ciccioformaggio
2004-01-03 12:19:18 UTC
Buon Anno al newsgroup.
Sfogliando una rivista di settore, mi ha incuriosito l'articolo sulla
pizza secondo la norma UNI 10791.98. Incuriosito perchè l'articolo
riprendeva integralmente un documento che conoscevo e riportato al
sito:
http://www.pizza.it/nutrizionista/articoli/certificazione-norma-10791-98.htm
Poiché mi sembra che il contenuto di questa norma UNI non sia mai
passato su ihc posto il testo riportato sul sito:
I requisiti della "verace pizza napoletana artigianale".
Tali requisiti sono stati fatti propri dall´ente di normazione
italiano (l´UNI) che ne ha tratto una norma, la UNI 10791.98. Questa
norma è da considerarsi il primo vero passo, storico, nel travagliato
cammino verso la certificazione di qualità - l´unico strumento
efficace per tutelare questo straordinario prodotto ed i suoi
numerosissimi consumatori. Esaminiamone gli aspetti più caratteristici
e curiosi.
La UNI-PIZZA, ovvero la pizza prodotta seguendo la norma UNI 10791.98,
è stata battezzata, molto puntigliosamente, con una sequenza ben
precisa di termini, "verace pizza napoletana artigianale". Nessuno dei
tre aggettivi usati è stato scelto a caso. Verace, perché la pizza che
si va a tutelare è proprio la pizza "genuina, schietta, autentica",
come quella che si apprezza a Napoli, ove essa è nata (almeno nelle
sue tipologie più note), e dove essa viene prodotta artigianalmente,
senza ricorrere a procedimenti di tipo industriale.
Ma cosa si intende, in pratica, per verace pizza napoletana
artigianale? La norma parla chiaro. E´ un prodotto alimentare -
preparato con ben definite materie prime, seguendo uno specifico
processo di produzione - costituito da un supporto di pasta lievitata
condito, sostanzialmente, con olio e pomodoro, e che comprende due
tipi, la "marinara" e la "margherita", differenti tra loro per la
qualità e la quantità degli ingredienti impiegati per guarnirle.
Questa definizione è concettualmente importante perché, dopo aver
anticipato gli elementi di base (materie prime e processo di
produzione) indispensabili per produrre la pizza - ovvero un supporto
di pasta lievitato e opportunamente guarnito - limita l´oggetto della
tutela alle due tipologie tradizionali, marinara e margherita.
Le materie prime da impiegarsi per il supporto di pasta sono
indiscutibilmente quattro: la farina di grano tenero "tipo 00",
l´acqua, il lievito di birra fresco e il sale marino. Per gli esperti,
la farina deve possedere un´energia di deformazione, espressa dal
parametro W, pari a 200-300 Joule, e un indice di rigonfiamento, G,
pari a 22. Per i più curiosi, l´acqua deve avere un pH lievemente
acido (6.7) e una durezza di circa 20 gradi francesi. Per fare un
impasto "a norma" occorrono 1,7-1,8 kg di farina, in funzione
dell´assorbimento dell´acqua (mediamente 1 litro), 2,5 - 5 grammi di
lievito e 50 grammi di sale.
Quante alle materie prime da impiegarsi per la guarnizione, queste
devono essere, tenendo conto delle due tipologie di base, l´olio
extravergine di oliva, il pomodoro, la mozzarella di bufala campana,
il basilico, l´aglio, l´origano essiccato e, ovviamente, ancora il
sale marino.
Il secondo elemento cardine che la norma definisce, oltre alle materie
prime, è il processo di produzione. E´ interessante, a questo
proposito, osservare che il disciplinare non parla di impasto a mano,
ma dà per scontato l´uso dell´impastatrice, limitandosi a definire il
rigoroso ordine con cui deve avvenire l´aggiunta degli ingredienti:
prima l´acqua, poi la nona parte della farina (previamente dosata),
indi, in successione, il sale marino e il lievito e, infine, la
restante dose della farina, "a pioggia". L´intera operazione deve
concludersi in 30 minuti, di cui i primi 10 per completare l´aggiunta
di tutta la farina, i rimanenti 20 per la lavorazione vera e propria
(ovviamente in funzione della velocità dell´impastatrice e delle
proprietà meccaniche acquisite dall´impasto).
