Post by Loryindipendentemente dal ruolo religioso che rivestiva. L'hanno capito tutti,
di tutte le religioni, di tutti gli stati e persino gli atei.
Nelle esequie ai defunti l'anima umana cede il posto al quel sentimento che
il mondo classico definisce come "pietas". Tale istanza accomuna
indistintamente tutti gli uomini giunti alla fine della loro vita, da Teresa
di Calcutta a Hitler: tutti "ad immagine come statua di D-o". In questo
senso immagino debba intendersi la partecipazione unanime, corale e commossa
del mondo alla dipartita di Giovanni Paolo II, alla quale hanno partecipato,
a quanto visto, le comunità ebraiche italiane in forma ufficiale. Nel caso
di una figura di tale rilevanza politica, è tuttavia altrettanto naturale
che si debba avviare una analisi storica biografica. In tal senso rilevo
delle note stonate, soprattutto circa le doti di dialogo messe in campo da
quest'ultimo pontefice, come i cronisti vanno sottolineando nelle dirette
televisive. Avendo seguito passo passo le cronache delle sue iniziative ed
avendolo fatto in età matura, ho lucida memoria di momenti tristi e
laceranti nella politica vaticana. Potrei redigerne un elenco dettagliato,
nonché riassumere la disamina di alcune (tra le numerose) encicliche dal
1978 ad oggi. Dovrei solamente scartabellare vecchi ritagli di giornale,
tutti accuratamente conservati. Ma più di ogni cosa, ricordo con grande
amarezza la beatificazione di Edith Stein, motivata per giunta come: "nel
momento della morte conobbe la verità". E' di Rav Riccardo Disegni, il
Rabbino Capo della Comunità di Roma, un commento dell'ottobre del 2004:
"Come è possibile predicare il dialogo nel rispetto dell'identità, non solo
quella propria, ma anche e soprattutto quella dell'interlocutore, quando
allo stesso tempo si lanciano segnali allarmanti e contrastanti? Più
chiaramente e direttamente: L'ebreo che si converte al cristianesimo è un
modello di dialogo o la sua negazione? L'imponente investimento dottrinale
che c'è stato, ad esempio, intorno al processo di beatificazione e poi di
santificazione di Edith Stein ci mostra una Chiesa che ancora propone come
modello di virtù eroiche l'ebrea o l'ebreo convertito, e ne santifica l'immagine,
arrivando addirittura alla definizione, per noi profondamente inquietante,
di 'novella Ester' ". Rav Disegni, dall'alto della sua cultura,
probabilmente non dipinge però compiutamente il sentimento popolare: dolore,
tristezza, smarrimento; e lacrime e lacrime e lacrime. Il motivo della
beatificazione infatti nella sostanza, additando Edith Stein ad esempio,
getta al contempo nell'errore 6 milioni di ebrei sterminati ad Auschwitz,
che nel momento della loro morte non hanno voluto rinnegare la fede dei loro
Padri z''l: un antitetico esempio da disprezzare; anime dannate per il
secolare principio "nihil salus extra eclesiam". Di tale affermazione, ad un
tempo teologica e politica, se n'è voluto lasciare traccia nel muro di
Auschwitz, sotto forma di lapide, ad "eterna memoria". Io non ricordo un
altro pontefice che abbia intrapreso una tale iniziativa ad Auschwitz; che è
e resta un luogo della memoria ebraica, per quante lapidi gli uomini possano
concepire. Come dire: c'è l'intera crosta terrestre a disposizione della
chiesa romana dove erigere lapidi, altari, basiliche. Che bisogno c'era di
toccare Auschwitz? Era proprio necessario stuzzicare con un coltello
appuntito un nervo scoperto? Occorreva proprio sommuovere la memoria dei
parenti di 6 milioni di ebrei? Bisognava per forza smerdare Auschwitz?