissimo..."

(cit. minimaximalista)
ADPUF
2010-03-15 23:46:19 UTC
Permalink
Post by Epimeteo
(snip spietato)
Post by ADPUF
Post by Epimeteo
Un ripassino potrebbe essere, oltre che utilissimo, un
http://tinyurl.com/yhwyp7x
Applichiamolissimo anche ai verbi.
Eh, no, non puoi barare in questo modo, distorcendo i verbi e
ampliandoli fino a provocarne la rottura!
Tutt'al più, invece di ingrandire un verbo
superlativizzandolo, lo puoi massimizzare e ottimizzare (in
casi particolari puoi anche estremizzarlo), ma io sono
assolutissimamente contrarissimo a queste operazioni e ti
consiglierei, nella maggior parte dei casi, di minimizzare o,
meglio ancora, di sopire, troncare, anche se l'ideale sarebbe
micronizzare i verbi.
E allora come si fa per "superlativissimizzare" i verbi?
Post by Epimeteo
"...pianissimo, devo dirlo pianissimo
questo piccolo ciao,
mi dispiace doverti dire solo ciao,
mentre in mezzo alla gente
vorrei gridare fortissimo,
che ti amo fortissimo..."
http://youtu.be/dfLQ1BIvR3Q
(cit. minimaximalista)
Minimax è una strategia nella teoria dei giochi.

Minivip è un celebre personaggio cinematografico, il buonissimo
contrapposto alla kattivissima Happy Betty (che io ho sempre
sentito come Hetty Betty).
--
"Nature, to be commanded, must be obeyed."
-- Francis Bacon (1561-1626)
Epimeteo
2010-03-13 18:27:20 UTC
Permalink
Post by Massimo
Se ho conformità di opinioni dico "sono d'accordo" o anche "sono
molto, moltissimo d'accordo". È giusto dire invece "sono
d'accordissimo"?
Assolutissimamente no, ma lo dicono tuttissimi, anche se fino a poco fa,
prima di Karla, su questo argomento non si era espresso nessunissimo...
Post by Massimo
(In questo Gruppo ho trovato "320 risultati per d'accordissimo")
Ehm... scusami, non posso commentare perché vado di frettissima.

Ciao.
Epimeteo
---
"- (Lei) ...vieni almeno per un po',
non ho sonno, non mi sveglierai,
di' quello che vuoi, però
stasera non dirmi di no...
- (Lui) D'accordo, dottore.
Se è proprio necessario, vengo...
- (Lei) Adesso chiudo, non vorrei
fare insospettire lei..."

(cit. d'amore e d'accordo)
Continua a leggere su narkive:
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