Una volta pronto, l´impasto deve essere lasciato fermentare. La norma
parla specificamente di una lievitazione in due fasi. La prima, che
può avvenire direttamente nell´impastatrice o su un piano di lavoro,
deve durare 4 ore, al termine delle quali l´impasto deve essere
sottoposto a "mozzatura" manuale, in modo da evitare strappi, sì da
ottenerne "palline" del peso di 180 grammi. I futuri panetti, così
ottenuti, devono essere lasciati a fermentare ancora per 2-4 ore
(seconda fase di lievitazione). Appare chiaro, quindi, che la
lievitazione deve durare da un minimo di 6 fino ad un massimo di 8 ore
(ovviamente in funzione delle caratteristiche ambientali, quali la
temperatura ed il grado umidità, che a loro volta risentono della
stagionalità).
Alla fine della lievitazione, l´impasto - precisa ancora la norma -
deve "risultare grasso nell´aspetto e liscio al tatto e possedere,
quali proprietà meccaniche, l´elevata estensibilità e la scarsa
elasticità". Solo così potrà essere lavorato. In che modo? Anzitutto,
ponendolo su un piano levigato, aiutandosi con un poco di farina per
evitare che aderisca alla superficie di lavoro. Esso, quindi, va steso
fino a raggiungere al centro uno spessore di circa mezzo centimetro.
Questa operazione deve essere eseguita con le mani e deve dare origine
all´ispessimento della parte più periferica del disco di impasto
(cornicione), avente la funzione di mantenere gli ingredienti
all´interno.
A questo punto, la guarnizione differirà a seconda del tipo di pizza,
marinara o margherita.
La pizza marinara deve essere guarnita con olio extravergine di oliva
(circa 7 grammi), pomodoro (circa 40 grammi), aglio (uno spicchio) e
origano (circa mezzo grammo). Il sale? Quanto basta. Quale deve essere
la tecnica? Per prima cosa occorre depositare il pomodoro al centro
del disco di impasto e, con movimento rotatorio, stenderlo
uniformemente in tutta la zona centrale. Quindi, bisogna tagliare lo
spicchio d´aglio, privo della parte più esterna, in fettine sottili e
spargere queste ultime sulla superficie del pomodoro. L´origano e il
sale marino vanno distribuiti sulla superficie del pomodoro in modo
omogeneo. Infine, va deposto l´olio, con movimento a spirale, partendo
dal centro verso la periferia. Tutto rigorosamente "normato"!
Per la margherita "classica" (la norma ne prevede anche una "extra",
con più mozzarella!) gli ingredienti della guarnizione sono l´olio
extravergine di oliva (circa 5 grammi), il pomodoro (circa 30 grammi),
la mozzarella di bufala campana (circa 50 grammi), il formaggio
grattugiato (opzionale, ma esclusivamente parmigiano reggiano,
pecorino romano, o grana padano, circa 4 g), il basilico (un
ciuffetto) e sale marino quanto basta. La guarnizione deve iniziare
dal pomodoro, che va deposto sul disco di pasta - a partire dal centro
- e quindi steso, con movimento rotatorio, in maniera uniforme, via
via verso la periferia. Va, quindi, aggiunta la mozzarella,
previamente tagliata in pezzetti non molto spessi, distribuendola
uniformemente sulla superficie del vellutato tappeto di pomodoro. Nel
caso in cui si aggiunga il formaggio grattugiato, questo va sparso
sulla superficie della pizza in modo uniforme, seguendo un movimento
rotatorio. Va, quindi, deposto l´olio, con movimento a spirale,
partendo dal centro e proseguendo verso la periferia. Il tocco finale
è dato dall´aggiunta, al centro della guarnizione, del ciuffetto di
basilico.
Marinara o margherita che sia, la pizza così preparata va cotta in un
forno a legna. Su questo aspetto la norma è categorica. Di che tipo?
Di quello tradizionale, costituito da una base e da una cupola di
materiali refrattari. La legna non deve emettere fumo o odori che
possano modificare l´aroma della pizza. E´ da rilevare che il
disciplinare non fa alcun cenno alle contestatissime "pampuglie",
probabilmente all´origine della querelle dalla quale sarebbe scaturita
la norma europea che, nel novembre del 1999, voleva abolire la cottura
della pizza con il forno a legna. Le "pampuglie" non sono altro che
dei trucioli di legno che alcuni pizzaioli aggiungono talvolta per far
salire rapidamente, ma per poco, la temperatura del forno a valori
elevatissimi. Una piccola magia per esaltare alcune proprietà
organolettiche della pizza. La norma UNI torna ad essere più precisa
allorché passa a definire le temperature del forno che, per cuocere
una buona pizza, devono essere rigorosamente settate, quella del piano
di cottura a 400 °C, e quella della volta a circa 450 °C (per i forni
in mattoni di argilla cotti, tale temperatura corrisponde alla
variazione del colore della volta che appare cambiare colore da rosso
a bianco). Quando tutto è pronto, la pizza deve essere deposta nella
zona del forno dove non c´è legna che arde ed essere cotta in modo
uniforme. Per quanto tempo? Il tempo massimo è un minuto e mezzo.
