Davide Pioggia
2008-01-05 14:59:08 UTC
All'epoca della fondazione di Roma i popoli germanici occupavano più o
meno l'odierna Danimarca e la parte meridionale della penisola scandinava;
e ancora all'epoca di Giulio Cesare avevano appena cominciato a diffondersi
sul continente europeo.
Da allora, per oltre duemila anni, la storia ha visto l'espansione
progressiva dei popoli di lingua e di cultura germanica, che ad occidente
hanno raggiunto la California, occupando buona parte dell'America del Nord,
mentre a oriente sono arrivati ad occupare l'Australia, con l'Impero
Britannico che è stato l'unico vero impero mondiale nella storia
dell'umanità.
Gli storici da tempo dibattono su quali siano state le caratteristiche di
quella cultura che abbiano reso possibile una tale straordinaria espansione.
Anche io, nel mio piccolo, tempo fa ho voluto provare a cimentarmi in questo
esercizio, e dopo aver cercato a lungo ho creduto di aver trovato degli
indizi interessanti nella descrizione che fece Tacito dei Germani quando i
Romani si imbatterono per la prima volta in quelle tribù. Qui di seguito
riporto una parte di un mio vecchio articolo, nel quale illustravo la mia
proposta semiseria per la soluzione di questo grande mistero:
----------<inizio cit.>----------
Si narra che le donne di Sparta, quando ricevevano i corpi dei loro
famigliari caduti in battaglia, per prima cosa osservassero quei cadaveri
per vedere se le ferite che avevano causato la morte erano sul petto o sulla
schiena, e nel secondo caso - essendo le ferite sulla schiena la prova di un
tentativo di fuga di fronte al nemico - si rifiutassero di prendersi cura
dei cadaveri dei loro mariti, padri e figli, considerando un disonore per
tutta la famiglia che il loro congiunto avesse tentato di sottrarsi al
pericolo.
Secoli dopo Tacito ci racconta che le donne dei Germani seguivano le
battaglie dei loro uomini collocandosi in una posizione che permettesse loro
di vedere lo scontro da vicino, e da lì incitavano i loro congiunti affinché
si mostrassero valorosi e non temessero alcun pericolo pur di difendere la
propria famiglia e il proprio villeggio dai nemici.
Più recentemente, durante la Grande Guerra, se qualcuno si rifiutava di
uscire dalla trincea per andare incontro al piombo che veniva generosamente
elargito dalle mitragliatrici nemiche, interveniva prontamente la polizia
militare a fucilare sul campo coloro che avevano disubbidito agli ordini,
oppure a decimare i battaglioni che si erano mostrati poco coraggiosi.
Ora non so voi, ma io non saprei cosa scegliere fra avere alle spalle la
polizia militare che mi fucila se non mi scaravento contro le mitragliatrici
nemiche, o avere la suocera, la mamma, la moglie, e magari pure la figlia,
che se non mi comporto valorosamente cominciano a strillare come aquile
che sono il disonore della famiglia, e poi a casa mi fanno una testa così a
ripetermi che non hanno più il coraggio di mettere il naso fuori di casa
perché si vergognano di me, con la suocera che dice alla figlia «te lo avevo
detto di non sposare questo buono a nulla», e la moglie che dice «sì mamma
avevi ragione dovevo darti retta», per non parlare della mamma che si mette
lì a lamentarsi che se fosse stato ancora vivo il babbo avrebbe saputo lui
come insegnarmi a campare, e invece lei è una povera donna da sola che
ha dovuto tirare su i figli senza aiuto e poi per forza i figli sono venuti
su male. Ecco, dicevo, non so voi, ma fra il plotone di esecuzione della
polizia militare e le parenti strette che ci tengono a fare bella figura con
le amiche sulla mia pelle, io proprio non saprei cosa scegliere. E comunque
credo che preferirei di gran lunga affrontare le spade dei legionari romani
che le lingue delle suddette parenti strette, per cui non dobbiamo stupirci
più di tanto che i Germani fossero tanto valorosi in guerra. Sfido io.
----------<fine cit.>----------
Questa citazione mi offre lo spunto per allargare il discorso, osservando
che ogni civiltà per potersi conservare nella storia ha bisogno di trovare
il modo di spremere il più possibile le risorse fisiche e mentali degli
individui, al fine di produrre nuove generazioni, crescerle, proteggerle,
educarle a quella cultura, eccetera.
Ad esempio una cultura che è in grado di produrre una certa percentuale
di valorosi guerrieri pronti anche al sacrificio estremo pur di difendere la
propria comunità, è una cultura che è destinata comunque ad imporsi su
un'altra cultura che - pur essendo più raffinata - produce una massa di
individui nessuno dei quali è disposto a sacrificarsi in nome della propria
identità collettiva. D'altra parte il fatto che la prima cultura richieda il
sacrificio di una certa percentuale della popolazione maschile, non ne
riduce più di tanto le risorse, visto che da un punto di vista biologico ciò
di cui c'è "scarsità" sono le femmine fecondabili.
