Post by Grizzly longion...va avanti la menzona che negli US e' possibile comprare
mitragliatrici...ma e' la solita menzogna o ignoranza di chi non
conosce gli Stati Uniti, armi automatiche negli USA sono illegali e
non si possono comprare.
https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g45963-d2233714-Reviews-The_Gun_Store-Las_Vegas_Nevada.html
Come comprare un fuvcile mitragliatore:
Viaggio in una delle duecento fiere della morte che si tengono ogni anno negli Stati Uniti. Dove i clienti sono uomini di mezza età, marginali e tristi, terrorizzati dai neri
di Enrico Deaglio
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22 gennaio 2016
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SAN FRANCISCO. Il presidente Obama aveva pianto in pubblico: due lunghe, interminabili lacrime calde gli erano scese sulle guance e lui non aveva fatto nulla per trattenerle. L’uomo più potente della Terra non dovrebbe piangere in pubblico: segno di debolezza. Ma Obama è anche un essere umano, e quelle erano lacrime accumulate. In otto anni di presidenza, Obama ha presenziato a 14 cerimonie di cordoglio per mass shooting: stragi commesse da psicopatici in scuole elementari, cinematografi, pubbliche piazze, campus universitari. Ogni sua proposta di controllo delle armi vendute è stata bocciata da Congresso e Senato.
Asciugate le lacrime, ha deciso per un passo radicale: «ordini esecutivi», potestà del Presidente, per cercare di impedire quello che oggi è la normalità in America, ovvero che un minorenne, un disturbato mentale, un jhadista, un razzista bianco possa tranquillamente comprare un fucile da guerra su internet o in un gunshow, fare scorta di caricatori e andare in giro ad ammazzare innocenti di ogni tipo. Trentamila persone nel 2015 in Usa sono andate all’obitorio con una pallottola in corpo, 350 mila negli ultimi dieci anni. Spesso con la faccia squarciata, perché le nuove armi e le nuove pallottole formano crateri là dove c’erano occhi, labbra, denti, sorrisi.
Riuscirà Obama a fermare la strage? No. Lo sa anche lui. La lobby delle armi, rappresentata dalla Nra, National Rifle Association (4,5 milioni di iscritti) ha potere sulla maggioranza dei deputati e senatori (tutti quelli repubblicani, un terzo di quelli democratici ricevono finanziamenti dalla Nra), è ricca e potente e amministra un mercato (in ascesa) di quattro miliardi di dollari l’anno. Ma Obama è deciso. Ha ufficialmente dichiarato che non sosterrà alcun candidato che non si impegni per limitare la vendita di armi negli Stati Uniti. Passerà alla storia come Gesù o come don Chisciotte? I primi risultati non sono stati incoraggianti. L’America è cinica e materiale: a Wall Street, dopo le lacrime del presidente, il titolo Smith e Wesson è schizzato in alto di sette punti e la National Rifle Association ha brindato: «Obama è il miglior venditore che potevamo assumere». E purtroppo, è vero.
Sabato 10 gennaio ho avuto occasione di partecipare a un enorme gunshow, una fiera-mercato delle armi dove chiunque può affittare un banchetto e vendere la sua mercanzia. Se ne svolgono, di questo genere, almeno duecento l’anno. Questa era stata allestita appena fuori dei confini di San Francisco (che, città liberal, non lo avrebbe permesso), in uno storico palazzo – mezzo cemento, mezzo tempio egizio, il Cow Palace di Daly City – che in cent’anni ha ospitato fiere di bestiame, soldati in partenza per la guerra nel Pacifico, rodeo, concerti rock ed ora, proprietà dello Stato della California, viene affittato per le più svariate manifestazioni. Dieci dollari per parcheggiare, 13 per entrare.
Se fossi stato un vero pacifista avrei potuto arrivare con una bella cintura esplosiva e mandarli tutti all’inferno, visto che non c’era nessun controllo (se non il divieto assoluto di scattare fotografie). Pioveva, lunghe code, una specie di giornata di saldi Ikea. Dentro, in uno spazio grande come un campo da calcio, un cupo bazar di ogni genere di armi e munizioni appoggiate sui banconi. Niente musica, niente attrazioni, niente video, niente bevande. Uno striscione: Benvenuti, patrioti! E un modesto cartello all’entrata: «Ha telefonato tua moglie e ha detto di comprare quello che vuoi» e ti si aprono le porte di una distesa sterminata di pistole, fucili, mitra, proiettili, fondine, giubbotti antiproiettile, elmetti, mimetiche, scarponi, laser, mirini telescopici, pugnali. La folla è compatta e competente, i soldi passano di mano velocemente, tutti si fingono intenditori e camerati e si lanciano segnali di correità.