Come riconoscere una pizza UNI? Semplice! La pizza a fine cottura deve
presentare un cornicione regolare, gonfio, privo di bolle e
bruciature, di colore dorato e dal profumo di pane. La parte centrale
deve risultare morbida. Un ultima cosa. La pizza deve essere
agevolmente ripiegabile su se stessa "a libretto" o "a portafoglio".
E´ questo non solo un importante elemento a tutela del consumatore
(una pizza che "si spezza in due" va restituita sdegnosamente al
pizzaiolo chiedendone la sostituzione!) ma anche il frutto
dell´esperienza e del genio dei napoletani (solo piegata in questo
modo la pizza estrinsecherebbe tutte le sue potenzialità sensoriali o,
più semplicemente, impedirebbe alla sua guarnizione di sgocciolare!).
Qualche considerazione:
E' una pizza che discende direttamente dalla tradizione contadina, si
faceva il pane e poi con lo stesso impasto arricchito con pomodoro e
altri ingredienti si faceva la "pizza".
Sinceramente credo che pochi pizzaioli oggi usino la formulazione
secondo UNI 10791, quasi tutti (credo anche il buon Mogavero, d.t.del
comitato proponente della norma) arricchiscono la pasta con un poco
di grasso (olio o strutto) e a volte anche dello zucchero.
Sul processo di produzione, che ha trovato molti critici riguardo al
miscuglio sale-lievito, devo dire che è prassi nei laboratori
artigianali mettere insieme tutti gli ingredienti solidi nell'
impastatrice, aggiungere i liquidi e poi avviare l'impasto. Non si va
troppo per il sottile, in genere il sale va a finire sul lievito (lo
pesano dopo), anche se è buona norma ...
Riguardo ai tempi d'impastamento la norma UNI è estremamente carente,
bisognava specificare il tipo di impastarice (spirale, forcella, etc.)
e la velocità (giri/min) della medesima.
Il resto lascia il tempo che trova, solo fumo negli occhi, basta
rispettare la qualità degli ingredienti, per le quantita' ognuno si
regola come vuole, non si può ingabbiare la fantasia di un artigiano
:-))).
ciao
ciccioformaggio
Sfogliando una rivista di settore, mi ha incuriosito l'articolo sulla
pizza secondo la norma UNI 10791.98. Incuriosito perchè l'articolo
riprendeva integralmente un documento che conoscevo e riportato al
sito:
http://www.pizza.it/nutrizionista/articoli/certificazione-norma-10791-98.htm
Poiché mi sembra che il contenuto di questa norma UNI non sia mai
passato su ihc posto il testo riportato sul sito:
I requisiti della "verace pizza napoletana artigianale".
Tali requisiti sono stati fatti propri dall´ente di normazione
italiano (l´UNI) che ne ha tratto una norma, la UNI 10791.98. Questa
norma è da considerarsi il primo vero passo, storico, nel travagliato
cammino verso la certificazione di qualità - l´unico strumento
efficace per tutelare questo straordinario prodotto ed i suoi
numerosissimi consumatori. Esaminiamone gli aspetti più caratteristici
e curiosi.
La UNI-PIZZA, ovvero la pizza prodotta seguendo la norma UNI 10791.98,
è stata battezzata, molto puntigliosamente, con una sequenza ben
precisa di termini, "verace pizza napoletana artigianale". Nessuno dei
tre aggettivi usati è stato scelto a caso. Verace, perché la pizza che
si va a tutelare è proprio la pizza "genuina, schietta, autentica",
come quella che si apprezza a Napoli, ove essa è nata (almeno nelle
sue tipologie più note), e dove essa viene prodotta artigianalmente,
senza ricorrere a procedimenti di tipo industriale.
Ma cosa si intende, in pratica, per verace pizza napoletana
artigianale? La norma parla chiaro. E´ un prodotto alimentare -
preparato con ben definite materie prime, seguendo uno specifico
processo di produzione - costituito da un supporto di pasta lievitata
condito, sostanzialmente, con olio e pomodoro, e che comprende due
tipi, la "marinara" e la "margherita", differenti tra loro per la
qualità e la quantità degli ingredienti impiegati per guarnirle.
Questa definizione è concettualmente importante perché, dopo aver
anticipato gli elementi di base (materie prime e processo di
produzione) indispensabili per produrre la pizza - ovvero un supporto
di pasta lievitato e opportunamente guarnito - limita l´oggetto della
tutela alle due tipologie tradizionali, marinara e margherita.