Ovviamente la comunità non deve far fronte solo ai problemi della difesa e
dell'espansione armata. Ci vogliono anche donne disposte a sgobbare dalla
mattina alla sera per crescere i figli, uomini adulti o anziani disposti a
piantare alberi che non vedranno mai cresciuti, o a posare la prima
pietra di edifici che non vedranno mai ultimati, eccetera. Affinché tutto
ciò sia possibile, la cultura deve agire sull'educazione dell'individuo in
due modi:
1) spingendolo a rinunciare alla sua identità individuale per abbracciare
una identità collettiva, in modo tale che padri e i nonni si sentano
appagati al pensiero di aver lavorato tutta la vita per "sistemare" i figli
e i nipoti, che i guerrieri considerino un onore potersi sacrificare per
difendere i valori della propria cultura e il territorio della propria
comunità, che le donne non sentano il peso degli sforzi di una vita per
crescere i propri figli, e che anzi si sentano orgogliose di vederli
crescere, come se fossero una parte di sé, eccetera;
2) mettendolo in condizione di non poter ottenere certe gratificazioni se
non assumendo un comportamento che vada a vantaggio della comunità,
anche quando vada a scapito del proprio interesse individuale.
Il primo dei due aspetti che ho messo in evidenza qui sopra - quello
della imposizione di una identità collettiva a scapito di una identità
individuale - è un meccanismo che sicuramente merita di essere indagato,
ma che di per sé è piuttosto chiaro e noto. Tradizionalmente esso si
imponeva educando gli individui a subordinarsi alla triade
Dio-Patria-Famiglia.
Invece il secondo aspetto non è altrettanto chiaro. Infatti come è possibile
che uno tragga delle gratificazioni assumendo un comportamente che va più
a vantaggio della comunità che di sé stesso?
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere presente che fra gli "oggetti
del desiderio" di ogni individuo ci sono sempre "gli altri". Il caso più
ovvio e banale è costituito dalla cosiddetta "ricerca dell'amore", che è poi
quella cosa che fa proliferare le chat, le videochat, gli instant messenger,
e anche i ng in cui si ritrovano a discutere coloro che fanno fatica a
trovarlo, o che ne vorrebbero trovare di più, o che non riescono a tenersi
quello che hanno già trovato, eccetera. Ma a parte i rapporti sentimentali,
ci sono i legami con i genitori e i figli, quelli con gli amici, i colleghi,
e così via. Ebbene, è proprio in questo punto che può infilarsi la società,
strutturandosi in modo tale che ogni elemento sociale eserciti una forte
pressione su tutti gli altri, caricandoli di aspettative che non possono
essere deluse, pena l'esclusione da un certo rapporto.
Dicevo che questo meccanismo si basa su due aspetti complementari:
la definizione della identità e le richieste imposte per accedere alle
gratificazioni sociali. Ebbene, fino a quando questi due aspetti si
restano coordinati una cultura è capace di auto-alimentarsi mantenendosi
in una condizione di equilibrio stabile. Infatti anche quando le rischieste
sociali (da parte dei genitori, dei consorti, dei figli, o della comunità in
genere) si fanno progressivamente più pressanti, c'è comunque una forte
educazione ricevuta che vieta o inibisce qualunque rivendicazione
individualistica. Ad esempio per una donna di qualche generazione fa sarebbe
stato praticamente impossibile rivendicare un po' di tempo per sé stessa da
sottrarre alla cura della famiglia (figli, marito, genitori e suoceri
anziani), perché la comunità l'avrebbe considerata una degenerata, ed essa
stessa avrebbe provato dei forti sensi di colpa, sicché prima ancora di
formulare una richiesta esplicita in quel senso si sarebbe prodotto in lei
un grave conflitto psicologico, facendola magari finire in manicomio.
Una cultura strutturata in questo modo è una vera e propria "macchina da
guerra", che può alimentarsi per secoli e millenni impedendo all'individuo
di utilizzare le proprie risorse per sé stesso, e spremendo quelle risorse
per il funzionamento sociale. In un sistema siffatto ogni ogni componente
sociale fa da "gendarme" a tutte le altre. Così fino a poco tempo fa se una
donna voleva ottenere la gratificazione di avere un uomo e formarsi una
famiglia, fin da piccola doveva lasciarsi imporre o imporre a sé stessa una
serie di "virtù domestiche" che poi l'avrebbero costretta a lavorare come un
mulo per tutta la vita per il marito e i figli. Lo stesso valeva per i
maschi, che per poter godere degli sguardi ammirati delle giovani fanciulle
dovevano mettersi in divisa pronti a farsi sbudellare o a uscire dalle
trincee a migliaia per farsi falciare dalle mitragliatrici. (Questi esempi
con i guerrieri e le spade potranno sembrare anacronistici, ma sono certo di
dire una ovvietà se affermo che oggi tutte queste aspettative da parte della
famiglia e della compagna si sono trasferite dalle virtù guerriere alla
affermazione sociale, in termini di ricchezza, attività prestigiosa,
carriera, eccetera.)
