Post by asterix1° L' ateo, tutto sommato vive molto meglio del credente perché accetta tutte le avversità della vita senza incolpare nessuno.
2° Il credente prega disperatamente Dio di liberarlo da queste avversità, ma siccome viene sì, ascoltato, ma troppo spesso non gli vengono accordate le sue ACCORATE richieste, vive nella disperazione di non sapere il perché di questi rifiuti e tende a perdere la fiducia in Dio e può finire nell'ateismo !
Io mi trovo nel 2° caso !
Mi pare una schematizzazione alquanto grossolana e sostanzialmente errata.
L'ateo di fatto non ha Dio da incolpare, ma questo vuol dire anche che
non ha Dio che possa rimediare al male dilagante e spietato che tocca
tutti e ciascuno. Il male è dunque casuale, o causato dai nostri simili,
e in ogni caso senza un senso. La conseguenza logica di fronte all'esito
ineluttabile del nulla, è che qualsiasi fatica o sofferenza è per nulla,
nulla vale la pena. Non a caso Leopardi icasticamente si chiede: "Perché
reggere in vita chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è
sventura, perché da noi si dura?". L'ateo può solo rispondere "per
nulla" perché quello è l'unico esito certo e duraturo di qualsiasi
azione e di qualsiasi evento.
L'orizzonte delle azioni quindi diventa il vivere il più tranquillamente
possibile l'oggi, ma allora di tanti disagi e sofferenze ci sono
tantissimi da incolpare.
Sul credente va fatta una analisi ulteriore, perché non tutte le fedi
sono uguali.
C'è chi crede a un dio come uno dei tanti dèi pagani, ultimamente
indifferente al destino dell'uomo, da tenere a bada per evitarne l'ira e
ottenere favori, cercando o credendo così di liberarsi delle avversità.
La Fede cristiana, invece ha presente che Dio è la definizione stessa
della bontà, ma ha anche la coscienza che questa si declina secondo una
misura e modalità che sfuggono alla nostra comprensione. Perciò
l'umanissima preghiera perché una situazione si risolva secondo quanto
comprendiamo, è una pretesa quasi blasfema se non è almeno
implicitamente sottesa da "ma sia fatta la Tua volontà e non la mia".
Gesù stesso chiarisce di non esser venuto nel mondo per risolvere i
"problemi" degli uomini, malattia, morte o di giustizia.
Gli episodi sono molti. Per esempio il caso del tizio che gli chiede di
fargli giustizia con il fratello che gli nega la sua parte di eredità; e
lui si rifiuta. Quando vede il paralitico e gli rimetti peccati invece
di sanarlo (poi lo sana, ma per altro motivo). Lui stesso ricorda che
anche al tempo dei profeti c'erano tanti malati ma solo pochissimi
furono sanati. La soluzione del problema contingente che ci affligge non
è lo scopo dei suoi atti, e perciò non può essere lo scopo unico e
inderogabile delle preghiere del cristiano.
Il cristiano invece sa bene che il dolore e la morte sono entrati nel
mondo per il Peccato, ed anche Gesù ne ha sofferto, ma proprio assumendo
la nostra dolorosa condizione Egli ci ha mostrato la potenza salvifica
che la Sua natura divina ha impresso nella nostra sofferenza accolta
unitendola alle sue.
Il Male quindi è proprio male, sofferenza è proprio sofferenza, ma è
possibile farla diventare Croce. Cioè non inutile, anzi utile a molti,
per i meriti di Gesù sulla Croce.
Rimanere delusi perché le nostre preghiere non ottengono quanto
chiediamo, misura quanto ancora identifichiamo la nostra gioia e
leghiamo la nostra salvezza ai nostri progetti e alle nostre idee.
Il tuo punto 2 è quindi proprio sbagliato, perché il cristiano che pone
la propria speranza nell'esaudimento delle proprie richieste divenendo
ateo se manca la risposta, era ateo già da prima perché si è creduto lui
Dio definitore di ciò che è giusto ed utile per lui medesimo. Ha
dimenticato di essere creatura, cioè fatto da un Altro che lo conosce
meglio di lui stesso, e di essere per natura dotato di un corpo mortale
quindi soggetto a sofferenza e morte.
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