Propongo un ulteriore spunto di riflessione rispetto alla mancata
espansione romana in europa centrosettentrionale, ponendo in evidenza la
presenza (o meglio l'assenza) di un fattore non del tutto trascurabile.
In Europa, il momento della massima espansione della moneta coniata
nell'età antica coincide con la massima espansione dell'Impero Romano sul
continente (II sec. d.C.).
Lo Stato Romano occupò nel corso della sua storia praticamente tutte le
zone che conobbero la moneta coniata e le sue conquiste non andarono molto
al di là delle zone che già precedentemente erano in qualche misura
caratterizzate dalla cultura della moneta coniata.
La presenza di moneta poteva costituire un lato motivo di attrazione per
le spinte espansionistiche romane, mentre dall'altro tale presenza
costituiva un elemento che favoriva la conquista stessa, sia nella fase
iniziale che in quella di consolidamento del potere.
Anche nelle fasi successive alla conquista, la presenza di un numerario
locale favoriva senz'altro l'esazione dei tributi ed i pagamenti.
Inoltre l'esistenza di una cultura della moneta coniata tra le popolazioni
locali permetteva una maggiore integrazione economica tra le realtà
indigene e quelle romane.
Una massa monetaria in circolazione rappresentava una massa metallica di
disponibilità immediata.
La moneta offriva una alta concentrazione di valore sotto forma di metallo
nel singolo oggetto, la comodità e facilità di trasporto e di
trasformazione di materia, la convertibilità quasi immediata in un sistema
di valore proprio dopo opportune trasformazioni (fusione, lavorazione,
riconiazione).
C'era altresì un ritorno immediato dopo un'azione militare, molto più
prontamente utilizzabile che non tributi, sfruttamento di terre o miniere,
e rappresentava una fonte di guadagno personale di molti degli individui
coinvolti nelle operazioni.
Al momento del massimo sforzo bellico era utile disporre immediatamente di
denaro corrente, monete o metallo coniabile in quanto le truppe dovevano
essere pagate.
Cesare potrebbe aver utilizzato moneta locale per pagare le sue truppe
ausiliarie, ma anche quelle legionarie. Queste truppe accettavano del
resto senza troppi problemi monete locali perché potevano agevolmente
spenderle sul posto.
In Cisalpina nel II sec. a.C. e oltre sopravvive la cosiddetta dracma
padana, in Gallia meridionale la dracma massaliota e altre monetazioni
locali.
In Gallia centrale e settentrionale fino al regno di Nerone (Nash, Plus ca
change: Currency in Central Gaul from Julius Caesar to Nero) e in
Pannonia, con la monetazione degli Eravisci in circolazione fino all'epoca
di Caligola (cfr. Torbagyi, 1977).
La presenza di tale monetazione parallela, sia pure per brevi periodi,
favoriva il buon funzionamento delle strutture finanziarie e militari
romane.
Una regione priva di moneta non offriva queste possibilità e lasciava
totalmente ai Romani l'onere di procurare e trasportare le monete
necessarie, dunque era meno appetibile.
Da ricordare che la moneta era discretamente diffusa anche in zone a nord
del Danubio e a est del Reno, ma al momento delle conquiste augustee la
sua produzione era già cessata (Nash, Coinage in the Celtic World, pag. 67
).
Nei territori del Barbaricum rimasti all'esterno dell'Impero Romano, cioè
nell'Europa centrosettentrionale ed orientale, la moneta coniata non venne
in uso che molti secoli dopo la caduta dell'Impero d'Occidente,
generalmente solo a partire dal IX X sec. e oltre (Spufford, Money and its
use in Medieval Europe, pagg. 19 e 38 ).
Le monete che vi si potevano trovare durante l'epoca imperiale erano
esclusivamente di importazione romana.
Per gli approfondimenti:
T.M. LUCCHELLI, "Cultura della moneta" ed espansione romana in Europa, in
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA E SCIENZE AFFINI (2000)
Valete
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