Se andavate cercando l’ultimo bastione dell’Occidente, l’avete trovato. Diecimila maschi, tutti molto grossi, nutriti a carne e birra (nei banchi che vendono ogni genere di T shirt razziste e fascistoidi, la taglia XXXXLarge è la più presente). Sono al 95 per cento bianchi; sono lavoratori, tra i quaranta e i cinquant’anni, hanno barbe brizzolate e dimestichezza con gli oggetti che toccano: li lisciano, li soppesano, molti sembrano aver passato un bel po’ di anni nell’esercito. Sono quello che noi europei chiameremmo «classe operaia» e qui prende il nome di lower middle class. Hanno dei sogni, con cui fanno i conti: un AK 47 (il famoso Kalashnikov) per 800 dollari, una magnifica Beretta Px Storm 9 mm («è sempre la regina, mi creda») a 575 dollari, la famosa Luger Artillery da collezione del 1916 a 2.150 dollari. Vai, manzo, compra! Coraggio! In questo gunshow c’è abbastanza ferraglia per equipaggiare un piccolo esercito, con appena 50.000 dollari. Per fortuna non c’è nessun jhadista tra i compratori. Ooops, forse c’era. Ma non si potrà mai sapere. D’altronde questo è un tempio della democrazia, del mercato, dell’incontro virtuoso di domanda e offerta. O forse preferireste che solo il governo possa avere i fucili? Che solo i gangster possano avere i kalashnikov?
In questo incredibile centro di difesa del cittadino, c’era un luogo che più di tutti attirava l’attenzione delle folle, dove la democrazia aveva compiuto un passo ulteriore. Qui si vendeva un fucile mitragliatore da montare a casa, nel garage. Davvero: li ho visti andar via come le caramelle i famosi AR 15 (il mitragliatore in uso all’esercito americano fin dal 1960) «senza registrazione, senza certificati, senza scartoffie». E tutto era legale, spiegava un certo Dimitri (trent’anni, due grossi tatuaggi sugli avanbracci), che ha anche un video online dove spiega il concetto.
La questione sta così. Secondo la legge, l’unico pezzo del AR 15 su cui è stampigliato un numero di matricola è il low receiver, il guscio inferiore. Ma questo avviene solo quando l’arma è stata completamente montata. Se un costruttore qualsiasi produce pezzi di un low receiver (dieci pezzi di acciaio sagomato che anche un bambino può assemblare), ovviamente non necessita di stampigliarlo. E se poi a questo pezzo, un privato individuo applica tutti gli altri pezzi di un fucile mitragliatore (la canna, il motore, il calcio, l’otturatore, il grilletto) che non sono, peraltro, tenuti ad avere registrazione o numero di matricola… beh, ecco l’AR 15 completo in un kit. Che Dimitri ti offriva per 495 dollari, senza presentare carta d’identità, fedina penale, niente. E ho avuto l’impressione che se qualcuno avesse avuto difficoltà nel montaggio, Dimitri gli avrebbe trovato qualcuno che lo aiutava. E ho avuto anche l’impressione che se qualcuno avesse voluto trasformare la funzione semiautomatica in qualcosa di più veloce, per esempio la raffica, Dimitri forse avrebbe saputo dove indirizzarlo. Anche perché, il gunshow era particolarmente attrezzato per superare tutte le scartoffie che la legge richiede prima di venderti un’arma da fuoco.
Con 149 dollari passavi dietro un separé dove ti prendevano dati, foto e impronte digitali, ti fornivano la necessaria «istruzione di base» e ti consegnavano – in sessanta giorni – l’arma richiesta secondo gli standard della permissivissima legge dello Stato dello Utah, che–toh!-– è estensibile in 35 Stati, tra cui il Nevada. Già, ma non in California. Beh, ci sono un sacco di strade secondarie senza controlli tra Nevada e California. Non c’è da farla troppo lunga. Quando Obama dice che farà una stretta su chi vende armi, che imporrà licenze, regole precise, parla proprio dei gunshow, che sono, a vista d’occhio, l’enorme mercato nero da cui l’America si rifornisce di armi e munizioni. Se le cose andassero secondo giustizia, dovrebbero suonare i fischietti ed entrare gli agenti del Fbi e arrestare tutti i Dimitri e i loro compari. Ma fin ad ora, non è andata così.
Adam Lanza, il ragazzino bianco triste e solitario che ammazzò venti bambini e sei adulti alla scuola elementare di Sandy Hooks, nel civilissimo Connecticut, aveva preso un AR 15 dall’arsenale che la mamma teneva in casa. E prima di partire per la sua spedizione, la mamma l’aveva ammazzata. Dylann Roof, un altro ragazzino bianco, questa volta cresciuto a pane e razzismo, era entrato in una chiesa di neri a Charleston, in South Carolina e con un fucile analogo aveva ucciso otto religiosi. In South Carolina bisogna compilare «un sacco di scartoffie» per comprare un AR 15, ma la legge dice che se lo Stato non risponde alle domande nel giro di 72 ore, l’arma può essere venduta ugualmente. E siccome la burocrazia è lenta mica solo in Italia, in South Carolina con questo sistema sono stati venduti 3.500 fucili AR 15.