Le materie prime da impiegarsi per il supporto di pasta sono
indiscutibilmente quattro: la farina di grano tenero "tipo 00",
l´acqua, il lievito di birra fresco e il sale marino. Per gli esperti,
la farina deve possedere un´energia di deformazione, espressa dal
parametro W, pari a 200-300 Joule, e un indice di rigonfiamento, G,
pari a 22. Per i più curiosi, l´acqua deve avere un pH lievemente
acido (6.7) e una durezza di circa 20 gradi francesi. Per fare un
impasto "a norma" occorrono 1,7-1,8 kg di farina, in funzione
dell´assorbimento dell´acqua (mediamente 1 litro), 2,5 - 5 grammi di
lievito e 50 grammi di sale.
Quante alle materie prime da impiegarsi per la guarnizione, queste
devono essere, tenendo conto delle due tipologie di base, l´olio
extravergine di oliva, il pomodoro, la mozzarella di bufala campana,
il basilico, l´aglio, l´origano essiccato e, ovviamente, ancora il
sale marino.
Il secondo elemento cardine che la norma definisce, oltre alle materie
prime, è il processo di produzione. E´ interessante, a questo
proposito, osservare che il disciplinare non parla di impasto a mano,
ma dà per scontato l´uso dell´impastatrice, limitandosi a definire il
rigoroso ordine con cui deve avvenire l´aggiunta degli ingredienti:
prima l´acqua, poi la nona parte della farina (previamente dosata),
indi, in successione, il sale marino e il lievito e, infine, la
restante dose della farina, "a pioggia". L´intera operazione deve
concludersi in 30 minuti, di cui i primi 10 per completare l´aggiunta
di tutta la farina, i rimanenti 20 per la lavorazione vera e propria
(ovviamente in funzione della velocità dell´impastatrice e delle
proprietà meccaniche acquisite dall´impasto).
Una volta pronto, l´impasto deve essere lasciato fermentare. La norma
parla specificamente di una lievitazione in due fasi. La prima, che
può avvenire direttamente nell´impastatrice o su un piano di lavoro,
deve durare 4 ore, al termine delle quali l´impasto deve essere
sottoposto a "mozzatura" manuale, in modo da evitare strappi, sì da
ottenerne "palline" del peso di 180 grammi. I futuri panetti, così
ottenuti, devono essere lasciati a fermentare ancora per 2-4 ore
(seconda fase di lievitazione). Appare chiaro, quindi, che la
lievitazione deve durare da un minimo di 6 fino ad un massimo di 8 ore
(ovviamente in funzione delle caratteristiche ambientali, quali la
temperatura ed il grado umidità, che a loro volta risentono della
stagionalità).
Alla fine della lievitazione, l´impasto - precisa ancora la norma -
deve "risultare grasso nell´aspetto e liscio al tatto e possedere,
quali proprietà meccaniche, l´elevata estensibilità e la scarsa
elasticità". Solo così potrà essere lavorato. In che modo? Anzitutto,
ponendolo su un piano levigato, aiutandosi con un poco di farina per
evitare che aderisca alla superficie di lavoro. Esso, quindi, va steso
fino a raggiungere al centro uno spessore di circa mezzo centimetro.
Questa operazione deve essere eseguita con le mani e deve dare origine
all´ispessimento della parte più periferica del disco di impasto
(cornicione), avente la funzione di mantenere gli ingredienti
all´interno.
A questo punto, la guarnizione differirà a seconda del tipo di pizza,
marinara o margherita.
La pizza marinara deve essere guarnita con olio extravergine di oliva
(circa 7 grammi), pomodoro (circa 40 grammi), aglio (uno spicchio) e
origano (circa mezzo grammo). Il sale? Quanto basta. Quale deve essere
la tecnica? Per prima cosa occorre depositare il pomodoro al centro
del disco di impasto e, con movimento rotatorio, stenderlo
uniformemente in tutta la zona centrale. Quindi, bisogna tagliare lo
spicchio d´aglio, privo della parte più esterna, in fettine sottili e
spargere queste ultime sulla superficie del pomodoro. L´origano e il
sale marino vanno distribuiti sulla superficie del pomodoro in modo
omogeneo. Infine, va deposto l´olio, con movimento a spirale, partendo
dal centro verso la periferia. Tutto rigorosamente "normato"!
