yunan, the Red Comet
2006-02-03 10:20:32 UTC
Libertà e rispetto
La Stampa, 3 febbraio 2006
Riesce difficile capire cosa si proponessero quanti hanno disegnato e
pubblicato vignette irriguardose verso l'islam e i sentimenti religiosi di
milioni di uomini e donne in tutto il mondo: far sorridere? Ma come si può
sorridere nel ferire un proprio simile in quanto ha di più caro? Esportare
la libertà di stampa? Ma è come pretendere di esportare la democrazia con le
bombe. Oggi sembra che molti in occidente abbiano perso il senso del limite,
soprattutto nell'ambito delle convinzioni etiche e religiose: affrancati dal
regime di cristianità e relegata la religiosità a supplemento di valori da
usarsi solo quando necessario, si ritiene che libertà significhi irridere
quanti sono ancora saldamente legati a determinati principi.
Ma libertà si coniuga con rispetto per l'altro, conoscenza di ciò che
lo turba e lo ferisce, sforzo di comprensione delle sue opinioni e
convinzioni. Da qualche tempo, nei confronti delle religioni, ma soprattutto
del cristianesimo e dell'islam, pare che tutto questo possa essere
bellamente ignorato, salvo poi stupirsi sdegnati se l'opinione pubblica
musulmana reagisce offesa. Certo, anche nelle reazioni vi sono limiti che
son stati varcati: non possiamo accomunare lo sdegno espresso sulle prime
pagine di tutti i principali quotidiani di lingua araba dell'intero
Mediterraneo e l'assalto alla rappresentanza UE a Gaza da parte di un gruppo
di attivisti islamici, o le minacce di morte per gli autori. Resta però
l'amarezza di dover misurare ancora una volta la "non contemporaneità" delle
nostre civiltà, uno sfasamento di tempo che ci fa dimenticare come, fino a
non molti anni fa, reazioni simili potevamo trovarle anche nella nostra
emancipata Europa: quadri di valori unanimemente condivisi sono andati
scomparendo nel nostro occidente, ma ci comportiamo come se questo fosse
vero ovunque, senza renderci conto che il sentimento religioso di interi
popoli è cosa diversa dalla larghezza di vedute di qualche intellettuale
islamico ormai a proprio agio in una cultura laica. In altre epoche storiche
la contrapposizione in campo religioso era talmente acuta che l'iconografia
cristiana era arrivata a raffigurare il Profeta come un eretico relegato
all'inferno: oggi non si tratta di negare questi episodi storici e di
cancellarne le testimonianze artistiche, ma di capirli all'interno di una
precisa stagione e di rigettarli come metodi non più ammissibili nel dialogo
tra religioni.
Non dobbiamo alimentare nei musulmani la convinzione che l'occidente
non rispetti gli elementi fondamentali della loro religione. Un conto è la
rilettura, anche critica, dei rispettivi mondi di pensiero, altro è
l'irrisione di ciò che è oggetto di fede e di intima convinzione; un conto è
denunciare, come io stesso ho fatto più volte, l'arroganza di certe
posizioni religiose, altro è il beffarsi della fierezza dei credenti. Ogni
essere umano ha diritto al rispetto dei propri principi etici e religiosi,
delle proprie tradizioni, delle figure fondanti il suo credo e dovrebbe
essere proprio lo stato laico e le sue strutture non solo giuridiche ma
anche culturali - come i mass media - a difendere e diffondere questo
rispetto. Con la consueta pacatezza che lo contraddistingue, il rettore
della grande moschea di Parigi, ha condannato quelle vignette come "un
errore e una diffamazione: il Profeta non ha fondato una religione
terrorista, ma al contrario una religione di pace. Noi teniamo a questa
immagine e non accettiamo che sia deformata". Ecco, irridere, deformare,
deturpare l'immagine che un nostro simile ha del suo credo religioso
significa far regnare la barbarie e non la civiltà nei rapporti sociali:
quale progresso sul cammino della convivenza civile e delle conquiste
dell'umanità possono mai rappresentare vignette come quelle pubblicate in
questi giorni? Sì, a volte vi è chi in occidente pare riempirsi la bocca con
la parola "libertà", utilizzandola per dar sfogo ai propri istinti più
dissacratori e, in ultima analisi, al malcelato desiderio di sentirsi
superiore disprezzando gli altri.