Tutta questa mostruosità americana ha le sue fondamenta nel famoso «secondo emendamento» della Costituzione, scritto dai Padri Fondatori nel 1791 che così recita: «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Il senso era chiaro: ci si riferiva all’esperienza della guerra di indipendenza, alle milizie popolari di George Washington, alla minaccia sempre possibile di un potere tirannico in agguato, tutte cose hanno reso unica la democrazia americana (a differenza delle democrazie europee, in cui solo lo Stato ha il diritto di esercitare la forza). In realtà, nessuna milizia regolamentata è mai stata formata negli Stati Uniti, che invece hanno un regolare esercito e una regolare polizia. Com’è successo allora che quell’emendamento sia ora la bandiera dietro la quale qualsiasi mentecatto può comprare un Kalashnikov?
È una lunga storia. Passa attraverso l’individualismo anarchico con cui si è creato il Nuovo Mondo, ma anche attraverso una vera ipocrisia. C’era infatti un particolare che i Padri Fondatori avevano trascurato. Nel 1791 non tutti avevano diritto di formare una milizia regolamentata; gli schiavi non l’avevano e neppure i negri liberati. Problema non da poco, che si sarebbe posto cent’anni dopo. Durante la guerra civile, quando i negri vennero arruolati, i loro fucili dopo l’azione venivano sequestrati; e ancora nella seconda guerra mondiale, nell’esercito che liberò l’Europa dal nazifascismo, i neri erano segregati dai bianchi e privati delle armi. Negli anni Sessanta, il leader pacifista Martin Luther King, continuamente minacciato di morte, non ebbe dal Fbi il permesso di portare una pistola per autodifesa; nel 1966 le Pantere Nere (il gruppo nero più radicale) occuparono la sede del governo della California armati di pistole e fucili, rivendicando appunto il «secondo emendamento», dato che la polizia (bianca) aveva il grilletto facile contro i loro fratelli. Giuridicamente, le Pantere Nere avevano ragione, ma una pronta legge emanata dal governatore Ronald Reagan proibì loro di «portare armi in pubblico».
La questione delle armi in America, così mostruosamente paradossale – la polizia ha ucciso nel 2015 mille cittadini, con una percentuale spropositata di neri disarmati – ha le sue radici nella questione razziale: la paranoia, inconscia ma nemmeno troppo, da sempre diffusa soprattutto negli Stati ex schiavisti di una rivolta armata dei neri, di una vendetta. La presidenza Obama ha moltiplicato tutto ciò: il giorno in cui venne eletto, si registrò la più grande vendita di munizioni. Durante i suoi otto anni, la vendita di armi (a dispetto di un crimine più che dimezzato) è aumentata del 140 per cento. L’uomo bianco, specie se povero, specie se vive negli Stati del Sud, teme Obama per il colore della sua pelle; teme di perdere il suo lavoro, perché sarà dato a un nero o a un messicano. Una martellante propaganda gli ricorda che dietro il gun control chiesto da Obama c’è in realtà la volontà di confisca delle armi, unica salvezza dalla presa di potere dei neri, dei comunisti, degli atei. Così il fucile (meglio se è l’AR 15, quello dei soldati) diventa il simbolo di quella milizia regolamentata della Costituzione, lo strumento della lotta contro il tiranno. Un sistema di vita che alimenta un mercato interno di cinque miliardi di dollari e sta diventando l’argomento principale della campagna elettorale, con i candidati repubblicani – Donald Trump in testa – a rivendicare l’assoluta inalienabile libertà degli americani a portare armi.
Al gunshow del Cow Palace – con le interminabili file di omaccioni bianchi tristi che infilavano nei pianali dei pick up kit di fucili mitragliatori e pacchi di munizioni – andava in scena il film di una muta disperazione. Avevano le loro magliette, avevano la loro retorica. Una, ripetuta su adesivi e T shirt, era lo Zeitgeist 2016 nella culla dell’Occidente. Dice From my dead cold hands, «dalle mie fredde e morte mani». La pronunciò Charlton Heston, il famoso attore che divenne il più popolare presidente della Nra, riprendendo un’antica canzone di guerra. «E se vorrai il mio fucile, dovrai venire a staccarlo dalle mie fredde mani morte». Una vera stronzata, non vi pare? Eppure qui la prendono sul serio. Persino un tipo moderato come Jeb Bush, anni fa, a un comizio in Florida davanti a 15 mila persone alzò un fucile e gridò: «Questo me lo ha dato Mosè! Nessuno me lo può togliere!». Mosè essendo Charlton Heston.
In Usa oggi il 29 per cento delle famiglie possiede armi. La stessa percentuale di venti anni fa, ma le famiglie hanno moltiplicato il loro arsenale privato: oggi quella famiglia possiede otto bocche da fuoco. Dei trentamila morti per armi da fuoco nel 2015, la maggioranza relativa sono incidenti domestici o suicidi. Guardando le migliaia di uomini bianchi di mezz’età che soppesavano, valutavano e infine compravano oggetti micidiali – che non hanno senso, non hanno logica, non hanno scopo – mi è venuto in mente che erano venuti al mercato solo per comprare la propria morte, e quella dei loro figli. E che ne fossero più o meno coscienti.