Per la margherita "classica" (la norma ne prevede anche una "extra",
con più mozzarella!) gli ingredienti della guarnizione sono l´olio
extravergine di oliva (circa 5 grammi), il pomodoro (circa 30 grammi),
la mozzarella di bufala campana (circa 50 grammi), il formaggio
grattugiato (opzionale, ma esclusivamente parmigiano reggiano,
pecorino romano, o grana padano, circa 4 g), il basilico (un
ciuffetto) e sale marino quanto basta. La guarnizione deve iniziare
dal pomodoro, che va deposto sul disco di pasta - a partire dal centro
- e quindi steso, con movimento rotatorio, in maniera uniforme, via
via verso la periferia. Va, quindi, aggiunta la mozzarella,
previamente tagliata in pezzetti non molto spessi, distribuendola
uniformemente sulla superficie del vellutato tappeto di pomodoro. Nel
caso in cui si aggiunga il formaggio grattugiato, questo va sparso
sulla superficie della pizza in modo uniforme, seguendo un movimento
rotatorio. Va, quindi, deposto l´olio, con movimento a spirale,
partendo dal centro e proseguendo verso la periferia. Il tocco finale
è dato dall´aggiunta, al centro della guarnizione, del ciuffetto di
basilico.
Marinara o margherita che sia, la pizza così preparata va cotta in un
forno a legna. Su questo aspetto la norma è categorica. Di che tipo?
Di quello tradizionale, costituito da una base e da una cupola di
materiali refrattari. La legna non deve emettere fumo o odori che
possano modificare l´aroma della pizza. E´ da rilevare che il
disciplinare non fa alcun cenno alle contestatissime "pampuglie",
probabilmente all´origine della querelle dalla quale sarebbe scaturita
la norma europea che, nel novembre del 1999, voleva abolire la cottura
della pizza con il forno a legna. Le "pampuglie" non sono altro che
dei trucioli di legno che alcuni pizzaioli aggiungono talvolta per far
salire rapidamente, ma per poco, la temperatura del forno a valori
elevatissimi. Una piccola magia per esaltare alcune proprietà
organolettiche della pizza. La norma UNI torna ad essere più precisa
allorché passa a definire le temperature del forno che, per cuocere
una buona pizza, devono essere rigorosamente settate, quella del piano
di cottura a 400 °C, e quella della volta a circa 450 °C (per i forni
in mattoni di argilla cotti, tale temperatura corrisponde alla
variazione del colore della volta che appare cambiare colore da rosso
a bianco). Quando tutto è pronto, la pizza deve essere deposta nella
zona del forno dove non c´è legna che arde ed essere cotta in modo
uniforme. Per quanto tempo? Il tempo massimo è un minuto e mezzo.
Come riconoscere una pizza UNI? Semplice! La pizza a fine cottura deve
presentare un cornicione regolare, gonfio, privo di bolle e
bruciature, di colore dorato e dal profumo di pane. La parte centrale
deve risultare morbida. Un ultima cosa. La pizza deve essere
agevolmente ripiegabile su se stessa "a libretto" o "a portafoglio".
E´ questo non solo un importante elemento a tutela del consumatore
(una pizza che "si spezza in due" va restituita sdegnosamente al
pizzaiolo chiedendone la sostituzione!) ma anche il frutto
dell´esperienza e del genio dei napoletani (solo piegata in questo
modo la pizza estrinsecherebbe tutte le sue potenzialità sensoriali o,
più semplicemente, impedirebbe alla sua guarnizione di sgocciolare!).
Qualche considerazione:
E' una pizza che discende direttamente dalla tradizione contadina, si
faceva il pane e poi con lo stesso impasto arricchito con pomodoro e
altri ingredienti si faceva la "pizza".
Sinceramente credo che pochi pizzaioli oggi usino la formulazione
secondo UNI 10791, quasi tutti (credo anche il buon Mogavero, d.t.del
comitato proponente della norma) arricchiscono la pasta con un poco
di grasso (olio o strutto) e a volte anche dello zucchero.
Sul processo di produzione, che ha trovato molti critici riguardo al
miscuglio sale-lievito, devo dire che è prassi nei laboratori
artigianali mettere insieme tutti gli ingredienti solidi nell'
impastatrice, aggiungere i liquidi e poi avviare l'impasto. Non si va
troppo per il sottile, in genere il sale va a finire sul lievito (lo
pesano dopo), anche se è buona norma ...
Riguardo ai tempi d'impastamento la norma UNI è estremamente carente,
bisognava specificare il tipo di impastarice (spirale, forcella, etc.)
e la velocità (giri/min) della medesima.
Il resto lascia il tempo che trova, solo fumo negli occhi, basta
rispettare la qualità degli ingredienti, per le quantita' ognuno si
regola come vuole, non si può ingabbiare la fantasia di un artigiano
:-))).
ciao
ciccioformaggio