Enzo Bianchi
La Stampa, 3 febbraio 2006
Riesce difficile capire cosa si proponessero quanti hanno disegnato e
pubblicato vignette irriguardose verso l'islam e i sentimenti religiosi di
milioni di uomini e donne in tutto il mondo: far sorridere? Ma come si può
sorridere nel ferire un proprio simile in quanto ha di più caro? Esportare
la libertà di stampa? Ma è come pretendere di esportare la democrazia con le
bombe. Oggi sembra che molti in occidente abbiano perso il senso del limite,
soprattutto nell'ambito delle convinzioni etiche e religiose: affrancati dal
regime di cristianità e relegata la religiosità a supplemento di valori da
usarsi solo quando necessario, si ritiene che libertà significhi irridere
quanti sono ancora saldamente legati a determinati principi.
Ma libertà si coniuga con rispetto per l'altro, conoscenza di ciò che
lo turba e lo ferisce, sforzo di comprensione delle sue opinioni e
convinzioni. Da qualche tempo, nei confronti delle religioni, ma soprattutto
del cristianesimo e dell'islam, pare che tutto questo possa essere
bellamente ignorato, salvo poi stupirsi sdegnati se l'opinione pubblica
musulmana reagisce offesa. Certo, anche nelle reazioni vi sono limiti che
son stati varcati: non possiamo accomunare lo sdegno espresso sulle prime
pagine di tutti i principali quotidiani di lingua araba dell'intero
Mediterraneo e l'assalto alla rappresentanza UE a Gaza da parte di un gruppo
di attivisti islamici, o le minacce di morte per gli autori. Resta però
l'amarezza di dover misurare ancora una volta la "non contemporaneità" delle
nostre civiltà, uno sfasamento di tempo che ci fa dimenticare come, fino a
non molti anni fa, reazioni simili potevamo trovarle anche nella nostra
emancipata Europa: quadri di valori unanimemente condivisi sono andati
scomparendo nel nostro occidente, ma ci comportiamo come se questo fosse
vero ovunque, senza renderci conto che il sentimento religioso di interi
popoli è cosa diversa dalla larghezza di vedute di qualche intellettuale
islamico ormai a proprio agio in una cultura laica. In altre epoche storiche
la contrapposizione in campo religioso era talmente acuta che l'iconografia
cristiana era arrivata a raffigurare il Profeta come un eretico relegato
all'inferno: oggi non si tratta di negare questi episodi storici e di
cancellarne le testimonianze artistiche, ma di capirli all'interno di una
precisa stagione e di rigettarli come metodi non più ammissibili nel dialogo
tra religioni.
Non dobbiamo alimentare nei musulmani la convinzione che l'occidente
non rispetti gli elementi fondamentali della loro religione. Un conto è la
rilettura, anche critica, dei rispettivi mondi di pensiero, altro è
l'irrisione di ciò che è oggetto di fede e di intima convinzione; un conto è
denunciare, come io stesso ho fatto più volte, l'arroganza di certe
posizioni religiose, altro è il beffarsi della fierezza dei credenti. Ogni
essere umano ha diritto al rispetto dei propri principi etici e religiosi,
delle proprie tradizioni, delle figure fondanti il suo credo e dovrebbe
essere proprio lo stato laico e le sue strutture non solo giuridiche ma
anche culturali - come i mass media - a difendere e diffondere questo
rispetto. Con la consueta pacatezza che lo contraddistingue, il rettore
della grande moschea di Parigi, ha condannato quelle vignette come "un
errore e una diffamazione: il Profeta non ha fondato una religione
terrorista, ma al contrario una religione di pace. Noi teniamo a questa
immagine e non accettiamo che sia deformata". Ecco, irridere, deformare,
deturpare l'immagine che un nostro simile ha del suo credo religioso
significa far regnare la barbarie e non la civiltà nei rapporti sociali:
quale progresso sul cammino della convivenza civile e delle conquiste
dell'umanità possono mai rappresentare vignette come quelle pubblicate in
questi giorni? Sì, a volte vi è chi in occidente pare riempirsi la bocca con
la parola "libertà", utilizzandola per dar sfogo ai propri istinti più
dissacratori e, in ultima analisi, al malcelato desiderio di sentirsi
superiore disprezzando gli altri.
Enzo Bianchi