La "macchina da guerra" potrebbe dunque continuare a funzionare benissimo,
se non fosse che nel frattempo si è incrinato il primo pilastro di questo
sistema, quello della identità. Infatti lo sviluppo di un certo tipo di
economia ha portato le famiglie a urbanizzarsi e a diventare sempre più
piccole, mentre la produzione è andata progressivamente spostandosi verso
il terziario, anche quello più avanzato. Così oggi l'individuo che
costituisce un agente economico efficiente ha le seguenti caratteristiche:
a) vive in una famglia di pochi componenti;
b) non ha bisogno dell'aiuto dei figli o dei genitori per svolgere il
proprio lavoro (ma anzi da quel punto di vista sia gli uni sia gli altri
gli sono per lo più di peso)
c) per poter fare il proprio lavoro con profitto ha dovuto intraprendere
una lunga formazione culturale, indipendente da quella ricevuta in
famiglia, e questo percorso lo ha reso molto più consapevole della
propria individualità.
Così non ci stupiamo che questo individuo non possa più accontentarsi
di sacrificarsi tutta la vita per far crescere e sistemare i figli, per
piantare alberi che non vedrà cresciuti e per posare prime pietre di edifici
che non vedrà ultimati, né sarà disposto ad immolarsi a qualche causa
collettiva in nome di una posterità che egli non percepisce come coincidente
con sé stesso, con la propria identità. Coloro che sono rimasti più legati
alla cultura tradizionale percepiscono tutto ciò che come l'avvento
dell'"egoismo", dell'"individualismo", del "nichilismo", e così via con i
complimenti. Ma a prescindere dalle valutazioni moralistiche, è indubbio che
è stata proprio questa l'incrinatura che ha rotto quella potente macchina da
guerra: l'individuo non trova più delle gratificazioni legate alla identità
collettiva, perché l'identità si è trasformata in una identità individuale.
Nel frattempo però questo individuo vuole ancora - anzi vuole più che mai -
trovare delle gratificazioni negli altri, cioè nei rapporti sociali e
sentimentali. Ad esempio egli (o ella) sta ancora "cercando l'amore", e lo
cerca ancora più disperatamente di prima, perché non può più rifugiarsi
nella gratificazione di crescere dei figli, o lasciare qualcosa di eterno ai
posteri, a partire dalle cattedrali fino ai teoremi di matematica. Già, ma
"gli altri" sono ancora quello che erano, cioè i "gendarmi della società".
Ed è esattamente in questo punto che si produce un conflitto difficilmente
sanabile.
Ho un caro amico che ha una buona posizione sociale, una discreta cultura e
intelligenza, e che per di più è single, sicché sarebbe considerato un "buon
partito" da molte donne che lo frequentano, se non fosse che ha alcuni
spiacevoli "difetti" che indispettiscono non poco queste signore, al punto
tale che esse - dopo averlo frequentato per un po' - di solito decidono di
lasciarlo perdere, considerandolo un "caso irrecuperabile". Ora, se qualcuno
va a chiedere a questo amico per quale ragione egli si comporti in questo
modo, si sente rispondere che ogni volta che una donna sorride ammirata o
invitante di fronte a qualche tua impresa o a qualche tua scelta, vuol dire
che ti trovi in grande pericolo, e che hai appena fatto qualcosa per
rovinarti la vita.
Ad esempio tempo fa frequentava da un po' una ragazza, quando gli è capitata
l'opportunità di intraprendere una certa carriera da professionista. Ebbene,
quando si è accorto che la ragazza che stava frequentando sperava
ardentemente che egli facesse tutto il possibile per intraprendere quella
carriera, egli l'ha immediatamente rifiutata, dicendo che se avesse compiuto
quella scelta la sua vita sarebbe stata segnata: avrebbe dovuto lavorare
dodici ore al giorno solo perché la moglie potesse presentarsi nella buona
società come moglie del dottore tal dei tali, staccare un assegno dietro
l'altro per mandare la moglie e i figli a fare la settimana bianca in
montagna e poi quella azzurra al mare, e magari dopo qualche anno la moglie
si sarebbe presentata da lui rimproverandolo che da anni ormai non faceva
altro che pensare al lavoro, che era diventato sempre più assente o
distante, e confessandogli che nel frattempo lei aveva conosciuto un uomo
che le aveva fatto battere il cuore dopo tanto tempo, che lei si sentiva
ancora troppo giovane per rinunciare all'amore, e che comunque non avrebbe
accettato di essere punita per questo, perché gli aveva pur dato i migliori
anni della sua vita, per cui voleva continuare a far la vita di prima;
il che in soldoni sarebbe stato ben più della metà di quello che egli
avrebbe guadagnato in tutta la sua vita.
Probabilmente il mio amico ha qualche problema irrisolto con le donne,
tuttavia questa cosa mi ha colpito, perché quando decise di rifiutarsi di
venire incontro alle aspettative della donna che stava frequentando,
raccontò la cosa aggiungendo questo commento:
«Fare ciò che vuole lei è un modo per consentire alla società di succhiarmi
il sangue. Nel momento in cui ti rendi conto di essere diventato appetibile
per una donna, vuol dire che il sistema è lì con l'acquolina in bocca pronto
a divorarti».
