SuperP
2006-11-22 07:53:37 UTC
Vi riporto un interessante articolo del noto prof. Pedrocchi (ordinario
di Energetica al PoliMI) tratto dal Giornale dell'Ingegnere, che fa mio
avviso riflettere parecchio su 2 aspetti: esasperato allarmismo
ambientale, e una fiducia senza riserve sulla potenzialità delle
energie rinnovabili, in particolare solare fotovoltaico
http://www.giornaleingegnere.it/num_19-2006/articolo.htm
Sono attualmente in discussione al Senato due disegni di legge (AS. n
786 e 691) relativi a provvedimenti nel settore energetico ambientale
che prefigurano quella che potrebbe essere la politica energetica
dell’Italia per il futuro. Forse i politici non hanno chiaro che il
sistema energetico ha una grande inerzia e che le scelte che si fanno
ora possono ripercuotersi per un periodo molto lungo (parecchie decine
d’anni). E’ quindi importante fare scelte molto attente e lungimiranti.
Inoltre è importante che le direttive non cambino ad ogni legislatura
perché mettono in gravi difficoltà tutti gli operatori del settore,
giustamente preoccupati della continuità e affidabilità dei loro
investimenti. Dai disegni di legge si può individuare quali sono i
principi ispiratori: 1- un esasperato allarmismo ambientale,
specialmente in relazione ai cambiamenti climatici globali, quindi
un’adesione incondizionata non solo al protocollo di Kyoto, ma anche a
misure molto più restrittive che potrebbero emergere in un prossimo
futuro; 2- una fiducia senza riserve sulla potenzialità delle energie
rinnovabili, in particolare solare fotovoltaico, eolico e
biocarburanti. Nel passato l’Italia ha fatto scelte, nel campo
dell’energia elettrica, che ora quasi tutti riconoscono disastrose
perché responsabili delle tariffe più alte d’Europa rendendo
problematica la sopravvivenza per le nostre industrie energivore.
Eppure si rincara la dose e si rischia di avviare il Paese su una
strada ancora peggiore, con la certezza di fare ulteriormente crescere
il divario fra i costi dell’energia elettrica tra noi e paesi
concorrenti con ripercussioni negative sulla nostra competitività e di
rischiare anche l’affidabilità della fornitura di questo bene.
Il problema dei cambiamenti climatici è molto complesso e il
collegamento tra fabbisogni energetici e riscaldamento globale è ancora
soggetto a tanti dubbi, ma l’impostazione che ora si vuol dare, dà per
scontato questo legame e propone per il nostro Paese l’adesione a ogni
rafforzamento dei vincoli ambientali tipo protocollo di Kyoto, ormai
dai più riconosciuto inutile ai fini ambientali, ma dannoso per
l’economia. Vi è il preconcetto che il problema energetico possa
risolversi con l’uso delle energie rinnovabili e con il risparmio
energetico. E’ scontata l’importanza di promuovere il risparmio e ogni
forma di miglior efficienza, purchè sempre accompagnati da un’attenta
analisi economica, ma non si può sperare in miracoli: riduzioni del
fabbisogno energetico annuo, a pari PIL, del 2% sono, come tutto il
mondo dimostra, ottimi risultati. Può essere valido incentivare alcune
forme di energia rinnovabili, anche per usi termici, che sono già alla
soglia della competitività, per fare in modo che si inneschi un
processo virtuoso che le faccia decollare, ma incentivare
insensatamente forme di energie rinnovabili che non hanno alcuna
potenzialità e prospettiva - eclatante il caso del solare fotovoltaico
- non consente la soluzione del problema e comporta spreco di pubblico
denaro. A giustificazione si cita spesso il caso della Germania, che
andrebbe però analizzato molto attentamente: in Germania la produzione
di energia elettrica è per il 53% fatta con il carbone, il 30% con il
nucleare, mentre l’eolico, che ha una potenza installata (18,5GW) poco
inferiore al n u c l e a r e (20,4GW), produce solo il 4% del totale e
ha creato problemi alla rete elettrica tanto gravi da dover fermare il
funzionamento per molti mesi di diversi aerogeneratori e fare costosi
interventi sulla rete prima di poterli riavviare. Anche il fotovoltaico
darà in Germania contributi energetici irrilevanti, malgrado i forti
incentivi, ma almeno l’industria tedesca di tale settore può trarne
forte vantaggio. Nessuna previsione seria anche a lungo termine
(incluse quelle dell’Agenzia Internazionale dell’Energia- IEA) prevede
che il fotovoltaico possa contribuire in modo sostanziale al fabbisogno
energetico dell’umanità. In Italia in ogni caso la situazione è ben
diversa e più sfavorevole. La maggior parte della produzione elettrica
è fatta con il gas, il combustibile ormai più costoso, mentre la
potenzialità dell’eolico è molto limitata: uno studio dell’Enel
prevedeva un massimo pari a meno del 2% del fabbisogno. Il contributo
del solare fotovoltaico non può che essere irrilevante, a ciò si
aggiunge che non abbiamo una significativa produzione nazionale di
celle fotovoltaiche e saremo quindi costretti a comperarle dall’estero.
