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2013-10-28 14:54:22 UTC
Segnalo le seguenti prime pagine del testo di Adriano Colombo "A me mi. Dubbi, errori, correzioni nell'Italiano scritto".
www.francoangeli.it/Area_PDFDemo/612.1.1_demo.pdf
In particolare a pag. 10-11 leggo:
"Lo scandalo per gli errori è associato a un altro luogo comune: “I ragazzi non sanno più scrivere”, che può declinarsi nella variante “La scuola non insegna più a scrivere”. Avrei qualche riserva su quel non più, dato che lo sento ripetere da cinquant’anni. Del resto la formula presuppone che sia esistita un’età dell’oro in cui tutti, o quasi, i giovani avrebbero imparato a scrivere correttamente; ma dove la vogliamo collocare? al 1861, quando secondo i calcoli di De Mauro (1963: 40) l’accesso all’istruzione postelementare, e dunque una qualche padronanza della lingua scritta, era riservato allo 0,89% della popolazione? o ai favolosi anni sessanta del secolo scorso, quando la scuola media divenuta obbligatoria era ancora frequentata da meno del 60% dei ragazzi in età?
È allora il caso di riconoscere che negli ultimi decenni la nostra scuola
ha affrontato una sfida mai affrontata nella storia italiana e affrontata da
pochi altri paesi nel mondo, quella di insegnare a scrivere a tutti; che quel
che è riuscita a fare, per quanti limiti abbia, è straordinario, considerando
anche lo scarso sostegno che ha avuto dalle istituzioni e dalla società.
C’è una difficoltà intrinseca nell’insegnamento e apprendimento di una
tecnica riservata per millenni a élite ristrette. Ma a questa si aggiungono
oggi, si dice, gli effetti della diffusione dei nuovi media elettrici ed elettronici, che inducono disaffezione alla lingua scritta, e secondo alcuni addirittura mutamenti cognitivi poco compatibili col tipo di pensiero tipicamente veicolato dalla scrittura. Non è facile discutere queste valutazioni, dato che le più recenti rivoluzioni tecnologiche si susseguono da cinquant’anni (televisione, poi televisione a colori e con molteplicità di canali, telecomando, computer, Internet, telefono cellulare e relativi “messaggini”...) e regolarmente ne sono stati denunciati gli effetti perversi: da quale generazione facciamo cominciare la nuova disaffezione e il nuovo analfabetismo? Non voglio negare che la facilità di accesso a immagini e suoni renda più difficile per molti ragazzi la concentrazione e attenzione richiesta dalla scrittura; ma per questo non bastava un tempo una radio accesa in permanenza a tutto volume? Può darsi che i problemi di questo genere non siano integralmente nuovi per la scuola, anche se per certi aspetti possono essersi aggravati negli ultimi anni."
Aggiungo una cosa anch'io, che la minoranza che riusciva a finire le scuole superiori prima degli anni '60 era composta quasi esclusivamente di ragazzi che provenivano dalle famiglie più abbienti (si vedano le statistiche in "Lettera a una professoressa" della Scuola di Barbiana), dunque se imparavano di più e meglio era dovuto anche e soprattutto al fatto che già in partenza provenivano da una famiglia e un ambiente sociale in cui già avevano possibilità di essere a contatto con la cultura proposta dalla scuola ancora prima di entrare in essa, e, come già fatto notare in precedenza, "distrazioni" come radio, dischi e cinema esistevano ancora prima degli anni '50 e '60...
Sarebbe interessante quindi sapere da voi qualche vostra impressione sulla qualità delle competenze linguistiche delle nuove generazioni, al netto dei classici "effetti nostalgia" che fanno sembrare migliori i "bei tempi andati", che sono "bei" solo quando sono "andati" dimenticando tutte le ombre che c'erano in essi e sentendo appunto solo la nostalgia delle luci (non importa in che quantità) presenti a quei tempi...
Ciao.
www.francoangeli.it/Area_PDFDemo/612.1.1_demo.pdf
In particolare a pag. 10-11 leggo:
"Lo scandalo per gli errori è associato a un altro luogo comune: “I ragazzi non sanno più scrivere”, che può declinarsi nella variante “La scuola non insegna più a scrivere”. Avrei qualche riserva su quel non più, dato che lo sento ripetere da cinquant’anni. Del resto la formula presuppone che sia esistita un’età dell’oro in cui tutti, o quasi, i giovani avrebbero imparato a scrivere correttamente; ma dove la vogliamo collocare? al 1861, quando secondo i calcoli di De Mauro (1963: 40) l’accesso all’istruzione postelementare, e dunque una qualche padronanza della lingua scritta, era riservato allo 0,89% della popolazione? o ai favolosi anni sessanta del secolo scorso, quando la scuola media divenuta obbligatoria era ancora frequentata da meno del 60% dei ragazzi in età?
È allora il caso di riconoscere che negli ultimi decenni la nostra scuola
ha affrontato una sfida mai affrontata nella storia italiana e affrontata da
pochi altri paesi nel mondo, quella di insegnare a scrivere a tutti; che quel
che è riuscita a fare, per quanti limiti abbia, è straordinario, considerando
anche lo scarso sostegno che ha avuto dalle istituzioni e dalla società.
C’è una difficoltà intrinseca nell’insegnamento e apprendimento di una
tecnica riservata per millenni a élite ristrette. Ma a questa si aggiungono
oggi, si dice, gli effetti della diffusione dei nuovi media elettrici ed elettronici, che inducono disaffezione alla lingua scritta, e secondo alcuni addirittura mutamenti cognitivi poco compatibili col tipo di pensiero tipicamente veicolato dalla scrittura. Non è facile discutere queste valutazioni, dato che le più recenti rivoluzioni tecnologiche si susseguono da cinquant’anni (televisione, poi televisione a colori e con molteplicità di canali, telecomando, computer, Internet, telefono cellulare e relativi “messaggini”...) e regolarmente ne sono stati denunciati gli effetti perversi: da quale generazione facciamo cominciare la nuova disaffezione e il nuovo analfabetismo? Non voglio negare che la facilità di accesso a immagini e suoni renda più difficile per molti ragazzi la concentrazione e attenzione richiesta dalla scrittura; ma per questo non bastava un tempo una radio accesa in permanenza a tutto volume? Può darsi che i problemi di questo genere non siano integralmente nuovi per la scuola, anche se per certi aspetti possono essersi aggravati negli ultimi anni."
Aggiungo una cosa anch'io, che la minoranza che riusciva a finire le scuole superiori prima degli anni '60 era composta quasi esclusivamente di ragazzi che provenivano dalle famiglie più abbienti (si vedano le statistiche in "Lettera a una professoressa" della Scuola di Barbiana), dunque se imparavano di più e meglio era dovuto anche e soprattutto al fatto che già in partenza provenivano da una famiglia e un ambiente sociale in cui già avevano possibilità di essere a contatto con la cultura proposta dalla scuola ancora prima di entrare in essa, e, come già fatto notare in precedenza, "distrazioni" come radio, dischi e cinema esistevano ancora prima degli anni '50 e '60...
Sarebbe interessante quindi sapere da voi qualche vostra impressione sulla qualità delle competenze linguistiche delle nuove generazioni, al netto dei classici "effetti nostalgia" che fanno sembrare migliori i "bei tempi andati", che sono "bei" solo quando sono "andati" dimenticando tutte le ombre che c'erano in essi e sentendo appunto solo la nostalgia delle luci (non importa in che quantità) presenti a quei tempi...
Ciao.