Quando disse questa cosa io mi resi conto che egli vedeva quella
donna - così piena di aspettative nei suoi confronti - come una sorta di
"cavallo di Troia" che la società stava cercando di usare per spremere le
sue risorse al fine di produrre beni e servizi che egli non si sarebbe mai
potuto veramente godere, ma che sarebbero serviti solo a perpetuare una
certa comunità, rimandando indefinitamente il giorno in cui si sarebbe
potuti "fermare" a godersi ciò che si era realizzato fino a lì. E per quanto
l'atteggiamento di questo amico possa essere esagerato e poco equilibrato,
non è facile avanzargli delle obiezioni quando quasi ogni giorno si leggono
notizie come questa:
http://tinyurl.com/2jm46e
Tutto ciò ovviamente può essere perfettamente ribaltato dal punto di
vista femminile. Quando i miei amici single e perennemente alla ricerca
della donna "giusta" mi spiegano che cosa vorrebbero trovare in una donna
per convincersi a sposarsi, provo un senso di oppressione al pensiero della
sorte che attende quelle poverette che si lasceranno convincere.
L'impressione che traggo da tutto ciò è che abbiamo sulle spalle dei potenti
condizionamenti storici che ci impongono dei pesantissimi giochi di ruolo in
cui ognuno fa da "carceriere" (o per lo meno da "gendarme") alla
individualità dell'altro.
Il grosso errore che io attribuisco a una buona parte del movimento
femminista è aver indirizzato la loro rabbia verso il "maschio", con la
convinzione che tutta la violenza scaricata sull'individuo dalla società
tradizionale fosse imposta e voluta dal "patriarca fallocrate e
maschilista", e facendo finta di non vedere che l'identità di genere
maschile è fragilissima, molto più fragile di quanto le stesse donne siano
disposte ad ammettere (perché a volte è più facile pensare di vivere accanto
ad un terribile stronzo che ad uno sfigato insicuro). Così anziché fare un
lavoro su sé stesse per la conquista della autonomia e della indipendenza
psicologica, molte si sono avventate a testa bassa a progettare forme più o
meno simboliche di castrazione sulla pubblica piazza, con tanto di pretesa
autocritica e di pentimento per essere portatori insani di pisello.
Ma vediamo la cosa dal punto di vista di un maschio: uno già fa fatica a
definire la propria identità e a respingere con la ragione quei pensieri
irrazionali che pretenderebbero di scaricare sulla diabolica manipolazione
passiva delle donne tutto il disagio della civiltà, figuriamoci se accetta
di farsi mettere sotto processo per una dinamica alla quale egli non ha mai
partecipato attivamente, che non ha mai voluto, e della quale anzi si
considera vittima. Della serie: ognuno ridefinisca sé stesso come più
gli aggrada e senza fare processi staliniani.
Questo significa che le femministe sono il nemico più pericoloso per la
pellaccia dei maschi?
A me non sembrano tali. In fondo non ci vuole molto a difendersi dalle
femministe, e a volte non è nemmeno necessario. Molte infatti ti pestano i
piedi per sbaglio mentre stanno girando attorno a sé stesse, e in quel caso
non vale la pena di scatenare una guerra. Altre invece vorrebbero pestarti i
piedi di proposito, ma quelle basta ignorarle, oppure - se esagerano -
prenderle bonariamente per i fondelli. Ma a parte questi inconvenienti - che
si evitano semplicemente stando un poco svegli - per il resto bisogna dire
che le femministe sono anche delle sante donne che - benché fra mille
oscillazioni, contraddizioni e conflitti - stanno faticosamente rinunciando
al loro ruolo di "gendarmi della società".
Insomma, con le femministe si può certamente convivere: basta conoscerle
un po', come certe malattie stagionali. La cosa invece si fa più
preoccupante quando ci si imbatte in una donna che dichiara risolutamente:
«Io le femministe non le sopporto!»
Ora, non voglio certo dire che le motivazioni per le quali una donna possa
dire quella cosa siano sempre le stesse. Ci sono moltissime donne che hanno
un rapporto equilibrato e autonomo con la propria identità, e che proprio
per questo non si riconoscono in certi eccessi del femminismo: queste sono
certamente un toccasana per la sopravvivenza dei poveri maschi.
Tuttavia in mezzo a costoro si celano interi eserciti di "nostalgiche della
gendarmeria", quelle che mentre prendono risolutamente le distanze dalle
femministe stanno pensando:
«Ma guarda un po' queste cretine delle femministe: per secoli e millenni
abbiamo esercitato un potere passivo assoluto, avendo a disposizione
tutta una artiglieria fatta di ricatti morali, di sguardi severi e
silenziosi di disapprovazione e di delusione, frammisti a rari sprazzi di
civetteria incoraggiante e a qualche risatina divertita; e tutto questo
bastava per avere questi bambinoni legati a un dito, disposti a fare
qualunque cosa pur di non deluderci e di ottenere la nostra ammirazione;
mentre ora queste cretine hanno combinato tutto 'sto casino per avere
il "privilegio" di andare a lavorare tutti i giorni e pagare la propria metà
della cena al ristorante!»