Puntare su queste fonti significa emarginare l’Italia dallo sviluppo,
rischiare la delocalizzazione di diverse industrie in paesi con minori
restrizioni ambientali e, in un mercato europeo veramente
liberalizzato, ridurla a terra di conquista per i produttori europei
più accorti.
di Energetica al PoliMI) tratto dal Giornale dell'Ingegnere, che fa mio
avviso riflettere parecchio su 2 aspetti: esasperato allarmismo
ambientale, e una fiducia senza riserve sulla potenzialità delle
energie rinnovabili, in particolare solare fotovoltaico
http://www.giornaleingegnere.it/num_19-2006/articolo.htm
Sono attualmente in discussione al Senato due disegni di legge (AS. n
786 e 691) relativi a provvedimenti nel settore energetico ambientale
che prefigurano quella che potrebbe essere la politica energetica
dell’Italia per il futuro. Forse i politici non hanno chiaro che il
sistema energetico ha una grande inerzia e che le scelte che si fanno
ora possono ripercuotersi per un periodo molto lungo (parecchie decine
d’anni). E’ quindi importante fare scelte molto attente e lungimiranti.
Inoltre è importante che le direttive non cambino ad ogni legislatura
perché mettono in gravi difficoltà tutti gli operatori del settore,
giustamente preoccupati della continuità e affidabilità dei loro
investimenti. Dai disegni di legge si può individuare quali sono i
principi ispiratori: 1- un esasperato allarmismo ambientale,
specialmente in relazione ai cambiamenti climatici globali, quindi
un’adesione incondizionata non solo al protocollo di Kyoto, ma anche a
misure molto più restrittive che potrebbero emergere in un prossimo
futuro; 2- una fiducia senza riserve sulla potenzialità delle energie
rinnovabili, in particolare solare fotovoltaico, eolico e
biocarburanti. Nel passato l’Italia ha fatto scelte, nel campo
dell’energia elettrica, che ora quasi tutti riconoscono disastrose
perché responsabili delle tariffe più alte d’Europa rendendo
problematica la sopravvivenza per le nostre industrie energivore.
Eppure si rincara la dose e si rischia di avviare il Paese su una
strada ancora peggiore, con la certezza di fare ulteriormente crescere
il divario fra i costi dell’energia elettrica tra noi e paesi
concorrenti con ripercussioni negative sulla nostra competitività e di
rischiare anche l’affidabilità della fornitura di questo bene.
Il problema dei cambiamenti climatici è molto complesso e il
collegamento tra fabbisogni energetici e riscaldamento globale è ancora
soggetto a tanti dubbi, ma l’impostazione che ora si vuol dare, dà per
scontato questo legame e propone per il nostro Paese l’adesione a ogni
rafforzamento dei vincoli ambientali tipo protocollo di Kyoto, ormai
dai più riconosciuto inutile ai fini ambientali, ma dannoso per
l’economia. Vi è il preconcetto che il problema energetico possa
risolversi con l’uso delle energie rinnovabili e con il risparmio
energetico. E’ scontata l’importanza di promuovere il risparmio e ogni
forma di miglior efficienza, purchè sempre accompagnati da un’attenta
analisi economica, ma non si può sperare in miracoli: riduzioni del
fabbisogno energetico annuo, a pari PIL, del 2% sono, come tutto il
mondo dimostra, ottimi risultati. Può essere valido incentivare alcune
forme di energia rinnovabili, anche per usi termici, che sono già alla
soglia della competitività, per fare in modo che si inneschi un
processo virtuoso che le faccia decollare, ma incentivare
insensatamente forme di energie rinnovabili che non hanno alcuna
potenzialità e prospettiva - eclatante il caso del solare fotovoltaico
- non consente la soluzione del problema e comporta spreco di pubblico
denaro. A giustificazione si cita spesso il caso della Germania, che
andrebbe però analizzato molto attentamente: in Germania la produzione
di energia elettrica è per il 53% fatta con il carbone, il 30% con il
nucleare, mentre l’eolico, che ha una potenza installata (18,5GW) poco
inferiore al n u c l e a r e (20,4GW), produce solo il 4% del totale e
ha creato problemi alla rete elettrica tanto gravi da dover fermare il
funzionamento per molti mesi di diversi aerogeneratori e fare costosi
interventi sulla rete prima di poterli riavviare. Anche il fotovoltaico
darà in Germania contributi energetici irrilevanti, malgrado i forti
incentivi, ma almeno l’industria tedesca di tale settore può trarne
forte vantaggio. Nessuna previsione seria anche a lungo termine
(incluse quelle dell’Agenzia Internazionale dell’Energia- IEA) prevede
che il fotovoltaico possa contribuire in modo sostanziale al fabbisogno
energetico dell’umanità. In Italia in ogni caso la situazione è ben
diversa e più sfavorevole. La maggior parte della produzione elettrica
è fatta con il gas, il combustibile ormai più costoso, mentre la
potenzialità dell’eolico è molto limitata: uno studio dell’Enel
prevedeva un massimo pari a meno del 2% del fabbisogno. Il contributo
del solare fotovoltaico non può che essere irrilevante, a ciò si
aggiunge che non abbiamo una significativa produzione nazionale di
celle fotovoltaiche e saremo quindi costretti a comperarle dall’estero.
Puntare su queste fonti significa emarginare l’Italia dallo sviluppo,
rischiare la delocalizzazione di diverse industrie in paesi con minori
restrizioni ambientali e, in un mercato europeo veramente
liberalizzato, ridurla a terra di conquista per i produttori europei
più accorti.