Ecco, non so voi, ma a me queste sembrano molto più "pericolose" delle
femministe.
meno l'odierna Danimarca e la parte meridionale della penisola scandinava;
e ancora all'epoca di Giulio Cesare avevano appena cominciato a diffondersi
sul continente europeo.
Da allora, per oltre duemila anni, la storia ha visto l'espansione
progressiva dei popoli di lingua e di cultura germanica, che ad occidente
hanno raggiunto la California, occupando buona parte dell'America del Nord,
mentre a oriente sono arrivati ad occupare l'Australia, con l'Impero
Britannico che è stato l'unico vero impero mondiale nella storia
dell'umanità.
Gli storici da tempo dibattono su quali siano state le caratteristiche di
quella cultura che abbiano reso possibile una tale straordinaria espansione.
Anche io, nel mio piccolo, tempo fa ho voluto provare a cimentarmi in questo
esercizio, e dopo aver cercato a lungo ho creduto di aver trovato degli
indizi interessanti nella descrizione che fece Tacito dei Germani quando i
Romani si imbatterono per la prima volta in quelle tribù. Qui di seguito
riporto una parte di un mio vecchio articolo, nel quale illustravo la mia
proposta semiseria per la soluzione di questo grande mistero:
----------<inizio cit.>----------
Si narra che le donne di Sparta, quando ricevevano i corpi dei loro
famigliari caduti in battaglia, per prima cosa osservassero quei cadaveri
per vedere se le ferite che avevano causato la morte erano sul petto o sulla
schiena, e nel secondo caso - essendo le ferite sulla schiena la prova di un
tentativo di fuga di fronte al nemico - si rifiutassero di prendersi cura
dei cadaveri dei loro mariti, padri e figli, considerando un disonore per
tutta la famiglia che il loro congiunto avesse tentato di sottrarsi al
pericolo.
Secoli dopo Tacito ci racconta che le donne dei Germani seguivano le
battaglie dei loro uomini collocandosi in una posizione che permettesse loro
di vedere lo scontro da vicino, e da lì incitavano i loro congiunti affinché
si mostrassero valorosi e non temessero alcun pericolo pur di difendere la
propria famiglia e il proprio villeggio dai nemici.
Più recentemente, durante la Grande Guerra, se qualcuno si rifiutava di
uscire dalla trincea per andare incontro al piombo che veniva generosamente
elargito dalle mitragliatrici nemiche, interveniva prontamente la polizia
militare a fucilare sul campo coloro che avevano disubbidito agli ordini,
oppure a decimare i battaglioni che si erano mostrati poco coraggiosi.
Ora non so voi, ma io non saprei cosa scegliere fra avere alle spalle la
polizia militare che mi fucila se non mi scaravento contro le mitragliatrici
nemiche, o avere la suocera, la mamma, la moglie, e magari pure la figlia,
che se non mi comporto valorosamente cominciano a strillare come aquile
che sono il disonore della famiglia, e poi a casa mi fanno una testa così a
ripetermi che non hanno più il coraggio di mettere il naso fuori di casa
perché si vergognano di me, con la suocera che dice alla figlia «te lo avevo
detto di non sposare questo buono a nulla», e la moglie che dice «sì mamma
avevi ragione dovevo darti retta», per non parlare della mamma che si mette
lì a lamentarsi che se fosse stato ancora vivo il babbo avrebbe saputo lui
come insegnarmi a campare, e invece lei è una povera donna da sola che
ha dovuto tirare su i figli senza aiuto e poi per forza i figli sono venuti
su male. Ecco, dicevo, non so voi, ma fra il plotone di esecuzione della
polizia militare e le parenti strette che ci tengono a fare bella figura con
le amiche sulla mia pelle, io proprio non saprei cosa scegliere. E comunque
credo che preferirei di gran lunga affrontare le spade dei legionari romani
che le lingue delle suddette parenti strette, per cui non dobbiamo stupirci
più di tanto che i Germani fossero tanto valorosi in guerra. Sfido io.
----------<fine cit.>----------
Questa citazione mi offre lo spunto per allargare il discorso, osservando
che ogni civiltà per potersi conservare nella storia ha bisogno di trovare
il modo di spremere il più possibile le risorse fisiche e mentali degli
individui, al fine di produrre nuove generazioni, crescerle, proteggerle,
educarle a quella cultura, eccetera.
Ad esempio una cultura che è in grado di produrre una certa percentuale
di valorosi guerrieri pronti anche al sacrificio estremo pur di difendere la
propria comunità, è una cultura che è destinata comunque ad imporsi su
un'altra cultura che - pur essendo più raffinata - produce una massa di
individui nessuno dei quali è disposto a sacrificarsi in nome della propria
identità collettiva. D'altra parte il fatto che la prima cultura richieda il
sacrificio di una certa percentuale della popolazione maschile, non ne
riduce più di tanto le risorse, visto che da un punto di vista biologico ciò
di cui c'è "scarsità" sono le femmine fecondabili.
Ovviamente la comunità non deve far fronte solo ai problemi della difesa e
dell'espansione armata. Ci vogliono anche donne disposte a sgobbare dalla
mattina alla sera per crescere i figli, uomini adulti o anziani disposti a
piantare alberi che non vedranno mai cresciuti, o a posare la prima
pietra di edifici che non vedranno mai ultimati, eccetera. Affinché tutto
ciò sia possibile, la cultura deve agire sull'educazione dell'individuo in
due modi:
1) spingendolo a rinunciare alla sua identità individuale per abbracciare
una identità collettiva, in modo tale che padri e i nonni si sentano
appagati al pensiero di aver lavorato tutta la vita per "sistemare" i figli
e i nipoti, che i guerrieri considerino un onore potersi sacrificare per
difendere i valori della propria cultura e il territorio della propria
comunità, che le donne non sentano il peso degli sforzi di una vita per
crescere i propri figli, e che anzi si sentano orgogliose di vederli
crescere, come se fossero una parte di sé, eccetera;
2) mettendolo in condizione di non poter ottenere certe gratificazioni se
non assumendo un comportamento che vada a vantaggio della comunità,
anche quando vada a scapito del proprio interesse individuale.
Il primo dei due aspetti che ho messo in evidenza qui sopra - quello
della imposizione di una identità collettiva a scapito di una identità
individuale - è un meccanismo che sicuramente merita di essere indagato,
ma che di per sé è piuttosto chiaro e noto. Tradizionalmente esso si
imponeva educando gli individui a subordinarsi alla triade
Dio-Patria-Famiglia.
Invece il secondo aspetto non è altrettanto chiaro. Infatti come è possibile
che uno tragga delle gratificazioni assumendo un comportamente che va più
a vantaggio della comunità che di sé stesso?
Per rispondere a questa domanda bisogna tenere presente che fra gli "oggetti
del desiderio" di ogni individuo ci sono sempre "gli altri". Il caso più
ovvio e banale è costituito dalla cosiddetta "ricerca dell'amore", che è poi
quella cosa che fa proliferare le chat, le videochat, gli instant messenger,
e anche i ng in cui si ritrovano a discutere coloro che fanno fatica a
trovarlo, o che ne vorrebbero trovare di più, o che non riescono a tenersi
quello che hanno già trovato, eccetera. Ma a parte i rapporti sentimentali,
ci sono i legami con i genitori e i figli, quelli con gli amici, i colleghi,
e così via. Ebbene, è proprio in questo punto che può infilarsi la società,
strutturandosi in modo tale che ogni elemento sociale eserciti una forte
pressione su tutti gli altri, caricandoli di aspettative che non possono
essere deluse, pena l'esclusione da un certo rapporto.
Dicevo che questo meccanismo si basa su due aspetti complementari:
la definizione della identità e le richieste imposte per accedere alle
gratificazioni sociali. Ebbene, fino a quando questi due aspetti si
restano coordinati una cultura è capace di auto-alimentarsi mantenendosi
in una condizione di equilibrio stabile. Infatti anche quando le rischieste
sociali (da parte dei genitori, dei consorti, dei figli, o della comunità in
genere) si fanno progressivamente più pressanti, c'è comunque una forte
educazione ricevuta che vieta o inibisce qualunque rivendicazione
individualistica. Ad esempio per una donna di qualche generazione fa sarebbe
stato praticamente impossibile rivendicare un po' di tempo per sé stessa da
sottrarre alla cura della famiglia (figli, marito, genitori e suoceri
anziani), perché la comunità l'avrebbe considerata una degenerata, ed essa
stessa avrebbe provato dei forti sensi di colpa, sicché prima ancora di
formulare una richiesta esplicita in quel senso si sarebbe prodotto in lei
un grave conflitto psicologico, facendola magari finire in manicomio.
Una cultura strutturata in questo modo è una vera e propria "macchina da
guerra", che può alimentarsi per secoli e millenni impedendo all'individuo
di utilizzare le proprie risorse per sé stesso, e spremendo quelle risorse
per il funzionamento sociale. In un sistema siffatto ogni ogni componente
sociale fa da "gendarme" a tutte le altre. Così fino a poco tempo fa se una
donna voleva ottenere la gratificazione di avere un uomo e formarsi una
famiglia, fin da piccola doveva lasciarsi imporre o imporre a sé stessa una
serie di "virtù domestiche" che poi l'avrebbero costretta a lavorare come un
mulo per tutta la vita per il marito e i figli. Lo stesso valeva per i
maschi, che per poter godere degli sguardi ammirati delle giovani fanciulle
dovevano mettersi in divisa pronti a farsi sbudellare o a uscire dalle
trincee a migliaia per farsi falciare dalle mitragliatrici. (Questi esempi
con i guerrieri e le spade potranno sembrare anacronistici, ma sono certo di
dire una ovvietà se affermo che oggi tutte queste aspettative da parte della
famiglia e della compagna si sono trasferite dalle virtù guerriere alla
affermazione sociale, in termini di ricchezza, attività prestigiosa,
carriera, eccetera.)
La "macchina da guerra" potrebbe dunque continuare a funzionare benissimo,
se non fosse che nel frattempo si è incrinato il primo pilastro di questo
sistema, quello della identità. Infatti lo sviluppo di un certo tipo di
economia ha portato le famiglie a urbanizzarsi e a diventare sempre più
piccole, mentre la produzione è andata progressivamente spostandosi verso
il terziario, anche quello più avanzato. Così oggi l'individuo che
costituisce un agente economico efficiente ha le seguenti caratteristiche:
a) vive in una famglia di pochi componenti;
b) non ha bisogno dell'aiuto dei figli o dei genitori per svolgere il
proprio lavoro (ma anzi da quel punto di vista sia gli uni sia gli altri
gli sono per lo più di peso)
c) per poter fare il proprio lavoro con profitto ha dovuto intraprendere
una lunga formazione culturale, indipendente da quella ricevuta in
famiglia, e questo percorso lo ha reso molto più consapevole della
propria individualità.
Così non ci stupiamo che questo individuo non possa più accontentarsi
di sacrificarsi tutta la vita per far crescere e sistemare i figli, per
piantare alberi che non vedrà cresciuti e per posare prime pietre di edifici
che non vedrà ultimati, né sarà disposto ad immolarsi a qualche causa
collettiva in nome di una posterità che egli non percepisce come coincidente
con sé stesso, con la propria identità. Coloro che sono rimasti più legati
alla cultura tradizionale percepiscono tutto ciò che come l'avvento
dell'"egoismo", dell'"individualismo", del "nichilismo", e così via con i
complimenti. Ma a prescindere dalle valutazioni moralistiche, è indubbio che
è stata proprio questa l'incrinatura che ha rotto quella potente macchina da
guerra: l'individuo non trova più delle gratificazioni legate alla identità
collettiva, perché l'identità si è trasformata in una identità individuale.
Nel frattempo però questo individuo vuole ancora - anzi vuole più che mai -
trovare delle gratificazioni negli altri, cioè nei rapporti sociali e
sentimentali. Ad esempio egli (o ella) sta ancora "cercando l'amore", e lo
cerca ancora più disperatamente di prima, perché non può più rifugiarsi
nella gratificazione di crescere dei figli, o lasciare qualcosa di eterno ai
posteri, a partire dalle cattedrali fino ai teoremi di matematica. Già, ma
"gli altri" sono ancora quello che erano, cioè i "gendarmi della società".
Ed è esattamente in questo punto che si produce un conflitto difficilmente
sanabile.
Ho un caro amico che ha una buona posizione sociale, una discreta cultura e
intelligenza, e che per di più è single, sicché sarebbe considerato un "buon
partito" da molte donne che lo frequentano, se non fosse che ha alcuni
spiacevoli "difetti" che indispettiscono non poco queste signore, al punto
tale che esse - dopo averlo frequentato per un po' - di solito decidono di
lasciarlo perdere, considerandolo un "caso irrecuperabile". Ora, se qualcuno
va a chiedere a questo amico per quale ragione egli si comporti in questo
modo, si sente rispondere che ogni volta che una donna sorride ammirata o
invitante di fronte a qualche tua impresa o a qualche tua scelta, vuol dire
che ti trovi in grande pericolo, e che hai appena fatto qualcosa per
rovinarti la vita.
Ad esempio tempo fa frequentava da un po' una ragazza, quando gli è capitata
l'opportunità di intraprendere una certa carriera da professionista. Ebbene,
quando si è accorto che la ragazza che stava frequentando sperava
ardentemente che egli facesse tutto il possibile per intraprendere quella
carriera, egli l'ha immediatamente rifiutata, dicendo che se avesse compiuto
quella scelta la sua vita sarebbe stata segnata: avrebbe dovuto lavorare
dodici ore al giorno solo perché la moglie potesse presentarsi nella buona
società come moglie del dottore tal dei tali, staccare un assegno dietro
l'altro per mandare la moglie e i figli a fare la settimana bianca in
montagna e poi quella azzurra al mare, e magari dopo qualche anno la moglie
si sarebbe presentata da lui rimproverandolo che da anni ormai non faceva
altro che pensare al lavoro, che era diventato sempre più assente o
distante, e confessandogli che nel frattempo lei aveva conosciuto un uomo
che le aveva fatto battere il cuore dopo tanto tempo, che lei si sentiva
ancora troppo giovane per rinunciare all'amore, e che comunque non avrebbe
accettato di essere punita per questo, perché gli aveva pur dato i migliori
anni della sua vita, per cui voleva continuare a far la vita di prima;
il che in soldoni sarebbe stato ben più della metà di quello che egli
avrebbe guadagnato in tutta la sua vita.
Probabilmente il mio amico ha qualche problema irrisolto con le donne,
tuttavia questa cosa mi ha colpito, perché quando decise di rifiutarsi di
venire incontro alle aspettative della donna che stava frequentando,
raccontò la cosa aggiungendo questo commento:
«Fare ciò che vuole lei è un modo per consentire alla società di succhiarmi
il sangue. Nel momento in cui ti rendi conto di essere diventato appetibile
per una donna, vuol dire che il sistema è lì con l'acquolina in bocca pronto
a divorarti».
Quando disse questa cosa io mi resi conto che egli vedeva quella
donna - così piena di aspettative nei suoi confronti - come una sorta di
"cavallo di Troia" che la società stava cercando di usare per spremere le
sue risorse al fine di produrre beni e servizi che egli non si sarebbe mai
potuto veramente godere, ma che sarebbero serviti solo a perpetuare una
certa comunità, rimandando indefinitamente il giorno in cui si sarebbe
potuti "fermare" a godersi ciò che si era realizzato fino a lì. E per quanto
l'atteggiamento di questo amico possa essere esagerato e poco equilibrato,
non è facile avanzargli delle obiezioni quando quasi ogni giorno si leggono
notizie come questa:
http://tinyurl.com/2jm46e
Tutto ciò ovviamente può essere perfettamente ribaltato dal punto di
vista femminile. Quando i miei amici single e perennemente alla ricerca
della donna "giusta" mi spiegano che cosa vorrebbero trovare in una donna
per convincersi a sposarsi, provo un senso di oppressione al pensiero della
sorte che attende quelle poverette che si lasceranno convincere.
L'impressione che traggo da tutto ciò è che abbiamo sulle spalle dei potenti
condizionamenti storici che ci impongono dei pesantissimi giochi di ruolo in
cui ognuno fa da "carceriere" (o per lo meno da "gendarme") alla
individualità dell'altro.
Il grosso errore che io attribuisco a una buona parte del movimento
femminista è aver indirizzato la loro rabbia verso il "maschio", con la
convinzione che tutta la violenza scaricata sull'individuo dalla società
tradizionale fosse imposta e voluta dal "patriarca fallocrate e
maschilista", e facendo finta di non vedere che l'identità di genere
maschile è fragilissima, molto più fragile di quanto le stesse donne siano
disposte ad ammettere (perché a volte è più facile pensare di vivere accanto
ad un terribile stronzo che ad uno sfigato insicuro). Così anziché fare un
lavoro su sé stesse per la conquista della autonomia e della indipendenza
psicologica, molte si sono avventate a testa bassa a progettare forme più o
meno simboliche di castrazione sulla pubblica piazza, con tanto di pretesa
autocritica e di pentimento per essere portatori insani di pisello.
Ma vediamo la cosa dal punto di vista di un maschio: uno già fa fatica a
definire la propria identità e a respingere con la ragione quei pensieri
irrazionali che pretenderebbero di scaricare sulla diabolica manipolazione
passiva delle donne tutto il disagio della civiltà, figuriamoci se accetta
di farsi mettere sotto processo per una dinamica alla quale egli non ha mai
partecipato attivamente, che non ha mai voluto, e della quale anzi si
considera vittima. Della serie: ognuno ridefinisca sé stesso come più
gli aggrada e senza fare processi staliniani.
Questo significa che le femministe sono il nemico più pericoloso per la
pellaccia dei maschi?
A me non sembrano tali. In fondo non ci vuole molto a difendersi dalle
femministe, e a volte non è nemmeno necessario. Molte infatti ti pestano i
piedi per sbaglio mentre stanno girando attorno a sé stesse, e in quel caso
non vale la pena di scatenare una guerra. Altre invece vorrebbero pestarti i
piedi di proposito, ma quelle basta ignorarle, oppure - se esagerano -
prenderle bonariamente per i fondelli. Ma a parte questi inconvenienti - che
si evitano semplicemente stando un poco svegli - per il resto bisogna dire
che le femministe sono anche delle sante donne che - benché fra mille
oscillazioni, contraddizioni e conflitti - stanno faticosamente rinunciando
al loro ruolo di "gendarmi della società".
Insomma, con le femministe si può certamente convivere: basta conoscerle
un po', come certe malattie stagionali. La cosa invece si fa più
preoccupante quando ci si imbatte in una donna che dichiara risolutamente:
«Io le femministe non le sopporto!»
Ora, non voglio certo dire che le motivazioni per le quali una donna possa
dire quella cosa siano sempre le stesse. Ci sono moltissime donne che hanno
un rapporto equilibrato e autonomo con la propria identità, e che proprio
per questo non si riconoscono in certi eccessi del femminismo: queste sono
certamente un toccasana per la sopravvivenza dei poveri maschi.
Tuttavia in mezzo a costoro si celano interi eserciti di "nostalgiche della
gendarmeria", quelle che mentre prendono risolutamente le distanze dalle
femministe stanno pensando:
«Ma guarda un po' queste cretine delle femministe: per secoli e millenni
abbiamo esercitato un potere passivo assoluto, avendo a disposizione
tutta una artiglieria fatta di ricatti morali, di sguardi severi e
silenziosi di disapprovazione e di delusione, frammisti a rari sprazzi di
civetteria incoraggiante e a qualche risatina divertita; e tutto questo
bastava per avere questi bambinoni legati a un dito, disposti a fare
qualunque cosa pur di non deluderci e di ottenere la nostra ammirazione;
mentre ora queste cretine hanno combinato tutto 'sto casino per avere
il "privilegio" di andare a lavorare tutti i giorni e pagare la propria metà
della cena al ristorante!»
Ecco, non so voi, ma a me queste sembrano molto più "pericolose" delle
femministe.
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Saluti.
D.
Saluti.
D.